Trio per pianoforte n. 1 in si bemolle maggiore, op. 21 (B.51)


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro molto (si bemolle maggiore)
  2. Adagio molto e mesto (sol minore)
  3. Allegretto scherzando (mi bemolle maggiore)
  4. Finale: Allegro vivace (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Praga, 14 Maggio 1875
Prima esecuzione: Praga, Konvikt Sal dell'Umelecka Beseda, 15 Febbraio 1877
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1880
Guida all'ascolto (nota 1)

Il Trio n. 1 in si bemolle maggiore op. 21 risente maggiormente dello stile classico. Lo apre un solido Allegro molto in forma-sonata. Nell'esposizione, sull'increspato mormorio del piano, un aurorale primo tema in si bemolle maggiore, una melodia rotonda dall'ampio respiro, è distribuito tra piano e violino. Ben presto, sottoposto all'artificio della diminuzione, si trasforma in una brusca frase di contrasto, mentre sullo sfondo emerge come pulsus ritmico caratteristico l'ansante e ondulato inciso su nota puntata dall'incipit del tema stesso. Quando l'ondulazione ritmica passa al basso, al canto del pianoforte si sente una dolcissima melodia secondaria proseguita in una frase ascendente al violino, pure ricavata dall'incipit. Come un'incisione di netto torna la frase contrastiva (con una libera citazione del tema per diminuzione) collegata alla transizione alla dominante che, basata su salti accordali e risolute asserzioni in progressione, contiene nel finale un elemento melodico caratteristico del secondo tema. Quest'ultimo, in fa maggiore, è un motivo gentile «salottiero» e un po' schubertiano sull'elemento melodico circolare sincopato: introdotto elegantemente dal piano, passa al violino, al cello e di nuovo al pianoforte, in un progressivo coinvolgimento che conduce a un palpabile crescendo. Poi diviene grandioso per la verve ritmica che lo avvolge in un accento unico del trio; ma una frase di collegamento ancora basata sul secondo tema attenua l'agitazione, riportando a toni più pacati. Nello sviluppo, sulle larghe oscillazioni in ottava del piano e sullo sfondo di un pedale, si apre uno scenario di vaga incertezza, contrassegnato nell'ultimo tratto da un'ondulazione che anticipa l'inciso iniziale del primo tema. Quando torna, questa volta, immerso com'è in armonie minori, appare cupo e trasformato; sue successive enunciazioni in fortissimo, con volate ripetute e l'emergere, emozionato, dall'ansante pulsus ritmico pure ricavato dalla testa del tema principale accrescono l'agitazione. Gli succede, intrecciandosi, anche la versione del primo tema stesso per diminuzione, che prima consolida il clima tempestoso, poi quasi lievita sublimando verso l'alto, infine riprecipita ispessendosi al grave, infrangendosi sopra un pedale armonico che sfuma il discorso. Nella fase finale dello sviluppo il primo tema si riconosce in una versione più pacata in la bemolle maggiore, poi di nuovo modulante, ma sempre in modo molto tranquillo, confermata dall'ondulazione per grado congiunto che allude all'incipit e che qui funziona da raffinato abbellimento; ma è solo un attimo di pace, perché il contrasto dei caratteri è dominante: le entrate si intensificano, creano agitazione e conducono a una energica frase di cerniera accordale. Al giungere della ripresa si è al culmine del coinvolgimento, con una versione perentoria del primo tema seguito dalla frase contrastiva e dalla transizione. Questa ora però non porta alla dominante e non contiene l'elemento sincopato che nell'esposizione anticipava il secondo tema, ma semplicemente conferma il tono d'impianto si bemolle maggiore. Introdotto da uno spezzone cadenzante del tema per diminuzione torna anche il motivo secondario al piano, qui però assai sviluppato in un complesso tessuto imitativo mentre, sotterraneo, si sente ancora il pulsus su nota puntata e scorrevoli scale lo contrappuntano formando una grandiosa corona di note. Una decisa frase di passaggio conduce al segmento della transizione non ancora sentito, l'elemento sincopato che anticipava il secondo tema. Infine torna anche quest'ultimo in tonica, variato e scambiato a più riprese nel trio; sul tremolo degli archi, culmine ritmico-dinamico della ripresa, subentra la netta frase di transizione che, sovrapposta alla reiterata citazione del tema, dopo una prima fase agitata conduce sorprendentemente a una conclusione di imperturbabile tranquillità.

È la necessaria preparazione per lo spirituale Adagio molto e mesto. Forma e contenuti si distanziano dal clima ribelle appena lasciato, per un primo tema che consiste in una melodia di cantilena religiosa alla voce solitaria del piano. La melodia passa al violoncello, con varianti minime, poi al violino che però dopo poche battute non ne segue più la traccia e la conduce verso l'alto, trasformandola in profondità. È una variazione in itinere, questa, sempre più accentuata, tanto che subentrano mutazioni armoniche e melodiche, con un'ulteriore svolta sul pedale di re bemolle maggiore in cui, lentamente, si intersecano più entrate e spezzoni tematici che formano la frase conclusiva. Il secondo elemento in la maggiore è di lineare semplicità, intonato dal piano solo, echeggiato nell'inciso finale (coda) dal richiamo affettuoso del cello. Prosegue al duo di archi che lo conducono con squisita eleganza sui fioriti arpeggi del piano. Poi, sottoposto a variazione, si trasforma in una frase di passaggio che conduce a un episodio di cristallina purezza su accordi arpeggiati del piano sovrapposti al ritorno suadente dello stesso profilo. Con la ripresa il primo tema è al piano in forma variata e scorciata, poi al violino sul sobbalzante basso ritmico, mentre la frase prosegue esprimendo continui richiami tematici e punta verso l'alto in un dolente ricordo. Tocca anche al secondo tema, sentito al violino rafforzato dal cello, però come spezzato e contrastato dall'ondivago movimento danzante in terzine del piano che crea una sorta di ombroso cluster ritmico. L'ennesimo ritorno del secondo tema, nella voce baritonale del cello insieme al violino, chiude in crescendo l'episodio, introducendo nuovamente il primo tema in imitazione, prima pesante, poi ex abrupto dolcissima, in una sorta di devota preghiera. Infine nella coda, in tempo Molto tranquillo, scandito da metallici accordi del pianoforte, il primo tema, dilatato, espresso com'è in aumentazione, risuona come una scultorea marcia finale.

Nell'Allegretto scherzando un'idea leggiadra di danza si svolge in due periodi: il primo è affidato alla voce del violino, il secondo al cello e poi ancora al violino. Una frase di transizione (Tempo I) prepara il ritorno variato del tema nella tessitura più acuta, sino a invorticarsi e a chiudere su perentori salti discendenti. Così è introdotto il Meno mosso, che vede la ripresa in grande stile del tema principale segnato come grandioso (il secondo periodo), una sua variante ascendente sospesa sulle ultime battute, l'ennesima, vigorosa ripresa del tema (ancora il secondo periodo). Nel Trio una melodia lunga del violoncello è disposta su tre periodi di otto battute con una codetta. Segue una fase di elaborazione con il tema del Trio, però trasformato dalla seconda parte del secondo periodo e sensibilmente variato nel terzo, e un'ulteriore fase, di fattura sviluppativa. Il tema del Trio è poi riscritto nei primi due periodi con alcune varianti, seguito dall'epilogo e dalla ripresa da capo dell'Allegretto scherzando, ma senza ritornelli.

Il Finale. Allegro vivace ci immerge in una temperie romantica, con il suo tormentato motivo introduttivo in sol minore, mosso in sinuose figure di crome. È il preludio per l'esposizione del primo tema, un robusto elemento in si bemolle maggiore dalla frontalità esibita. Il ponte di collegamento conduce al secondo tema in re minore, di taglio diverso nei suoi rotondi arpeggi. Una frase di passaggio modulante porta alla sezione sviluppativa, dove emergono, prima sottovoce gli elementi ondeggianti del secondo tema, poi, icastici, gli stessi incisi resi spigolosi dalla massa accordale e dagli accenti dinamici, infine ancora il calco del secondo tema nella forma più vicina all'originale. Alla fine entra una nuova figura, una melodia espressiva del violoncello, arpeggiata dal pianoforte, echeggiata dal violino, sviluppata in ripetute imitazioni, che conclude la sua storia andando letteralmente a infrangersi sul ritorno del secondo tema che funge anche da frammento di rallentamento. Così la ripresa giunge con naturalezza: tornano il tema introduttivo e il primo, però ridotto per l'inatteso rientro dello stesso tema introduttivo che si inserisce con un lungo episodio di elaborazione. Il materiale, dunque è disposto in modo diverso rispetto all'esposizione, con impreviste mutazioni. La ripresa del secondo tema è presentata con levità dal violino e poi, dopo una frase di cerniera melodica, dal pianoforte in modo simile all'originale. Una frase di passaggio simile all'inizio, è trasformata in una rumorosa cascata di note su massivi accordi collegati in un tutto unico con la stringata ripresa del primo tema e con le veloci scalette di chiusa. Come una sigla definitiva, compare alla fine un breve ricordo del tema introduttivo nell'ultimo, appassionato enunciato.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM168 allegato alla rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 30 agosto 2020