Quartetto per pianoforte n. 2 in mi bemolle maggiore, op. 87


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro con moto (mi bemolle maggiore)
  2. Lento (sol bemolle maggiore)
  3. Allegro moderato, grazioso (mi bemolle maggiore)
  4. Finale: Allegro ma non troppo (mi bemolle minore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: Vysoká (Príbram, Praga), 10 Luglio - 19 Agosto 1889
Prima esecuzione: Praga, Konvikt Sal dell'Umelecka Beseda (Unione degli Artisti), 23 Novembre 1890
Edizione: N. Simrock, Berlino, 1890
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Se il catalogo cameristico di Antonin Dvorak è assai vasto, in esso le composizioni con pianoforte non sono numericamente predominanti. Dvorak non aveva, in effetti, una formazione da pianista concertista, e padroneggiava la tastiera per quel versatile artigianato proprio dei musicisti del suo tempo. Tuttavìa proprio alcuni lavori cameristici con pianoforte acquistano, nel catalogo del compositore boemo, un ruolo privilegiato. Il Trio "Dumky" op. 90, il Quintetto per pianoforte e archi op.81 e il Quartetto per pianoforte e archi op. 87 sono i vertici di una produzione che riflette tutte le problematiche del tempo, secondo soluzioni personalissime e originali.

In primo luogo, Dvorak assimila completamente nella sua musica da camera con pianoforte, quella sorta di "redenzione" per cui, da Schumann in poi, questo tipo di produzione ha ormai rinnegato la propria origine cordiale e disimpegnata, per volgersi a una densità di linee e di spessori che configurano una sonorità spesso allusiva verso l'orchestra sinfonica. D'altro canto è evidente in Dvorak da una parte il richiamo alla classicità, o meglio a quella nuova classicità, rivolta verso l'autoreferenzialità della materia sonora e verso la nitidezza della forma, che era stata propugnata da Brahms; e, dall'altra parte, l'inserimento di temi e ritmi di derivazione folklorica, che riflettono l'irredentismo della borghesia boema, ma valgono anche a donare una componente inconfondibile e sapientemente dosata alla musica cameristica di Dvorak.

In questa prospettiva, il Quartetto per pianoforte ed archi in mi bemolle maggiore op. 87 si colloca verso la fine del catalogo di Dvorak, essendo seguito solamente dal Trio "Dumky" e da alcuni lavori per violino e pianoforte.

Venne scritto nell'estate 1889, a distanza di quattordici anni dal primo Quartetto op. 23 (del 1875) e di un paio d'anni da un capolavoro riconosciuto come il Quintetto op. 81, e si differenzia sensibilmente da entrambi questi lavori. Se il giovanile Quartetto op. 23, primo lavoro cameristico con pianoforte, stentava a trovare un perfetto equilibrio fra la tastiera e gli archi, e non concedeva ampi spazi al materiale folklorico, il Quintetto op. 81 mostrava invece la perfetta integrazione fra tutti gli strumenti, e un trattamento classicamente equilibrato della forma. Il Quartetto op. 87 sembra muovere invece da un principio parzialmente divergente.

Nel primo tempo, Allegro con fuoco, si nota subito l'impronta slava, con un tema esposto all'unisono dagli archi, che verrà sottoposto a numerose elaborazioni nel corso del movimento; e certamente colpisce in questo tempo la plastica consequenzialità delle varie idee, anche piuttosto differenti fra di loro (da notare è che la sezione dello sviluppo contempla una "falsa ripresa", secondo un procedimento caro a Haydn). E tuttavia la logica che innerva questo movimento è soprattutto quella del contrasto fra gli archi da una parte e il pianoforte dall'altra; questa opposizione, immediatamente enunciata all'inizio, si mantiene evidente in tutto il movimento, e trova una risoluzione solo nella coda, nella quale gli strumenti attingono a una riconciliazione, una integrazione.

In seconda posizione troviamo un Lento singolarmente ricco di idee, con ben cinque temi principali; si impone subito la cifra lirica predominante in tutto il movimento, nonché il ruolo concertante del violoncello e del pianoforte; ma non manca anche un episodio fortemente drammatico, affidato prima al violino, e poi, nella riesposizione, al pianoforte. Segue un Allegretto moderato, grazioso, che ha funzione di Scherzo, e assume tenere movenze di danza popolare, non disgiunte da risvolti di sapore orientale; infallibile è qui la definizione timbrica di Dvorak, che si avvale anche di una riproposizione del tema con i tremoli del pianoforte; contrasta il Trio, una brillante danza ceca con le voci che si inseguono a canone.

Movimento piuttosto complesso è poi il Finale, Allegro ma non troppo, per il quale Dvorak sceglie la forma sonata piuttosto che il Rondò; nessuna traccia c'è però della logica oppositiva del tempo iniziale; anche qui i temi (il primo, brillante, e il secondo, più lirico) si avvicendano con plasticità, ma l'intonazione intimamente gioiosa si alterna con un gusto brioso del gioco strumentale; e in fondo fa parte proprio di questo gioco il fatto che questo movimento si apra nella tonalità di mi bemolle minore, volgendosi però presto al modo maggiore.

E appunto nella tonalità d'impianto si chiude il Quartetto, secondo una scelta che è stata giudicata talvolta più convenzionale, ma che appare piuttosto l'esito naturale, riconciliatore e ottimistico, del complesso percorso dell'intera partitura.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Quartetto per pianoforte e archi in mi bemolle maggiore op. 87, scritto nell'arco dell'estate 1889 (e terminato il 19 agosto del medesimo anno), si colloca verso la fine del catalogo di Antonìn Dvoràk, seguito soltanto dal Trio "Dumky" e da alcune opere per violino, e rappresenta uno dei vertici della produzione cameristica dell'autore per la drammaticità e la ricchezza dell'invenzione, la chiarezza della forma e l'equilibrio tra le componenti strumentali.

Articolato in quattro movimenti, è introdotto da un Allegro con fuoco dove l'impronta slava è evidente: gli archi suonano il tema all'unisono e il pianoforte segue con un fluido disegno discendente. Le idee esposte sono subito elaborate e modulate attraverso le tonalità di sol bemolle, sol, si, fa diesis per giungere al tema principale nella tonalità d'impianto, affidato a violino e viola con l'accompagnamento di quartine al pianoforte; poche battute e la viola introduce una seconda idea in sol, molto cantabile, poi ripresa dal violino. Nello sviluppo la scrittura pianistica, ricca di ottave, si contrappone al dialogo stretto tra gli archi in un tortuoso percorso tra modulazioni e rielaborazioni. La ripresa, se pur introdotta dal primo tema, vede protagonista il secondo, riproposto in forma accordale dal pianoforte. Dei lunghi trilli del violino e i furenti ritmi puntati degli archi portano al Poco sostenuto e tranquillo, breve momento di respiro prima di una violenta scarica di ottave all'unisono tra pianoforte e archi, che chiude il movimento.

Il Lento in sol bemolle presenta molte idee tematiche. La prima è una sinuosa melodia affidata al violoncello seguita da eteree quartine di sedicesimi al pianoforte; dopo la ripetizione di questo tema, segue una nuova idea ascendente, affidata al violino, con la viola e il pianoforte che si imitano nell'accompagnamento. Una terza proposta (di pochissime battute), questa volta affidata al pianoforte in forma accordale, giunge su un fortissimo con delle doppie ottave, prima spezzate e poi intere, che modulano su do diesis minore introducendoci a una sezione dal carattere drammatico. Il violino si innalza con il tema in ottave nel fortissimo, la scrittura si infittisce e arriva a modulare in re bemolle, dove un quarto tema affidato al pianoforte nel pianissimo rasserena il clima. Questa sezione, dal carattere introspettivo, sfocia nella ripresa del primo tema in sol bemolle. Subito a seguire il secondo al pianoforte ancora in sol bemolle, il terzo al violino al violino e il quarto, in fa diesis minore, al pianoforte con ardue combinazioni poliritmiche affidate agli archi, utilizzati in maniera ritmico-percussiva. Il pianoforte termina il movimento con il quinto tema in un'atmosfera di pace ritrovata.

Il terzo tempo, Allegro moderato in mi bemolle, ha la funzione di Scherzo tripartito, un Valzer lento al cui interno vi è una grande ricchezza tematica. Dopo una breve introduzione accordale del pianoforte cui rispondono gli archi, si inaugura il primo tema, molto galante, affidato al violino. Poche battute e la seconda idea tematica in sol minore, affidata al pianoforte, molto più lirica e meno frammentata rispetto alla precedente, si distingue per la forte connotazione orientale, cui segue un'ulteriore spunto tematico sempre al pianoforte, con discrete terzine di violino e viola. La funzione di Trio è affidata a una sezione in si (Un pochettino più mosso), divisa a sua volta in tre sezioni: la prima contraddistinta dall'accompagnamento in doppie terzine del pianoforte, la seconda dalle combinazioni poliritmiche tra gli archi e infine la terza sezione connotata dal tremolo alla mano sinistra del pianoforte che riconduce alla prima idea. La ripresa del Valzer chiude il movimento.

Il Finale. Allegro ma non troppo in mi bemolle minore è costruito in forma-sonata. L'esposizione è caratterizzata da un acceso tema all'unisono tra archi e pianoforte che ricorda l'inizio del primo tempo; è evidente il clima di grande fervore che accompagnerà tutto il movimento. Dal primo tema ne nasce uno secondario in sol bemolle, affidato al violino. La scrittura si infittisce sia negli archi sia al pianoforte, dove si alternano passaggi accordali e battute dal forte carattere polifonico. Un'ampia sezione modulante porta al secondo tema esposto dalla viola, dal carattere lirico e vibrante; l'esposizione si chiude con un breve cenno al motivo secondario. Lo sviluppo non presenta alcun nuovo materiale tematico, ma solo una cupa e densa elaborazione di quanto ascoltato in precedenza. I numerosi sussulti degli strumenti e i dialoghi sempre fitti e carichi di tensione culminano nelle ottave del pianoforte, che spalancano rabbiosamente le porte alla ripresa, che a sua volta si conclude con una coda travolgente.

Mario Leone


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 9 Marzo 2001
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 280 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 12 febbraio 2014