Anche nella musica da camera e in special modo nei Quartetti (ne scrisse quattordici) Dvorak riflette quella sua specificità musicale fatta di schiettezza e di cordialità di sentimenti, nell'ambito di una forma classicheggiante che si richiama agli esempi di Schubert, di Schumann e di Brahms, quest'ultimo in rapporti di sincera amicizia e di stima profonda con il compositore boemo. È vero che durante la sua permanenza negli Stati Uniti Dvorak non mancò di utilizzare idiomi della musica indiana e negra, ravvisabili, oltre che nella celeberrima Sinfonia "dal nuovo mondo", nel Quartetto in fa maggiore op. 96, soprannominato appunto "Quartetto americano" per certi ritmi sincopati e disegni melodici derivanti dal folclore statunitense, ma bisogna aggiungere che negli ultimi due suoi Quartetti per archi, quello in la bemolle maggiore op. 105 e quello in sol maggiore op. 106, scritti a Praga dopo il biennio 1892-1894 trascorso a dirigere il National Conservatory di New York, il musicista si libera delle influenze esotiche e torna a manifestare il suo profondo legame al clima espressivo della terra d'origine.
Il Quartetto in sol maggiore è del 1896 e vuole essere innanzitutto un omaggio festoso alla patria boema, ai suoi paesaggi e alla sua natura multicolore, come risulta dalla spigliata tessitura armonica del primo tempo, su cui si innesta una varietà ritmica quanto mai vivace e calda. Due temi si intersecano fra di loro e sviluppano un dialogo serrato e solidamente costruito, nello spirito della forma sonata.
L'Adagio del secondo tempo è nello stile cantabile, tipico della migliore vena creatrice di Dvorak. La struttura è quella della variazione, ma con modifiche dinamiche riguardanti solo alcuni passaggi e non il tema del suo complesso; la figura di accompagnamento "ostinato" del violoncello nella prima variazione si trasformerà in un motivo di imitazione principale e assumerà l'aspetto di un vero e proprio tema. Il discorso musicale si allarga e si intensifica sino a raggiungere una pulsazione armonica in crescendo, per poi sciogliersi in un fraseggio delicato e pensoso, concluso da un triplice pianissimo.
Il terzo movimento è uno scherzo con due trii di piacevole taglio melodico. La frase pentatonica centrale in la bemolle maggiore, la dolce esposizione della melodia nel trio in re maggiore e il ritorno al tema dello scherzo ricordano un po' certi accenti ritmici della Sinfonia "dal nuovo mondo" e del Quintetto ad archi op. 97.
L'Andante sostenuto finale si basa su un tema vigoroso in forma di furiant, caratteristica danza boema. La disposizione e la distribuzione tecnica si attengono al rondò, secondo un criterio ciclico, dove confluiscono tutte le particelle tematiche, congiunte fra di loro e saldate da un fresco umore popolaresco, all'insegna di una inventiva musicale estroversa e naïf.