Quartetto per archi n. 12 "Americano" in fa maggiore, op. 96


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro, ma non troppo
  2. Lento
  3. Molto vivace
  4. Finale
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Spillville (Iowa), 8 - 23 giugno 1893
Prima esecuzione: Boston, New England Conservatory of Music, 1 gennaio 1894
Edizione: Simrock, Berlino, 1894
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Dvorak occupa insieme a Smetana un posto di notevole rilevanza nell'ambito della musica nazionale ceca del secolo scorso. Però, mentre Smetana si richiama nella sua produzione agli aspetti eroici e leggendari della Boemia in lotta per la propria libertà e indipendenza, Dvorak esalta l'anima popolaresca e contadina della sua terra. Infatti in questo artista stimato e tenuto in alta considerazione da Liszt, Brahms, Hanslick e Bülow, si incarna la più schietta tradizione del musicista boemo, legato profondamente al tessuto folklorico, ai costumi e alle cerimonie di una popolazione campagnola e rusticana, ancora lontana da qualsiasi processo di urbanizzazione e di industrializazione. Per questo motivo la sua musica, contraddistinta da inesauribile freschezza melodica e da straordinaria spontaneità inventiva (qualche musicologo lo ha paragonato per queste qualità a Schubert), è ricca di danze e di ritmi nostalgici e allegri, sentimentali e festosi che provengono dal patrimonio etnico boemo e slavo, anche se rielaborati e reinventati con un gusto e una sensibilità di piacevole effetto armonico e strumentale. Natura istintiva, ma non superficiale, sinceramente ottimistica, sorretta da una sincera fede in Dio, Dvorak non ha nulla del compositore intellettuale e tormentato dai problemi linguistici e tecnici: nella sua musica - da camera, sinfonica e operistica - tutto scorre e si sviluppa limpidamente e lungo una scia di assoluta chiarezza di idee, con una straripante pienezza di temi che si articolano saldamente in una intelaiatura strumentale densa di timbri e di ritmi di viva suggestione.

Un esempio di queste caratteristiche musicali di Dvorak si ritrova nel Quartetto op. 96, composto nel giugno del 1893 nella cittadina di Spilville, popolata di boemi immigrati, nello stato americano dello Yowa (si sa che il musicista diresse nel biennio 1892-1894 il National Conservatory di New York, su invito della munifica signora Jeannette Thurber, fondatrice di tale istituzione). Per questo motivo il Quartetto (gli altri tre, in mi maggiore op. 80, in la bemolle maggiore op. 105 e in sol op. 106 furono scritti a Praga) viene chiamato "Americano" anche perché contiene accenti e richiami tematici del folclore statunitense così come avviene nella Sinfonia "dal Nuovo do". Infatti nel primo movimento domina un tema avviato dalla viola e ripreso ampiamente dai violini che riecheggia chiaramente una melodia del folklore americano, tra varietà di armonie e ritmi sincopati, espressioni del sentimento di gratitudine dell'artista verso il paese che lo ospita.

Intensamente emotivo è il secondo tempo Lento, con la malinconica, cantilena dei violini e della viola accompagnati dal pizzicato del violoncello; la frase diventa sempre più insistente e scavata nel suo gioco ripetitivo, sino a toccare con gli accordi gravi del violoncello e con il lugubre tremolo della viola momenti di sconfortante pessimismo. Nel terzo tempo cambia completamente l'atmosfera e ci si ritrova tra le affettuosità melodiche e le piacevolezze ritmiche tipiche della migliore vena creatrice di Dvorak. Ancora più esaltante e ricco di umori popolareschi è il Rondò finale, una pagina di inconfondibile sapore boemo per la qualità della musica spigliatamente naif, impostata su un vivace e scattante andamento di danza contadina, che lascia pensare ad antiche feste nuziali all'aperto.

Ennio Melchiorre

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Quando nel 1892 Antonin Dvorak arriva negli Stati Uniti per dirigere il Conservatorio di New York è già un compositore famoso e senza problemi economici, che può permettersi di scegliere. Per convincerlo a superare l'oceano gli viene infatti offerto un compenso annuale di 15.000 dollari, una cifra favolosa se pensiamo che all'inizio della carriera a Praga, come organista, riceveva un compenso di 80 dollari all'anno.

Negli USA, dove si ferma fino al 1895, Dvorak approda con un ampio bagaglio di esperienze, una solida formazione di stampo brahmsiano e uno sconfinato amore per la musica popolare, evidente nei lavori composti in quel periodo. In realtà in Dvofàk, come avviene per tutti i compositori romantici, il rapporto con la tradizione popolare passa attraverso il linguaggio e le forme della tradizione colta. La musica popolare viene insomma filtrata e sublimata piuttosto che accolta nella sua specificità, come invece avverrà poco dopo con Kodàly e Bartók. A rivelarlo sono proprio le due composizioni più note del periodo americano, la Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 "Dal Nuovo Mondo" (la sua ultima sinfonia) e il Quartetto n. 12 in fa maggiore op. 96 "Americano" (il dodicesimo dei quindici quartetti del catalogo), nelle quali pur in presenza di molteplici allusioni alla musica popolare mancano citazioni dirette di temi popolari, come dichiarò lo stesso compositore, riferendosi alla Sinfonia, in una lettera al New York Herald. I temi "popolari" di Dvoràk sono insomma tutti inventati, anche se possiedono un carattere evocativo-pittorico in virtù dell'uso della scala pentatonica, elemento caratterizzante del folklore in culture di diverse aree geografiche, dalla musica slava a quella irlandese fino alla musica africo-americana e in particolare agli spirituals. Nella scala pentatonica Dvoràk trova quindi l'elemento di congiunzione tra il folklore della sua terra natale, la Boemia, e quello del Nuovo Continente.

Non è allora casuale che la scala pentatonica contraddistingua sia la Sinfonia "Dal Nuovo Mondo", composta tra il gennaio e il maggio del 1893, sia il Quartetto op. 96, composto di getto tra il 12 e il 23 giugno dello stesso anno a Spillville, una cittadina dello Iowa dove Dvoràk stava trascorrendo le vacanze estive. E non è casuale che i temi principali del primo e del secondo movimento del Quartetto richiamino il celebre tema esposto dal corno inglese nel Largo della Sinfonia (tema destinato a diventare un autentico spiritual, con un curioso passaggio dall'ambito colto a quello popolare), come del resto avevano subito notato i critici musicali americani.

Il tema pentatonico che appare nelle battute iniziali dell'Allegro ma non troppo del Quartetto op. 96 è caratterizzato da un ritmo puntato (un elemento che rimanda, sia pure in modo generico, alla musica popolare) e viene affidalo alla viola, il che conferisce alla composizione un colore di sapore inequivocabilmente brahmsiano. Qui, come negli altri movimenti del Quartetto, Dvoràk non usa una scala pentatonica in senso stretto, però ne suggerisce il carattere omettendo quasi sempre, soprattutto nell'esposizione del tema, l'uso della sensibile e privilegiando il diatonismo in modo da suggerire un'atmosfera popolare. All'energico tema d'apertura segue un secondo tema in la maggiore, decisamente più disteso, esposto in pianissimo del primo violino; anche questo tema è di carattere pentatonico ma è privo del ritmo puntato, un ritmo che torna di nuovo in primo piano nello sviluppo, nel corso del quale incontriamo anche una breve sezione canonica (un canone all'ottava). Il movimento si chiude con una riesposizione molto regolare, in cui entrambi i temi vengono presentati in Fa maggiore.

Nel successivo Lento il primo violino espone una suadente e nostalgica melodia a metà strada tra una berceuse e uno spiritual, che si innesta morbidamente sui pizzicati del violoncello, sull'accompagnamento sincopato del secondo violino e sul carezzevole fluire della viola. Anche in questo caso si tratta di una melodia pentatonica, perché siamo in re minore ma la sensibile, il do diesis, compare solo di sfuggita alla sesta battuta. Dal colore scuro del primo movimento la tavolozza timbrica vira verso la luce, con il tema che passa più volte dal violino al violoncello nel registro acuto, a cui è affidata l'ultima esposizione sui pizzicati, alternati all'arco, degli altri strumenti.

Il tema del Molto vivace, in fa maggiore, sempre di carattere pentatonico, sembra imitare il canto di un uccello; invece di basarsi su un tema contrastante, la sezione centrale (una sorta di Trio che fa la sua apparizione per due volte, alternandosi alla prima sezione secondo lo schema A B A B A) si basa curiosamente sullo stesso tema, ma esposto in fa minore e a valori aumentati.

Un carattere danzante pervade il Finale, nella tonalità di impianto di fa maggiore e in forma di rondò-sonata, in cui Dvorak indulge a un tratto pittoresco-onomatopeico nell'accompagnamento in note ribattute del secondo violino e della viola (i colpi di tamburo dei pellerossa?). Anche in questo caso il tema principale rivela dei tratti pentatonici, con rare apparizioni della sensibile (mi) e frequenti passaggi armonici del tipo 1 grado - VI grado - I grado in luogo del consueto I - V - I. Si tratta di una danza molto vivace, pervasa da quel sentimento di serenità che è il tono dominante di tutto il Quartetto e che riflette la quiete della natura in cui era immersa Spillville.

Luca Segalla


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 14 Febbraio 1992
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 336 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 29 luglio 2018