Quattro pezzi romantici per violino e pianoforte, op. 75


Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro moderato
  2. Allegro maestoso
  3. Allegro appassionato
  4. Larghetto
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Praga, 20 - 25 Gennaio 1887
Guida all'ascolto (nota 1)

Se a utilizzare l'aggettivo "romantico" fossero stati Schumann o Mendelssohn non potremmo accontentarci e sarebbe il caso di interrogarci sulla molteplicità di accezioni ed eventuali sfumature concettuali che questa connotazione comporterebbe nell'uno o nell'altro. Tutto nella loro musica (e in parte anche nella vita) è profondamente e propriamente "romantico", con tutte le implicazioni filosofiche, rappresentative, letterarie e - non da ultimo - emotive inerenti quella "Weltanschauung" idealista che ne è il fondamento, ma né Schumann, né Mendelssohn (né Brahms) ardirono mai di definire se stessi o le loro composizioni con un termine così esplicito e allo stesso tempo così impudicamente semplicistico.

Il problema non toccò più di tanto Antonin Dvoràk nel 1887 nel dare alle stampe quattro miniature per violino e pianoforte con il titolo Quattro Pezzi romantici, e poco importa se la scelta sia da ricondurre all'editore Simrock. Nella poetica di Dvoràk il termine "romantico" deve considerarsi una consuetudine lessicale acquisita dalla generazione precedente, che si traduce essenzialmente nella ricerca di un linguaggio armonico che riverbera gli aspetti più brillanti e immediati dell'elemento popolare. Una componente essenziale che fa di Dvoràk uno dei principali esponenti delle cosiddette "scuole nazionali" che negli ultimi decenni dell'Ottocento, anche se limitatamente alle forme più superficiali, segnarono una rinascita dell'interesse verso il patrimonio culturale di tradizione orale soprattutto nelle regioni periferiche rispetto alla Mitteleuropa (e in particolare la Penisola Iberica, la Scandinavia, la Boemia, i Balcani).

Sia nelle grandi che nelle piccole forme, in Dvoràk il processo compositivo rimane comunque ancorato alla grande tradizione europea (Brahms innanzitutto), al cui interno il richiamo all'immaginario popolare emerge piuttosto come dimensione nostalgica per un mondo originario e genuino, in buona parte idealizzato

Con alle spalle una già notevole produzione cameristica, tra cui 11 Quartetti per archi, vari Trii e Quintetti con e senza pianoforte, nel gennaio 1887 Dvoràk si dedica a un progetto apparentemente minore pensato appositamente per esecutori di livello amatoriale o allievi in corso di studi: un Trio in do maggiore per l'insolito organico di due violini e viola. «Il lavoro mi dà piacere quanto scrivere una grande sinfonia» - scrive il compositore a Simrock. «Che ne dici? Naturalmente è destinato a esecutori dilettanti, ma forse non scrissero cose del genere anche Beethoven e Schumann? E con quali risultati!».

L'esperimento fu subito seguito da un altro simile, concepito però come una successione di quattro miniature: Cavatina, Capriccio, Romanza ed Elegia, indipendenti l'una dall'altra ma tutte in forma di Lied tripartito. Se per la pubblicazione si dovrà attendere il 1945 (con il titolo Drabnosti, Bagatelle), i pezzi conobbero un'immediata popolarità nella versione per violino e pianoforte che l'autore redasse nei giorni successivi alla loro composizione e che va per l'appunto sotto il titolo di Quattro Pezzi romantici.

La trascrizione mantiene al violino la parte principale, mentre il pianoforte rileva le parti originariamente destinate al secondo violino e alla viola in una scrittura di fatto spoglia e limitata a formule di accompagnamento ritmicamente uniformi. In questa versione salottiera e al tempo stesso "da concerto", i pezzi perdono il riferimento dichiarato al loro carattere, ma il contenuto musicale è il medesimo.

La Cavatina diventa un Allegro moderato che consegna al violino il suo canto spiegato; il Capriccio cede il posto a un Allegro maestoso nei cui accordi strappati e nella vivacità delle altre figure risuona l'eco di una danza popolare; nel terzo pezzo (Allegro appassionato) il violino torna al lirismo più espressivo e un po' ingenuo, che nel Larghetto conclusivo assume un carattere più dolente, frammentato in cellule declamatorie come in un recitativo, rafforzato nel finale con intensi bicordi.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 aprile 2010


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 10 dicembre 2011