Concerto per violino in la minore, op. 53 (B. 108)

Seconda versione

Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
  1. Allegro ma non troppo
  2. Adagio ma non troppo
  3. Allegro giocoso, ma non troppo
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Praga, 4 Aprile - 25 Maggio 1880
Prima esecuzione: Praga, Národní Divadlo, 14 Ottobre 1883

Vedi al B.96 la prima versione
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Violinista ammirato in tutta Europa per il suo grande virtuosismo, Joseph Joachim fu anche un punto di riferimento per molti compositori, sempre prodigo di consigli sulle tecniche del violino e degli altri strumenti dell'orchestra. Per lui Brahms aveva composto nel 1878 (e successivamente ritoccato, dietro i suoi suggerimenti) il Concerto per violino in re maggiore op. 77; per lui, un anno dopo, scrisse un Concerto anche Antonìn Dvorak, che proprio in quegli anni aveva cominciato a conoscere la celebrità, grazie soprattutto alla stima e all'appoggio di Brahms (che lo aveva sostenuto nell'assegnazione di una borsa di studio, lo aveva raccomandato all'editore Simrock, lo aveva proposto allo stesso Joachim). Dvorak, che aveva da poco portato a termine la prima serie delle Danze Slave, si cimentò con grande entusiasmo nella composizione del suo Concerto per violino in la minore op. 53, che completò in pochissimo tempo, tra il luglio e il settembre del 1879. Ma a Joachim, che pure aveva imparato ad amare la musica di Dvorak eseguendone proprio quell'anno alcuni lavori cameristici, il pezzo non piacque. Secondo una lettera del compositore a Simrock, il Concerto rimase per due anni nelle mani di Joachim, poi fu restituito con una grande quantità di correzioni non solo nella parte solistica ma anche in quelle orchestrali: i principali rilievi di Joachim furono la struttura anticonvenzionale (non c'è introduzione, il primo e il secondo movimento sono collegati da una breve transizione), la sua pesante orchestrazione, e il finale troppo popolareggiante. Benché Dvorak avesse accettato questi suggerimenti e preparato una nuova versione del Concerto nel 1882 (quanto le modifiche si distinguessero dall'originale è impossibile dirlo), anche questa versione non convinse il violinista. E Dvorak, offeso, rifiutò alla fine di affidargli la prima del Concerto, che fu eseguito a Praga il 14 ottobre 1883, da Frantisek Oudricek sotto la direzione di Morie Auger.

Per la sua ricchezza di espressioni, l'intenso lirismo, l'invenzione armonica, la finezza delle idee, il Concerto per violino divenne in breve tempo una delle composizioni più popolari di Dvoràk, insieme alla Sinfonia n. 9 e al Concerto per violoncello. Meno sviluppato del Concerto per pianoforte, mostra però i tratti più tipici del linguaggio musicale del compositore ceco, e tutto il materiale tematico, nonostante qualche reminiscenza del Concerto di Brahms, e del Concerto in sol minore di Bruch (composto anch'esso per Joachim), ha una profonda impronta slava, la stessa che emergerà nella Sinfonia in re maggiore del 1880.

Il primo movimento (Allegro ma non troppo) è un ibrido tra forma-sonata e Rondò che genera un eloquio libero e fantasioso, molto spontaneo, ricco di spunti melodici. Anche la parte del solista pare mossa da un estro improvvisatorio, nella sua esplorazione delle diverse possibilità del violino, ma non alla ricerca dell'effetto virtuosistico bensì di un melodizzare sempre plastico ed espressivo, che testimonia anche la profonda conoscenza che Dvoràk aveva dello strumento. Il carattere energico della scrittura orchestrale, pieno di slanci e di contrasti, è ammorbidito da ampie venature di lirismo e da un perfetto dosaggio dei pesi che permette di lasciare il violino sempre in risalto. Introdotto da un breve "sipario" dell'orchestra, il tema principale viene esposto alternativamente dal solista e da tutta l'orchestra. Dopo lo sviluppo, privo di un intenso lavoro motivico, la ripresa è accorciata per lasciare spazio ad un breve episodio di tredici battute (Quasi moderato, dove il violino solo si intreccia con gli altri strumenti in una delicata trama polifonica) che funge da cerniera con il secondo movimento. L'Adagio ma non troppo, in fa maggiore, che si apre con una melodia espressiva del solista (in 3/8) accompagnata da viole, violoncelli e fagotti, è legato al primo movimento non solo dall'assenza di cesure, ma anche da analoghe matrici tematiche, che però qui acquistano un contegno squisitamente cantabile: è in effetti una specie di Romanza, che ruota intorno a un'ampia melodia del violino, dal carattere molto intimistico e malinconico, interrotta però da alcuni episodi più mossi, e sostenuta da efficaci contrasti tonali e timbrici (come la ripresa in la bemolle maggiore, affidata ai legni sullo sfondo di fanfare delle trombe). Il movimento finale (Allegro giocoso, ma non troppo), in la maggiore, è quello più connotato in senso folklorico. Nella sua scrittura dal tono trascinante e gioioso, con le sortite virtuosistiche del violino, si fondono ancora elementi sonatistici con la forma del Rondò (con quattro intermezzi in tonalità diverse). E nel suo incalzante ritmo di danza (in 3/8) si mescolano elementi tipicamente slavi: il tema principale e quello sussidiario sono in ritmo di furiant (danza popolare boema dall'andamento rapido e dalla caratteristica ambiguità tra ritmo binario e ternario), mentre l'episodio centrale, in re minore è una nostalgica dumka (genere di canto popolare slavo di origine ucraina, dal carattere narrativo), sottolineata dal pizzicato delle viole e dei violoncelli.

Fabrizio Scipioni

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Come aveva fatto con Brahms, per il Concerto op. 77, il celebre violinista ungherese Joseph Joachim chiese a Dvorak di scrivere un concerto per violino e orchestra. Dvorak accettò con entusiasmo e, al solito, completò la partitura in poco tempo, nell'estate del 1879. La prima versione (B. 96) non lo convinse e accettando i consigli di Joachim, ne preparò un'altra e poi una definitiva, nel 1882. Ne uscì un lavoro dal taglio classico, con le migliori caratteristiche del linguaggio di Dvorak. Lo si vede soprattutto nel finale: cantabilità popolaresca del tema principale, brillante forma di rondò, leggerezza di tono, generale ottimismo. Il secondo tempo è impostato su un'ampia melodia del violino. Il primo movimento è invece energico e ricco di contrasti, costituito liberamente, quasi rapsodicamente, a metà fra la forma di sonata e la forma di rondò. Anche in questa versione però il concerto non convinse Joachim. A presentarlo fu Frantisek Oudricek, a Praga, il 14 ottobre 1883, sotto la direzione di Morie Auger.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 28 Gennaio 2006
(2) Testo tratto dal Repertorio di musica sinfonica a cura di Piero Santi, Giunti Gruppo Editoriale, Firenze, 2001


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Ultimo aggiornamento 6 marzo 2013