Písně milostné (Canti d'amore), op. 83 (B. 160)

per voce e pianoforte

Musica: Antonin Dvoràk (1841 - 1904)
Testo: Gustava Pflegra-Moravského
  1. (8) Ó, nasí lásce nekvete to vytouzené stestí (Ah, non sboccerà il nostro amore)
  2. (3) V tak mnohém srdci mrtvo jest (In molti cuori dimora la morte)
  3. (9) Kol domu se ted potácím (Presso la casa dell'amata)
  4. (6) Já vím, ze v sladké nadeji (Lo so, a te con dolce speranza)
  5. (17) Nad krajem vévodí lehký spánek (Una chiara notte di maggio)
  6. (14) Zde v lese u potoka (Nel bosco presso il torrente)
  7. (2) V té sladké moci ocí tvých (Nel profondo dei tuoi occhi)
  8. (4) Ó, duse drahá, jedinká (O tu, unico amore dell'anima mia)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1888

Revisione di Cipressi (B.11) n. 8, 3, 9, 6, 17, 14, 2, 4
Guida all'ascolto (nota 1)

Voce dell'anima sono i Canti d'amore op. 83 di Dvorak, e d'altronde larga parte della letteratura da camera per voce e pianoforte è confessione dell'io narrante: se la poesia stessa è luogo dove il soggetto esprime il suo sentimento, lo sono anche la poesia messa in musica e la musica stessa. Se il Lied caratterizza ma non esaurisce l'intera produzione di Schubert, pur con un lascito che sfiora le seicento composizioni, esso ha un ruolo non preponderante nell'opera di Dvorak: anzi, a rigor di terminologia, non si dovrebbe parlare di Lieder, che sono unicamente quelli su testo tedesco, bensì di lirica da camera, poiché il compositore boemo musicò poesie in cèco di Gustav Pfleger-Moravsky. A tale autore Dvorak si era accostato ben prima dell'op. 83, che risale al 1888. Pfleger-Moravsky gli aveva indirettamente fornito attraverso la propria opera un mezzo per confessare, nell'intimità poetica, un amore giovanile non corrisposto, Josefa Cermàk, la cui sorella Anna diverrà però moglie del compositore. Sull'onda del mancato rapporto con Josefa, Dvorak musicò diciotto liriche nel 1865 dando loro il titolo di Cipressi. La raccolta non uscì) mai a stampa, tuttavia il suo contenuto emotivo fu per Dvorak talmente ineludibile, che egli ne riprese col tempo diverse melodie trasferendole in opere teatrali o trasformandole anche, nel 1887, in un Quartetto d'archi sempre denominato Cipressi. L'anno successivo, la giovanile raccolta fu ancora un serbatoio cui Dvorak attinse otto liriche, rivedendole profondamente e pubblicandole dunque sotto il titolo di Canti d'amore. Ma il pessimistico tono di fondo e il carattere di elegia desolata non vennero meno: nell'op. 83 non vi è gioia, bensì dolore continuo e un costante legame con la morte, appunto funebre o cimiteriale quanto i cipressi.

Ad ogni modo i Canti d'amore vennero ripensati come ciclo unitario che approda a un distacco dalle cose terrene dopo le sofferenze del cuore. In tal senso gli arpeggi dell'ultima pagina, O tu unico amore dell'anima mia, e la limpida tonalità di la maggiore non alludono solo al volo del cigno, come pure la voce non unicamente è intesa quale suo canto in punto di morte: è il volo dell'io narrante al di sopra dei contrasti prima intonati. Come in tutta la letteratura romantica, sussitono anche in Dvorak alcuni topoi dell'amore tradito, come il vano ritornare alla casa dell'amata o il rispecchiarsi solitario nella natura: l'idillio è pura illusione, e proprio per questo la musica gioca sul contrasto dualistico fra l'incanto apparente e la brusca presa di coscienza della realtà. Accade nella prima lirica, Ah non sboccerà il nostro amore, quando il dissolversi della speranza vorrà dire separazione e la musica s'inarca nel fortissimo; accade slmilmente nel quarto (Lo so, a te con dolce speranza), là dove il tono elegiaco è d'improvviso rotto da un tempo più mosso all'emergere doloroso delle lacrime. La natura non è consolatoria: può unicamente suggerire l'idea della morte nell'attimo in cui il torrente, metafora della vita ma con tutta la sua imitazione sonora di scrosci e cascatelle, porta via un sasso (Nel bosco presso il torrente), oppure fornire un'incantevole e prolungata contemplazione (Una chiara notte di maggio) che acuisce ancor più la repentina e finale presa di coscienza dell'infelicità.

Giorgio Satragni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 maggio 2008


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Ultimo aggiornamento 3 aprile 2013