Per quasi un secolo Muzio Clementi era stato considerato soprattutto, se non esclusivamente, come un grande pianista e compositore didattico: ma da parecchi anni ormai, la'critica più avvertita ha sottoposto a revisione codesto giudizio ed ha rivalutato la figura del Clementi sul piano estetico attraverso il riconoscimento degli assoluti valori musicali di molte sue composizioni. A tale processo di rivalutazione ha contribuito notevolmente anche la riscoperta di talune sue Sinfonie che si credevano smarrite o distrutte. In ogni caso l'importanza di Clementi nella storia della letteratura pianistica non è mai stata in discussione: il suo contributo alla radicale trasformazione dello stile clavicembalistico in quello specificamente pianistico e stato essenziale. E se è giusto che le sue più belle Sonate per pianoforte, sarebbero «inconcepibili... senza l'esempio di Haydn, Mozart e Beethoven» (Mila), è altresì vero che la scrittura pianistica di Mozart e Beethoven deve molto all'esempio di Clementi. E resta ancora da acclarare se, il ritorno al contrappuntismo dell'ultimo Beethoven non sia dovuto, almeno in una certa misura, all'esperienza dei lavori di Clementi in istile fugato (o «nello stile difficile» come lo definiva lo stesso compositore). Più che di un rapporto di dipendenza coi classici viennesi, bisognerebbe parlare dunque, nel caso di Clementi, di un rapporto di interdipendenza. Là Sonata in do maggiore data dal 1781 e non appartiene dunque al periodo della piena maturità del compositore. Pertanto il suo stile vi si mostra ancora in formazione e non trascende l'ambito del gusto settecentesco: ma se manca a questa Sonata l'afflato drammatico delle «Grandi Sonate» che Clementi doveva comporre più tardi, non difettano ad essa le qualità di grazia, snellezza e concisione formale che distinguono le migliori e più tipiche musiche del Compositore.
Il primo tempo, un Allegro in 3/4, è costruito su tre motivi, di cui il primo ha l'andamento gaio e saltellante mentre il secondo e il terzo hanno qualcosa della danzante grazia di certi Ländler tirolesi. Lo sviluppo centrale del tempo è ampio e magistralmente elaborato, nei suoi intrecci tematici e nei suoi trapassi tonali ed anche la ripresa si presenta sottilmente variata.
Il secondo tempo è un Adagio ugualmente nel ritmo di 3/4, ma formulato nella tonalità di fa maggiore. Di struttura estremamente semplice e concisa, l'Adagio, presenta due parti: una prima, comprendente una frase di otto battute che vengono ripetute; una seconda (ugualmente ritornellata) che comprende un nuovo motivo, pure di otto battute e la ripresa testuale della prima frase. Il finale è uno spigliato Allegro in do maggiore, scritto nel ritmo di 6/8 ed articolato secondo gli schemi della forma di Rondò.
Roman Vlad