Dodici studi per pianoforte Op. 25


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
  1. la bemolle maggiore: Allegro sostenuto
  2. fa minore: Presto
  3. fa maggiore: Allegro
  4. la minore: Agitato
  5. mi minore: Vivace
  6. sol diesis minore: Allegro
  7. do diesis minore: Lento
  8. re bemolle maggiore: Vivace
  9. sol bemolle maggiore: Allegro assai
  10. si minore: Allegro con fuoco
  11. la minore: Lento. Allegro con brio
  12. do minore: Molto allegro con fuoco
Organico: pianoforte
Composizione: 1832 - 1836
Edizione: Schlesinger, Parigi, 1837
Dedica: Marie de Flavigny contessa d'Agoult
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

A partire dagli anni intorno al 1800 con il termine "Studio" si inizia generalmente a indicare un brano strumentale di dimensioni non molto ampie, interamente costruito intorno a una particolare difficoltà tecnica che, per l'appunto, ci si prefigge di superare. Da allora ogni strumento ha naturalmente sviluppato la sua propria letteratura del genere e in campo pianistico si parla quindi di Studi "per le ottave", "per l'articolazione", "per gli arpeggi" e così via. In realtà questa descrizione dello Studio può adattarsi benissimo anche a molti lavori strumentali nati già nel corso del Settecento caratterizzati dalle stesse finalità tecnico-pedagogiche ma indicati con altri nomi più generici: preludio, esercizio, lezione, capriccio, pezzo... Possono venire alla mente, ad esempio, molti dei Preludi di Bach e molte delle Sonate di Domenico Scarlatti, non dimenticando che le uniche 50 di queste ad essere pubblicate durante la vita dell'autore apparvero, nel 1738, con l'eloquente titolo di Essercizi per gravicembalo.

Inizialmente il termine di Studio viene usato più nell'accezione di "metodo", di "corso di formazione", come ad esempio nella Etude pour le Piano-Forte en quarante-huit Exercises dans tous les tons majeurs et mineurs concepita nel 1826 dal quindicenne Franz Liszt; opera che nella scelta tonale e numerica evidenzia la non piccola ambizione di ricollegarsi idealmente al grande modello bachiano del Clavicembalo ben temperato. Anche se questa ambizione rimane in realtà irrealizzata, i dodici Studi effettivamente licenziati dal giovane Liszt aprono una nuova era nella composizione pianistica. Intanto Liszt continua a lavorare a questo progetto e undici anni dopo, nel 1837, ne pubblica una nuova versione con il titolo di 24 Grandes Etudes pour le Piano. Ma in realtà gli Studi sono sempre e soltanto dodici e dodici restano anche in occasione della terza e definitiva rielaborazione portata a termine nel 1851, quando l'autore toglie definitivamente dal titolo ogni riferimento numerico per aggiungervi quell'aggettivo, "trascendentale", che da allora individua il virtuosismo romantico: Etudes d'exécution transcendante.

A spingere Liszt a riprendere e rielaborare profondamente i suoi Studi del 1826 sono state probabilmente due forti esperienze musicali vissute all'inizio degli anni Trenta: l'incontro con il folgorante virtuosismo violinistico di Niccolo Paganini nel 1832 e quello con la musica del giovane Fryderyk Chopin e in particolare con i suoi Studi. Nel giugno del 1833 il compositore polacco, allora ventitreenne, aveva pubblicato a Parigi le 12 Etudes op. 10, significativamente dedicate «A son ami F. Liszt», seguite tre anni dopo da una seconda serie di altri dodici Studi, pubblicati poi nel 1837 come op. 25, dedicati questa volta «A Madame la Comtesse d'Agoult», che di Liszt era la compagna.

Chopin compone i suoi primi Studi, confluiti poi nell'op. 10, nell'autunno del 1829, a diciannove anni, come esercizi preparatori per aiutarsi a superare alcuni passaggi particolarmente ostici delle sue stesse composizioni di quel periodo. Indubbiamente anche per lui a fungere da detonatore in questa sfida a «tentare l'estremo» (come scrisse Schumann a proposito di Liszt) è stato l'incontro con Paganini, ascoltato più volte a Varsavia proprio nel corso di quello stesso 1829. Uno dei modelli ideali degli Studi chopiniani sono dunque i 24 Caprices op. 1 di Niccolo Paganini, composti intorno al 1805 ma pubblicati a Milano solamente nel 1820. L'altro, molto più che in Liszt, è proprio il Clavicembalo ben temperato di Bach, opera studiata e amata profondamente da Chopin fin dall'infanzia: è impossibile, ad esempio, non cogliere nello Studio in do maggiore che apre l'op. 10 chopiniana le suggestioni del Preludio in do maggiore con cui si apre il primo volume del Clavicembalo. E solo apparentemente Chopin sembra non preoccuparsi troppo dell'ordinamento tonale dei brani, problema fondamentale nella costruzione dell'opus magnum bachiano: certo egli lo fa in maniera assai diversa rispetto a chi lo aveva preceduto di oltre un secolo. Se nell'op. 10 quasi tutti gli Studi sono raccolti in coppie unite dal rapporto tonalità maggiore-relativa minore, nell'op. 25 questo si verifica una sola volta. Ciò non significa affatto che il problema dell'ordinamento tonale dei brani stia meno a cuore a Chopin, ma solo che egli sta cercando nuove vie. Come ha scritto Charles Rosen, nell'op. 25 egli dispone la serie perché funzioni «come un tutt'uno: ogni Studio successivo sembra sgorgare direttamente dal precedente. La tonalità di ciascuno è strettamente connessa a quella del seguente, con l'eccezione degli ultimi due in cui questo disegno si disgrega. In alcune occasioni, è impressionante il modo in cui la conclusione di uno Studio dà l'impressione di preparare l'attacco del successivo».

Negli Studi di Chopin, pagine chiave nella storia dell'evoluzione del linguaggio pianistico, la difficoltà tecnica e lo sforzo e la fatica necessari al suo superamento diventano manifestazione esteriore di una tensione e una sofferenza interiori. Ma al di là della tecnica e del virtuosismo puri, questi Studi si rivelano, anche grazie a diteggiature spesso ardite e sempre originali, straordinari saggi di ricerca sul timbro (massime l'op. 25 n. 1 e n. 6), sul tocco (op. 25 n. 4 e n. 5), sull'indipendenza ritmica (op. 25 n. 2)...

La struttura tipica di questi Studi è quella basata su un'unica idea tematica o figurazione musicale, e quindi su un'unica difficoltà tecnica (arpeggi, op. 25 n. 1; terze, op. 25 n. 6; seste, op. 25 n. 8...), che viene esposta inizialmente nella tonalità principale, poi trasportata in altre tonalità e infine ripresa nella tonalità d'impianto, ma in forma abbreviata e con un'eventuale coda.

Nell'op. 25 Chopin abbandona questa struttura solamente in due casi, costruiti nella tipica forma tripartita di canzone A-B-A', in cui nella parte centrale si assiste alla comparsa di nuovo materiale tematico e a un cambiamento di tempo: ciò avviene nello Studio n. 5 in mi minore e nello Studio n. 10 in si minore che, non a caso, sono i due brani più ampi della raccolta, gli unici a superare le 100 battute. Comunque tutti e dodici sono pezzi brevi e talvolta brevissimi, con delle durate oscillanti fra il minuto circa dello Studio n. 8 in re bemolle maggiore, che conta appena 36 battute, e i quattro minuti e mezzo-cinque dello Studio n. 7 in do diesis minore.

Carlo Cavalletti

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La seconda serie degli Studi chopiniani è stata compiuta nel 1837: la maggior parte di essi erano peraltro già stati composti nel '33.

Si tratta di dodici brani, dedicati a sviluppare ciascuno un prevalente tecnicismo. Il primo (l'«arpa eolia» di una celeberrima recensione schumanniana) si potrebbe definire, alla Debussy, «per le piccole note», il secondo «per il jeu perlé», il quarto «per gli accordi», il sesto «per le terze», il settimo «per il cantabile» o «per la mano sinistra», l'ottavo «per le seste», il decimo «per le ottave», l'undicesimo «per l'agilità sul forte», il dodicesimo «per gli arpeggi».

Terzo, quinto e nono si presentano come dei movimenti continuati («perpetuum mobile» avrebbe indicato Ravel), col carattere di uno «scherzando», capriccio o, come propone Alfredo Casella, badinage, insistendo su sottili tecniche di écartement, rispettivamente su un disegno ad appoggiature, infine, ancora (ma con leggerezza) su risonanze di ottave.

La raccolta è dedicata alla contessa Marie d'Agoult. È affatto inutile ripetere come essa rappresenti, con il Clavicembalo bachiano, l'esempio massimo di una didattica interamente trasfigurata in valori musicali assoluti.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 1 dicembre 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 17 febbraio 1972


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Ultimo aggiornamento 19 aprile 2013