Ai celeberrimi ventiquattro dell'opus 28 si aggiungono nel catalogo di Chopin solo altre due pagine che recano il nome di "Preludio": il Preludio in la bemolle maggiore senza numero d'opera, del 1834, e il Preludio in do diesis minore op.45, scritto nel 1841. Nato su commissione di un editore viennese come contributo per un Album alla memoria di Beethoven, questo brano isolato appartiene agli esiti più alti della produzione chopiniana, sia per vastità d'ispirazione che per impegno formale, e non tradisce affato la sua solenne origine occasionale, se non per una particolare severità e ricercatezza di soluzioni timbriche e armoniche, queste ultime ruotanti attorno alla scelta della tonalità, intima e pensosa, di do diesis minore. Niente di beethoveniano però vi si affaccia: Chopin non si affida a rimandi concreti per modulare senza timori il suo omaggio al titano fra i compositori.
E tuttavia il gesto con cui si apre la densa pagina - quattro battute d'introduzione che ricamano una lunga frase discendente chiusa da un accordo sospeso - sembra spalancare una nostalgia piena di attese e sottintesi. Di lì subito Chopin riprende enucleando, questa volta dal registro grave verso l'acuto, una figura d'accompagnamento simmetrica, che passa in secondo piano allorché ne deriva, quasi per naturale cristallizazione, una melodia di canto arcano, più suggerito che concluso. Ciò che segue non si pone sotto il segno dello sviluppo, ma semmai della variazione, in una caleidoscopica successione di trapassi armonici enarmonici, sovente altalenanti fra maggiore e minore: da cui nasce, quasi per emanazione dei collegamenti tonali, una prodigiosa varietà di colori, nessuno dei quali però acceso, piuttosto sfumato e ricco di vibrazioni intime. L'interiorizzazione della musica avviene per impercettibili trasformazioni di elementi minimi attorno alla melodia del canto, intatta e intangibile, velata di malinconia virile, sospesa su se stessa e avvolta di delicate rimembranze; trattenute prima e, solo alla fine, esplicitate da una cadenza a piacere, quasi finalmente orgogliosa di sé, robusta e decisa nel suo cromatismo avvolgente.
Sergio Sablich
Pubblicata nel 1839, la raccolta dei ventiquattro preludi op. 28 aveva segnato uno dei punti più avanzati sulla via del rinnovamento del linguaggio pianistico operato da Chopin. Si trattava di una serie in sé perfettamente compiuta. Ma ad essa Chopin dette un singolare seguito con il Preludio in do diesis minore pubblicato a parte nel 1841. Ricchissimo di modulazioni, li Preludio sfrutta diversi spunti tematici in un iridescente gioco di trasposizioni dall'una all'altra mano. Spunti che poi, prima della conclusione, si raccolgono in una serie di accordi di quattro suoni con i quali Chopin costruisce una squisita cadenza (tutta in pianissimo e leggerissima) che è forse il tratto più nuovo della composizione e che sembra contenere, in nuce, il futuro pianismo di Debussy e di Skriabin.
Bruno Cagli