Tre notturni per pianoforte, op. 9


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
  1. si bemolle minore: Larghetto
  2. mi bemolle maggiore: Andante
  3. si maggiore: Allegretto
Organico: pianoforte
Composizione: 1830 - 1831
Edizione: Kistner, Lipsia, 1832
Dedica: Camille Pleyel
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Le storie della musica sostengono che fu il compositore irlandese John Field (Dublino 1782 - Mosca 1837), allievo a Londra di Clementi, a dare vita e forma compiuta al notturno pianistico come pagina lirica schiettamente sentimentale, costruita su melodie accompagnate e ornamentate. Ma non c'è dubbio che a Chopin va il merito di aver arricchito questo genere musicale di tante emozioni e seduzioni misteriose, quali si ritrovano nella poesia romantica evocatrice della notte, dove l'umano si annienta nel divino, di Young, Jean Paul e Novalis, ispiratori anche di Schumann e Wagner. Nei venti Notturni chopiniani si avverte inoltre l'influenza del vocalismo operistico italiano, specie belliniano, ma la maniera di cantare e di elaborare la melodia con sfumature timbriche di estrema delicatezza è tìpica dello stile personale e inconfondibile del musicista polacco. In questi componimenti, e non solo in essi, la tecnica pianistica è in funzione dell'opera d'arte valutata al di fuori di ogni speciale metodo, di ogni particolare gioco delle dita, della mano, del polso.

I tre Notturni dell'op. 9, apparsi tra il 1828 e il 1830, furono dedicati da Chopin a madame Pleyel. Il primo è nella forma del lied tripartito, con una melodia centrale in ottave che sembra imprimere maggiore varietà e movimento: per l'accompagnamento l'artista inventa arabeschi e figurazioni fantasiose, mai sperimentate prima di lui. Il secondo Notturno in mi bemolle maggiore è un pezzo popolarissimo per la sua straordinaria efficacia espressiva; è costruito su due elementi melodici di quattro battute che si alternano, uno quattro volte, con ornamenti, l'altro due volte, più una coda e una cadenza. Il tema verso la fine tende a dissolversi e a trasformarsi in un fugace arco luminoso. Al contrario, il Notturno in si maggiore sembra meno denso e più rapsodico nel suo discorso armonico, pur distaccandosi nettamente dal modello fieldiano.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Era in genere verso mezzanotte che si abbandonava, quando i grandi cravattoni se ne erano andati, quando l'argomento politico del momento era stalo a sufficienza dibattuto, quando tutti i maldicenti avevano esaurito i loro aneddoti... solo allora, obbedendo alla muta richiesta di due occhi intelligenti, diveniva poeta e cantava gli ossianici amori degli eroi e dei suoi sogni»: così scrive sul Journal des Débats Hector Berlioz il 27 ottobre 1849 nel necrologio a Fryderyk Chopin ricordando le serate musicali di cui egli era l'animatore, riscaldate dall'esecuzione di raffinati Valzer, di popolari Mazurche, di fantasiosi e incantati Notturni. Proprio i Notturni, di queste serate rappresentavano il momento più intimo, raccolto, meditativo.

Era dall'irlandese John Field, allievo di Clementi, anch'egli come Chopin compositore e virtuoso assai in voga, che Fryderyk aveva ereditato l'arte di questa particolare forma. I Notturni di Field, derivati dalla serenata cameristica o sinfonica e trasferiti sulla tastiera, possedevano sonorità sfumate e tinte delicate, chiaroscurali. Soprattutto derivavano dall'arte italiana del belcanto, dal gusto e dalla passione per l'opera lirica: elementi riscontrabili nelle lunghe e sinuose melodie, nella cantabilità ornata della linea, nell'eloquio dolce, tenero, carezzevole. Ed è questo un punto in comune fondamentale, un tratto fortemente presente anche in Chopin, che rivestiva le sue delicate melodie da cavatina e serenata con sostegni armonici in accordi ribattuti o in larghi e vaporosi arpeggi e coltivava l'arte della fioritura come un delicato cesello, facendo dell'ornamento non un artificio condotto dall'esterno, ma parte integrante della melodia. Questa familiarità con la parola cantata era così forte che Chopin ricordava spesso ai propri allievi di rifarsi, durante l'esecuzione dei Notturni, al fraseggio di grandi maestri e interpreti come la Grisi, Rubini, la Malibran. La struttura di questi Notturni rifletteva in alcuni casi un'architettura in una o più sezioni, ma del medesimo tema e clima espressivo, elementi anch'essi mutuati da Field. Ma Chopin creò anche Notturni di contrasto, ovvero con sezioni spiccatamente divergenti, arricchite da armonie ardite e raffinatissime, con modulazioni lontane, impetuosi cromatismi e profondi scorrimenti tonali.

I tre Notturni op. 9, risalenti al 1829-31 e pubblicati alla fine del 1832, erano dedicati a Maria Pleyel. moglie del noto costruttore di pianoforti. Il n. 1 in si bemolle minore è contrassegnato da un tema raffinato costruito in modo estremamente ingegnoso eppure semplice, ricavato dalla scala discendente della tonalità d'impianto con l'aggiunta di poche note accessorie; la parte centrale del brano è al contrario una melodia con raddoppio d'ottava e priva di ornamentazione, nell'Epilogo trasformata quasi in un moto immobile che restituisce l'idea di languido abbandono, di statico cullarsi sull'ondulato arpeggio del basso. Il pezzo si conclude con la ripresa del tema d'apertura, impreziosito da qualche delicata nota ornamentale e proseguito in una coda improvvisamente cangiante al modo maggiore.

Di altro carattere il Notturnoop. 9 n. 2, scolpito su un grazioso tema dall'aura sentimentale: melodia cantabile dall'ampio respiro che faceva dire a Chopin di rifarsi nell'eseguirlo a M.me Giuditta Pasta e allo stile di canto italiano. L'architettura è caratterizzata dall'alternanza tra le cicliche riapparizioni del tema in forma di variazione e le frasi di transizione che fanno da trait-d'union. Nella coda, reminescenze del tema principale e della frase di transizione riemergono ancora con delicatezza mentre un'iridescente cadenza pianistica si spegne infine su di un morbido arpeggio finale.

Nel numero tre della serie, il Notturno in si maggiore, un tema dolce e malinconico è ripreso più volte e più volte variato, seguito anche da un secondo tema dal tratto ondulato e di sapore sentimentale. Dopo che ancora il primo tema scorciato e il secondo tema sono ripetuti, la prima parte è conclusa da un'ultima, carezzevole apparizione del segmento tematico iniziale. È un momento di calma generale, di placida quiete, e perciò tanto più suona imprevista l'irruzione di una sezione centrale ove, di colpo, la melodia letteralmente scivola sprofondando al basso in un agitalo e drammatico movimento tematico che più volte affiora in successive, frementi rielaborazioni. Come si vede, si tratta di una struttura sostanzialmente nuova rispetto alle precedenti: a una prima sezione bitematica segue una vera e propria parte centrale di polarità opposta, concitata e con un'idea del tutto nuova, prima che il ciclo tripartito si concluda con il ritorno della prima sezione. In questo brano la ripresa del tema d'esordio - sottoposto a fantasiose varianti - si spegne su una scintillante cadenza proseguita su una coda in lento arpeggio.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 11 novembre 1977
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al nunmero speciale AMS 060-61 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 30 gennaio 2017