Fantasia in fa minore per pianoforte, Op. 49, BI 137, CI 42


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
Organico: pianoforte
Composizione: 1841
Edizione: Schlesinger, Parigi, 1841
Dedica: Caterina Souzzo
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Da un pezzo che reca il titolo di Fantasia, e che non è la consueta parafrasi di parata su melodie popolari o temi d'opera, ci attenderemmo un concentrato di improvvisazione e di virtuosismo, di immagini poetiche e di divagazioni sentimentali, estrose e rapsodiche. Non è così. Pur nell'essenziale libertà della forma, che definisce uno schema inclassificabile, o meglio passibile di più classificazioni, la Fantasia in fa minore op. 49 - un unicum nella produzione di Chopin - è un'opera solidamente impiantata, condotta, forse proprio per sfida, con una logica di costruzione particolarmente compatta. Scritta nella prima parte del 1841, fu rielaborata a più riprese nel corso dell'anno, come se Chopin non si stancasse mai di limarla, fino alla pubblicazione, avvenuta tra il novembre 1841 e il gennaio 1842 con la dedica alla principessa Catherine de Souzzo, sua allieva: coesistendo con una costellazione di lavori nei quali la ricerca compositiva raggiunse vertici assoluti ma chiusi in se stessi (la Polacca op. 44, il Preludio in do diesis minore op. 45, la terza Ballata op. 47, i due Notturni op. 48 e le tre Mazurche op. 50), tanto quanto invece essa tendeva a una perfezione continuamente spostata verso l'indefinito. Ed è forse in questo senso che va intesa la scelta del titolo, sulle cui ragioni peraltro Chopin non si espresse mai.

La composizione si apre con un tempo di marcia in 4/4 su un ritmo puntato un po' esitante, a metà strada tra il funebre e l'implorante, il meditativo e il narrativo, che si estende ad arcate discendenti e ascendenti per 42 misure. Il fatto che questa sezione, in fa minore, una volta presentata non ricompaia più in seguito, può far pensare a un'introduzione, anche se il suo carattere severo e marcato, impreziosito da una scrittura ornamentale più colorita, individua un clima di fondo che non sarà mai del tutto abbandonato. La parentesi accesa di una serie di arpeggi, che assumerà poi quasi la funzione di ritornello, collega la presentazione di tre gruppi tematici nettamente distinti: il primo, in la bemolle maggiore, agitato e inquieto; il secondo, in do minore, più sereno e sognante; il terzo, in mi bemolle maggiore, eroico e quasi affermativo. Alla fine dell'esposizione il tono della marcia si muta da funebre in trionfale. La successione delle tonalità indica un piano preciso, meticoloso: dal fa minore iniziale si diparte una progressione per terze ascendenti, alternativamente minori e maggiori, a due a due relative.

La sezione che segue può essere considerata di sviluppo, ma non configura alcun vero e proprio svolgimento lineare, semmai una rotazione con una brusca, inattesa interruzione; dopo la riproposizione del primo e del secondo tema, sempre accompagnati dagli arpeggi, ora rispettivamente in do minore e in sol bemolle maggiore, Chopin introduce un episodio fortemente contrastante per tempo, tonalità, movimento e carattere: un Lento, sostenuto in 3/4 e in si maggiore, con carattere di corale, raccolto e devoto. Esso assume su di sé ora la gravità della marcia introduttiva, sospendendosi di colpo dopo 24 misure. La ripresa riespone in forma leggermente accorciata e variata, ma nello stesso ordine, i materiali dell'esposizione, riprendendo il discorso là dove si era interrotto, mentre il circolo delle tonalità si dispone simmetricamente a specchio portandolo a conclusione: si bemolle minore, re bemolle maggiore, fa minore e infine la bemolle maggiore sono le stazioni di questa ricomposizione.

Questa ferrea maglia tonale racchiude un'estrema varietà di atteggiamenti e di trasformazioni. Il timbro, che in alcuni momenti si allarga a una dimensione sinfonica, sembra in altri evaporare in una nuvola di suono, perdersi in lontananze fantastiche, toccando gamme vastissime di espressione, dal canto di dolore al fiero accento patetico, dal ripiegamento lirico alla perorazione declamatoria. L'impressione di una certa frammentarietà permane nonostante il rigore della struttura interna, come se le parti, nel loro incastro, mantenessero un che di elusivo, di estraneo: momenti legati a qualche sottinteso sfuggente, a drammi e stati d'animo appena sfiorati. Schumann, che non aveva questa Fantasia tra i suoi pezzi preferiti, la considerava audace, ricca di singoli spunti geniali, ma non riuscita nella forma. E si domandava quali immagini potesse aver avuto davanti agli occhi Chopin quando la scrisse: non immagini gioiose, sicuramente. Da una Fantasia egli si attendeva probabilmente una traccia poetica più definita e ariosa, meno allusiva e vaga, senza apparentemente sospettare che Chopin in quest'opera era andato oltre un programma, cercando nella libertà della forma una problematica sintesi di classicità e romanticismo.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 1)

Il termine «Fantasia», così come lo concepisce Chopin, si richiama alla forma-sonata in più tempi, secondo i modelli di Beethoven e di Schubert, e non ha nulla della forma di variazione su un motivo d'opera, quale l'aveva concepita invece Liszt, che utilizzò temi di melodrammi più o meno famosi nel suo empo per scrivere un tipo di componimento che prendeva, appunto, il nome di fantasia. Infatti la Fantasia in fa minore, composta fra gennaio e maggio del 1841 e dedicata alla principessa De Suozzo, ha la classica ripartizione in allegro - adagio - allegro, anche se appare costituita da un solo movimento, in cui confluiscono il tempo di marcia, il corale, il recitativo e la scrittura sinfonistica. Per questa ragione l'op. 49 ha una struttura ampia e articolata che fa pensare ad un poema musicale, dove si alternano immagini epiche ad evocazioni di delicato lirismo, tipiche della genialità e dello stile di Chopin. Un solenne ritmo marziale e di marcia caratterizza la sezione introduttiva della Fantasia, che sfocia in un motivo nobilmente cantabile e di ampio respiro, il cui incedere solenne assume un tono di ideale epopea. Un ondeggiare di fluttuanti arabeschi dissolve il ritmo dal piglio guerriero, che riaffiorerà a conclusione dello sviluppo di un tema ardente e appassionato.

Dopo una temporanea calma nella lotta fra armonie e tonalità diverse l'atteggiamento marziale si trasforma in un canto corale e di raccoglimento religioso. Ma ben presto lo scontro fra ritmi ternari e binari, fra accesi cromatismi e schiarite melodiche riprende in modo vivace e tumultuoso, fino a raggiungere una intensità di epica risonanza e di spirito byroniano, come l'ha definito uno studioso dell'opera pianistica di Chopin.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

La Fantasia in fa minore op. 49, scritta nella piena maturità artistica di Chopin (1842), è annoverata tra i più alti capolavori della letteratura pianistica, soprattutto per la intima omogeneità formale e spirituale ch'essa conserva pur attraverso gli episodi di diverso carattere in cui si articola. Il primo di tali episodi ha andamento di marcia e il suo caratteristico ritmo puntato, ritornando di scorcio in momenti successivi, costituirà uno degli elementi d'ideale raccordo a tutta la composizione. La marcia si dilegua alla fine nei suoni scuri di terzine il cui iniziale slancio verso l'alto sarà bloccato più volte da corone o stroncato dal brusco taglio di un violento si bemolle in unisono, finché, rotte le barriere, questa specie di tempo di sonata a due temi può prendere il suo libero corso. L'appassionata concitazione tocca il suo acme in una serie di figurazioni a moto contrario delle due mani: rapide sventagliate sonore di stupendo effetto dalle quali, come araba fenice, riemerge ogni volta il modulo ritmico della marcia iniziale.

Si prepara così l'ingresso ad un nuovo canto, massiccio, quasi soldatesco. Ad esso succede una ripresa dell'episodio bitematico, in diversa tonalità. Un lungo "sfumando" fin nei registri più acuti, poi una morbida scivolata d'ala, infine il canto "religioso" del Lento sostenuto; canto che, a parte la bellezza intrinseca, rappresenta un magnifico reagente al drammatico ribollimento udito fin qui.

Con poche varianti, e su mutati piani tonali, si ha di seguito la ripresa parziale della prima parte (esclusa la marcia d'apertura). Un breve recitativo rimemora il canto del Lento; infine una serie di arpeggi sigilla l'opera nella tonalità maggiore.


(1) Testo tratto dal programma di sala del 63° Maggio Fiorentino, 24 Maggio 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 marzo 1984
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana;
Roma 11 novembre 2012


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Ultimo aggiornamento 21 novembre 2012