Concerto n. 1 in mi minore per pianoforte e orchestra, Op. 11, BI 53, CI 47


Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
  1. Allegro maestoso
  2. Romanza: Larghetto
  3. Rondò: Vivace
Organico: pianoforte solista, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Aprile - Agosto 1830
Prima esecuzione: Varsavia, Teatro Nazionale, 11 Ottobre 1830
Edizione: Schlesinger, Parigi, 1833
Dedica: Friedrich Kalkbrenner
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Chopin scrisse i suoi due Concerti per pianoforte e orchestra tra i 19 e i 20 anni d'età, quando ancora si trovava a Varsavia; furono pubblicati durante il periodo parigino, il Concerto in mi minore nel 1833 come op. 11 mentre il Concerto in fa minore, composto precedentemente, fu stampato nel 1836 come op. 21. Resta singolare che nella seconda metà della sua esistenza, dopo aver abbandonato la Polonia, Chopin non abbia più scritto alcun lavoro per pianoforte con accompagnamento d'orchestra.

Se Liszt, che pure fu un grande ammiratore dell'arte di Chopin, osservò che nei due Concerti c'era, a suo giudizio, "plus de volenté que d'inspiration", Schumann era disposto a spezzare la sua penna di critico musicale di fronte alla grandezza di questi lavori. In merito ai quali nell'Epistolario dell'autore le notizie e i commenti sono assai più numerosi di quanto vi figuri in merito a qualsiasi altra sua composizione, dal momento che l'ispirazione s'intrecciava strettamente alla biografia. Al pari del Larghetto del Concerto in fa minore, la Romanza del Concerto in mi minore è definita una autentica professione d'amore, con le parole "una meditazione nel bel tempo primaverile durante il chiaro di luna" (Cfr. Lettera del 3 ottobre 1829 a Tytus Wojciechowski). In linea generale l'eloquio musicale chopiniano in questi Concerti è del tutto personale pur se numerosi studiosi, e in particolare lo Schering, vi ravvisarono l'influenza dei Concerti virtuosistici di Kalkbrenner e di Hummel, due compositori che allora dominavano il campo.

La stesura del Concerto in mi minore impegnò Chopin tra il marzo e l'agosto del 1830: la conferma che egli scrivesse il primo movimento in tale periodo la si rinviene nella lettera del 27 marzo allo stesso Wojciechowski al quale, in un'altra lettera del 25 maggio, viene riferito che il Rondò conclusivo era allora in gestazione. Da un'altra lettera del 31 agosto al medesimo destinatario si apprende che in quel mese Chopin si era proposto di far una prova d'insieme di tale partitura con un quartetto d'archi nella casa dei genitori, "allo scopo di familiarizzare gli strumentisti non solo con la lettura del testo ma anche col genere di interpretazione più adatto". Qualche giorno dopo, alla metà di settembre, Chopin comunicò a Wojciechowski che la prova aveva avuto luogo e che era "abbastanza soddisfatto ma non troppo". Assai importante è un'altra lettera allo stesso amico, quella del 22 settembre, in cui il compositore ebbe a confessare: "Ora si tratta di suonare in pubblico il Concerto e mi trovo nel medesimo stato in cui ero quando ignoravo tutto del pianoforte. C'è bisogno d'una esecuzione speciale... Il Rondò fa effetto e l'Allegro è buono...".

La prima esecuzione assoluta del Concerto in mi minore coincise con l'ultima esibizione in pubblico di Chopin prima della sua partenza dalla Polonia, e si svolse al Teatro Nazionale di Varsavia l'11 ottobre 1830 con l'orchestra diretta da Warlo Ewasio Soliwa. L'indomani, al fedele Tytus, Chopin scrisse: "II mio Concerto è riuscito bene: non avevo alcun timore, ho suonato come quando mi trovo da solo. Sono soddisfatto. La sala era piena. Dopo il pezzo d'inizio, la Sinfonia di Goerner, ho suonato l'Allegro in mi minore, che pareva andasse da solo, su un pianoforte Streycher. Applausi assordanti. Soliwa era contento. Poi si è eseguita l'Aria con coro di Soliwa che M.lle Volkow, vestita d'azzurro come un angelo, ha cantato con slancio. Seguivano l'Adagio e il Rondò; e poi c'è stata la pausa. E nella seconda parte altre musiche, di Rossini e di altri". Le recensioni della stampa? Una sola menzione, quasi di sfuggita, nel "Corriere di Varsavia", fece intendere a Chopin che l'opinione pubblica aveva cessato di mostrare qualsiasi interesse per lui. Nemmeno una parola, su quel Concerto, fu dedicata dagli altri giornali polacchi.

Neanche un mese dopo, al termine di un breve riposo in campagna a Zelazowa Wola, Chopin provvide a rassicurare Wojciechowski che nulla l'attraeva all'estero ma che s'era deciso a partire soltanto "per soddisfare la vocazione e il buon senso": tutti infatti attorno a lui, dal padre agli insegnanti ai giovani amici, lo incoraggiavano al viaggio all'estero che doveva consacrare la sua affermazione come concertista di pianoforte. Seppur a malincuore, Chopin stesso s'era deciso a tale passo, rendendosi conto che nel clima artistico di Varsavia, in cui l'unica cultura musicale che avesse solide radici era l'opera di gusto italiano, non vi erano le condizioni propizie al suo successo. E, per di più, le autorità gli avevano negato una borsa di studio per un soggiorno in Germania, Italia e Francia: nel comunicargli l'esito negativo a tale richiesta, il ministro Mostowski precisò che "la commissione governativa e la polizia non potevano condividere l'opinione che i fondi pubblici fossero destinati ad incoraggiare artisti sprecati e senza avvenire". Alla vigilia della partenza, fissata per il 2 novembre 1830, Chopin fu calorosamente festeggiato dagli amici che, dolorosamente presaghi del futuro, donarono al giovane artista una coppa d'argento contenente alcune zolle di terra polacca.

Dedicata a Friedrich Kalkbrenner, la partitura del Concerto in mi minore s'apre con l'Allegro maestoso, il movimento più ampio, di gran lunga più orientato ad una solidità costruttiva. Un Tutti dell'orchestra presenta i due temi principali, l'uno nella tonalità di mi minore, l'altro in mi maggiore: il primo soggetto, dopo un risoluto inizio in forte, cede il campo ad una frase in piano e legato espressivo, che è una tipica manifestazione dello "zal", la malinconia polacca; il secondo tema, contrassegnato dalla didascalia cantabile, ha un incedere di elegante gradevolezza. Il solista entra con vigore e riespone i temi, trascorrendo ben presto da sonorità poderose ad una accattivante cantabilità, per procedere poi, attraverso magiche figurazioni e ornamentazioni virtuosistiche, sino ad un culmine in fortissimo, eseguito dal Tutti. L'inizio dello svolgimento, che è una pagina d'intensa poesia, si basa sul motivo malinconico del primo gruppo tematico, affidato al solista in do maggiore con la didascalia dolce ed espressivo; subentrano poi passaggi di bravura ed un febbrile episodio cromatico conduce alla ripresa. A questo punto si nota una nuova deroga rispetto allo schema tonale tradizionale, in quanto il secondo soggetto viene presentato in sol maggiore anziché in mi minore. Una vibrante Coda sigla il movimento con ardenti virtuosismi del solista che approdano a un Tutti orchestrale.

Del Larghetto in mi maggiore, intitolato Romanza, Chopin, secondo una lettera all'amico Tytus, precisava che non doveva essere "energico, ma piuttosto romantico, tranquillo, malinconico, per dare l'impressione di uno sguardo gentile al luogo che risveglia nel pensiero mille cari ricordi. È una meditazione nel bel tempo primaverile, ma durante il chiaro di luna: perciò l'accompagno con le sordine". Dopo una breve introduzione dell'orchestra, il pianoforte espone il tema principale, caratterizzato da una estrema dolcezza; un episodio intermedio viene dipanato dal pianoforte accompagnato dagli archi in sordina; ricompare poi al pianoforte, con vari abbellimenti e sviluppi, il tema principale, che viene affidato alla fine agli archi, mentre il pianoforte esegue eleganti e quiete figurazioni.

Senza soluzione di continuità, il Larghetto si collega al Rondò finale, anch'esso in tonalità di mi maggiore, dopo l'avvio in do diesis minore con un breve e risoluto Tutti dell'orchestra, che trascorre presto alla tonalità d'impianto di mi maggiore, precedendo l'entrata del pianoforte con il tema principale. Tale soggetto, che costituisce il ritornello del Rondò, viene presentato in piano scherzando e si alterna quindi, secondo lo schema classico, con altri temi. La struttura adottata viene attraversata da sfolgoranti episodi di virtuosismo di bravura ed è percorsa da ritmi di danze popolari. Nel terzo tema del movimento si ascolta esplicitamente il ritmo della danza nazionale polacca denominata Krakoviac: più antico della Polacca, il Krakoviac è una danza della regione di Cracovia in tempo 2/4 e con numerose sincopi nella melodia e nell'accompagnamento, risorse che Chopin sfrutta ampiamente durante lo svolgimento del Rondò, pur nella brillante stilizzazione dell'incedere musicale. Singolare appare, ad un certo punto, la riapparizione del ritornello in mi bemolle, un semitono sotto la tonalità d'impianto. La Coda, da ultimo, è una pagina di magistrale scrittura pianistica, per nulla inferiore ad alcuni dei coevi Studi.

Luigi Bellingardi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La circostanza più curiosa da rilevare, presentando una guida all'ascolto del Primo concerto per pianoforte e orchestra op. 11 in mi minore (1830) di Frédéric Chopin, è la dicotomia - mai colmata - tra il favore che il pezzo ha sempre goduto da parte del pubblico e la scarsa stima che gli ha invece tributato la critica. Se l'amore per questo capolavoro (abbiamo introdotto già una nota di merito, per ora del tutto personale, ma che cercheremo di chiarire in seguito) non sembra accennare a diminuire d'intensità (ne siano testimonianze anche le frequenti incisioni ed esecuzioni dal vivo da parte dei maggiori virtuosi di tutti i tempi), la critica non ha invece di molto modificato il proprio parere. Infatti, si continua a sentir parlare di scrittura orchestrale sin troppo povera (persino un critico attento e autorevole come Piero Rattalino ha definito, in una recensione, la parte orchestrale come "quattro note di sostegno"), di spostamento del peso specifico del concerto unicamente sul solista, di mancata adesione nella costruzione dei movimenti al modello classico, addirittura di una fallace preparazione come orchestratore. La prima "stroncatura" eccellente è firmata nientedimeno che da Franz Liszt (ed è abbastanza singolare, dato che i due Concerti per pianoforte composti dal maestro magiaro non è che si discostino molto dalla struttura formale di quelli chopiniani), ed è consultabile nel suo saggio dedicato al polacco. Tra parentesi, per amor di completezza, va aggiunto che Liszt fu, assieme a Schumann, uno dei più accaniti difensori della musica di Chopin; proprio per tale ragione, allora, bisogna interrogarsi sul perché di quest'incomprensione. Uno dei motivi più plausibili è che si giudichino i Concerti per pianoforte del compositore polacco (nella critica solitamente si accomuna anche il Concerto op. 21) accostandoli alla tradizione classica, situandoli su quella linea che passa dall'ultimo Mozart, Beethoven per giungere sino a Brahms, senza dimenticare Schumann. Come però giustamente rileva Castone Belotti nella sua monografia su Chopin, «a quel tempo, i Concerti di Beethoven erano in sostanza sconosciuti a Varsavia, mentre erano molto popolari quelli di un gruppo di compositori, Ries, Kalkbrenner (al quale, non a caso, il Concerto op. 11 è dedicato, N.d.R.), Kummel, Field (che Chopin utilizzerà anche come punto di partenza per sviluppare il genere dei Notturni, portato da quest'ultimo verso altezze siderali, N.d.R.), nei quali l'orchestra era concepita come semplice accompagnamento dei passi 'espressivi' o 'virtuosistici' del pianoforte solista [...]. Lo strumentale di questi concerti è grandemente ridotto, al punto che, se si eccettuano le Introduzioni, le conclusioni orchestrali e qualche tutti che separa una sezione dell'opera dall'altra, l'orchestra si limita spesso a pochi tocchi e talvolta tace del tutto». Dunque, bisogna cambiare modello al quale confrontare Chopin; non più Beethoven - per il quale, tra l'altro, il musicista polacco provava poco meno che avversione -, bensì i celebri pianisti virtuosi/compositori dell'inizio dell'Ottocento, rango al quale sfuggirà Chopin (restio ad esibirsi in pubblico, cosa che fece per un periodo limitato e sempre di malavoglia), non certo Liszt (se si eccettua l'ultimo periodo della sua lunga vita).

È inoltre piuttosto facile confutare anche il rilievo che vorrebbe Chopin orchestratore e strumentatore debole; il giovane polacco fu allievo, per la composi/ione, di un degnissimo maestro quale Jozef Elsner, a quel tempo molto noto anche come autore di musiche teatrali e orchestrali. Tanto per fare un esempio, si rileverà che, nella partitura autografa del Rondò alla Krakowiak op. 14, pezzo concepito seguendo in maniera simile il Concerto op. 11, è possibile leggere una correzione nella parte dei corni, firmata dal maestro Elsner. Allora, è facile intuire che l'allievo mostrava le sue fatiche al maestro e che costui le correggeva, ove lo ritenesse necessario. Del resto, non è un caso se un genio dell'orchestrazione quale fu Berlioz, prese proprio i tremoli e i pizzicati degli archi nel Larghetto dell'op. 21 (inscritto a catalogo come Concerto n. 2, in realtà composto per primo) ad esempio, pubblicando lo stralcio nel suo celebre Trattato d'orchestrazione.

Composto nell'estate del 1830, e pubblicato a Parigi da Moritz Schlesinger nel 1833, il Concerto op. 11 risente, soprattutto nella natura lirica e sentimentale del movimento centrale, l'influsso dell'infatuazione del giovanissimo maestro per la cantante Konstancja Gladkowska. È strutturato in tre movimenti, ossia Allegro maestoso, Romanza: Larghetto e Rondò vivace. Chopin decise di presentarlo ai suoi concittadini come sorta di regalo d'addio prima d'abbandonare Varsavia: né lui, né i suoi amici, però, immaginavano che non vi avrebbe più fatto ritorno. Dunque, la sera dell'undici ottobre 1830, sotto la direzione di Carlo Evasio Soliva (a quel tempo direttore del locale Conservatorio), Chopin suonò per la prima volta il Concerto op. 11. Il suo modo liberissimo di interpretare, il suo celebre rubato, la costante ricerca d'un eloquio "cantabile" nel fraseggio, furono subito colti come elementi che avrebbero potuto mettere in crisi qualsìasi direttore d'orchestra. Non appena intuì a quali rischi andava incontro, Soliva che aveva ascoltato il giovane maestro suonare la parte solistica - prese Chopin da parte e gli spiegò che qualsiasi variazione di tempo andava concordata col direttore, pena il caos e la confusione in orchestra. Il polacco comprese al volo, tanto e vero che tempo dopo riconobbe che «se Soliva non avesse preso con sé la mia partitura e non avesse diretto in modo che io non potessi lasciarmi trascinare troppo dalla foga, non so cosa sarebbe successo. Seppe tenerci tutti così bene in pugno che io potei suonare con l'orchestra tanto bene come mai mi era capitato di fare». L'esito della serata fu dunque un successo travolgente, nonostante i timori dello slesso Chopin; pur non nutrendo dubbi sulla bontà del secondo e terzo movimento, il giovane maestro temeva invece che l'Allegro maestoso non fosse pienamente compreso.

Il primo movimento, che occupa da solo la metà del concerto, costruito in una forma-sonata a due temi, si apre con una lunga introduzione orchestrale di ben 138 battute, che prepara il terreno per il primo tema, esposto dal solista; il secondo tema, dal carattere più lirico, è invece introdotto dai violini. Il pianoforte, qui, accompagna con un canto di commovente delicatezza; la transizione orchestrale riporta all'apparizione del primo tema, questa volta nella tonalità di mi maggiore. Anche in questo caso, Chopin viola i precetti del concerto classico, preferendo l'opposizione minore/maggiore alla più consueta coppia tonica minore/relativa maggiore, che avrebbe dunque previsto la riesposizione nella tonalità di sol maggiore. Tra l'altro, non a caso si è usato, per definire un intervento del solista, il termine "canto". Infatti, non fu solo l'amore per la cantante Kostancjia Gladkowska a ispirare a Chopin una scrittura melodica composta sulla falsariga delle melodie vocali, quanto piuttosto la passione costante per l'opera italiana e per i suoi interpreti, passione che si riverbera soprattutto negli abbellimenti della parte solistica. Tornando al concerto, tale particolare inclinazione Chopin la esplicita nel movimento centrale, Romanza (già il titolo, si capisce, è ispirato a un genere, la lirica da camera). La forma di questo pezzo è piuttosto libera: l'introduzione è affidata agli archi con sordina - nella tonalità di fa diesis minore -, seguita da un intervento dei corni nella tonalità di si maggiore. Il solista entra su questa atmosfera sognante, realizzando un canto purissimo, che ricorda da vicino la temperie di certe melodie di Bellini (non a caso amatissimo da Chopin). A questo punto, si sviluppa un episodio in do diesis minore, che sarà ripreso dal solista nella tonalità di mi maggiore. Gli archi riprendono il tema iniziale, che è punteggiato da terzine cromatiche e arpeggi da parte del solista, prima della breve chiusa. Il conclusivo Rondò - in mi maggiore, preceduto da una pregnante introduzione orchestrale in do diesis minore - è costruito con due temi, il primo dei quali dal carattere danzante, il cui controsoggetto condurrà delicatamente verso il secondo tema, scandito da un ostinato dei violini sul pizzicato dei contrabbassi. Con abilissima maestria, Chopin fa riapparire il tema iniziale nella tonalità di mi bemolle maggiore, per ristabilire immediatamente la tonalità d'impianto che conduce alla gioiosa conclusione del pezzo. In sostanza, la libertà formale, l'essenziale struttura dell'accompagnamento orchestrale, l'arditezza di determinate modulazioni, non sono altro che ben precisi elementi atti a incarnare il personalissimo approccio di un genio alla forma del concerto per pianoforte e orchestra, alla luce di ciò che il giovane maestro allora conosceva e apprezzava.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Ha ragione Savinio, quando dice che Delacroix fece il ritratto a Chopin, ma sbagliò, e fece il ritratto di Barilli. Anche Liszt provò a descrivere Chopin: «L'insieme delia sua persona era armonioso, il suo sguardo, dolce e gentile, non prendeva mai una piega amara. La delicatezza e la trasparenza della sua carnagione attiravano l'occhio; il portamento e i modi erano impostati a una tale aristocrazia, che involontariamente lo si trattava come un principe»; ma fini per farsi l'autoritratto: disegnò Il Pianista Romantico, dalla bellezza folgorata di arcangelo in crisi. Ora, ammesso che esista «un certo melodramma pianistico di Chopin, tutto chiari di luna,- galoppi di amanti nelle notti, incendi di rivoluzioni tra un sospiro e l'altro; tutta un'aura, insomma, di Ottocento sentimentale, fra Bellini e Liszt», ci si chiede perché e come un normale melodramma sia franato in Grand-Guignol e in «Tormento di Chopin», scatenando tutta una paccottiglia di «clichés» (sfrenati e «kitsch»), tali da travolgere ogni baluardo critico.

La musica (anche se nasconde, accuratamente sepolto e incistato, un qualche embrione di bacillo di Koch) è, certo, l'ultima responsabile; e anche la critica ha fatto del suo meglio per sgomberare gli equivoci: Chopin come Baudelaire (Gide), Chopin come Leopardi (quasi tutti), Chopin come i «Puritani» (Mila ... bene!), Chopin come le notti di plenilunio delle liriche di Saffo (sarebbe bene che qualcuno lo dicesse!), e cosi via.

Ma l'Oleografia ha comunque resistito e, anche se Chopin non è più «Heathcliff, che urla fuori dalle doppie finestre del vicariato sulle cime tempestose», è pur sempre la patria del sentimento, è la voce del Romanticismo, anzi è una patria: cosi come è una patria la «Traviata». Ora, se una cosa lapalissiana come decidere che Chopin è Chopin e basta, appare strana e innaturale, vuol dire che Chopin è troppo facile o troppo difficile.

Ma guardiamo la sua 'situazione' nell'Ottocento. Chopin nasce nel 1810 e muore nel 1849. E non è una fortuna. Egli aveva di fronte e dietro lo sterminato groviglio-calderone del Romanticismo più «low-brow»: un'allucinante attrezzeria di bambole meccaniche, di urli ossianici, di fantasmi (ce n'è uno vero anche nell'«Euryanthe»), di paesaggi 'ravvivati' dal fuoco degli occhi della civetta e dal legname putrefatto («Freischiitz») e da croci mortuarie e chiese gotiche in rovina di David Friedrich, di fragori e clangori orchestrali finto-Berlioz e concerti campestri (e pecorecci) finto-Corot. L'andazzo, insomma, oscillava tra fiammeggianti allodole e usignoli neomarinisti «made in England» (Shelley), vecchi marinai, assiderati a causa di albatri «unfair» (e anche vendicativi) (Coleridge), «parties» in casa Spallanzoni-Coppelius, cripte sepolte, dove scorrazzava «Il Corvo» (di Poe), rigurgiti faustiani al di sotto di ogni immaginazione («Roberto il Diavolo» è del 1831), parecchi Schnorr von Carolsfeld, diversi brutti David, l'Angiola Maria del Carcano e due papi di carriera, Pio VIII e Gregorio XVI (e il solito Metternich di sempre).

Ora, sembra davvero sorprendente che, da questo gorgo di roselline di brughiera spampanate e di tanta «Morte, Carne e Diavolo», finisca per emergere un artista come Chopin, limpido, lunare, cosi privo di modelli da trovar tutto in se stesso, di cosi tersa e meditata misura lirica, di tale intimo equilibrio e «Scheingefuhle» — contemplazione trasognata della realtà... o quasi — da sembrare piovuto da un altro pianeta (veniva, invece, da Varsavia, Polonia).

Per questa sua perfezione trasfigurata, quasi intangibile — e, quindi, sfuggente — Chopin (che personalmente era anche assai spiritoso) fu sommerso dalla Grande Maniera Del Luogo Comune. E il colpo di grazia glielo dette George Sand. L'iconografia ufficiale dell'artista romantico, partecipe della pleiade di spiriti straziati e sconsolati, richiedeva, con urgenza, La Donna Fatale (magari mantide religiosa). Fece domanda e fu subito assunta George Sand (qualcosa tra Giuditta Pasta, Geltrude Stein e Jean Gabin), quale summa di antichissime poppee e messaline e che lo chiamava (ma solo per incoraggiarlo) «il mio caro cadaverino».

Ma Chopin era e rimase immune. C'era in lui la solitudine. Nessuna musica — nemmeno il canto del flauto nell'«Orfeo» di Gluck — è tanto solitaria quanto la musica di Chopin. La sua malinconia è quella delle statue greche. È la malinconia, di sentirsi estranei sempre e dappertutto: di vivere nel presente di ricordi (forse quelli delle perdute radici). «Greca del pari — rileva ancora Savinio — squisitamente greca, la maneggevolezza della musica di Chopin, la sua 'portatilità', quel suo stare tutta nella mano del pianista, senza sinfonismi che scolano tra dito e dito, senza polìfonismi che sbrodolano fuori dal pugno». E ancora più sorprendente che questa musica, così apparentemente disinteressata alle vicende umane, fermenti, di tanto in tanto, canti infiammati per la liberazione della Polonia: strano patriottismo di marca tirtaica, enfatico e sincero insieme.

Ma bisogna capire: il pianoforte nell'Ottocento serviva a tutto e doveva fare tutto. Voltaire l'aveva definito «un'invenzione da calderaio», ma la borghesia colta, dopo la Restaurazione, l'aveva scelto a proprio strumento rappresentativo. Il pianoforte diventa, quindi, elemento essenziale di aggiornamento culturale e politico del Salotto (e dell'arredamento): un fatto sociale (un po' come il liuto nel Cinquecento), un simbolo di unione e di comunicazione. E di buona educazione (si vedano quadri come «Giovane al piano» di Delacroix o «Melodia» di Tranquillo Cremona). Dilaga, come conseguenza, il virtuosismo, e i musicisti-esecutori finiscono per diventare nomadi. Anche Chopin — almeno fino al 1835 — deve seguire la corrente, nonostante dichiari a Liszt: «lo non sono adatto a dare dei concerti, il pubblico mi intimidisce, mi sento oppresso da quest'atmosfera, paralizzato dagli sguardi curiosi, muto davanti a quei visi sconosciuti».

Prima di iniziare la sua carriera di «Wanderer», l'11 Ottobre del 1830 egli esegue a Varsavia il suo «Concerto n. 1 in mi minore», recante il numero uno, in quanto fu il primo ad essere pubblicato, mentre, in realtà, si tratta del secondo concerto chopiniano; l'altro, il numero due, fu composto poco prima, ma pubblicato nel 1836.

Il concerto si articola in tre tempi. Il primo, «Allegro maestoso», ha un amplissimo sviluppo (anche troppo) e, alternando un primo tema in mi minore, con un secondo in mi maggiore, si scioglie, quindi, in una cantabilità squisita e si sviluppa in un virtuosismo, dove il pianoforte fa la parte del leone. Il secondo movimento è un «Larghetto» — intitolato «Romanza» — in mi maggiore, di cui Chopin stesso dice: «Il movimento lento ha un carattere sognante, romantico e malinconico (Chopin aveva venti anni). Dovrebbe riprodurre le impressioni che si hanno, guardando un paesaggio che evoca ricordi belli, per esempio una notte di luna in primavera (allora è proprio vero che ricorda Leopardi!...). Non ho cercato effetti di potenza (equivaleva a pretendere che Margherita all'arcolaio cantasse come Sparafucile). Questa è la ragione per la quale l'accompagnamento si svolge in sordina». Il terzo tempo è un «Rondò» in mi maggiore, basato su un tema ritmico alla «Krakovienne» — la «Krakowiak» è una danza popolare polacca in 2/4, dal carattere leggiadro e scherzoso — dove il pianoforte si esalta in un virtuosismo veramente luminoso.

La critica di rito è, naturalmente, quella che nel concerto l'orchestra si limita ad esporre i temi e ad accompagnare con discrezione il pianoforte: cioè a far da tappezzeria. Ed è vero. Ma è un'osservazione inutile: è come se si rimproverasse al Partenone di non essere la Sagrada Familia o la Cité Radieuse.

Il concerto dura circa trentacinque minuti, durante i quali ci si può anche chiedere se Chopin fu davvero un poeta del 'ripiegamento' nel momento politico della Restaurazione, sentito in chiave di sofferta delusione, oppure se anche questa è un'altra tessera del mosaico della sua iconografia tradizionale.

Lamberto Bartoli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 23 Ottobre 2010
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto della Fondazione Teatro lirico di Cagliari,
Cagliari, Teatro Comunale, 17 Novembre 2000
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 1 aprile 1977


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Ultimo aggiornamento 15 marzo 2019