Diciassette Canti polacchi, Op. 74

per voce e pianoforte

Musica: Fryderyk Chopin (1810 - 1849)
  1. Zyczenie (Desiderio di fanciulla) - Allegro ma non troppo (sol maggiore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 1829
  2. Wiosna (Primavera) - Andantino (sol minore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 1838
    Esiste anche una versione per pianoforte solo
  3. Smutna rzeka (Triste fiume) - Allegro. Più lento (fa diesis minore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 1831
  4. Hulanka (Brindisi) - Vivace (do maggiore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: agosto 1830
    Di questa composizione esistono due versioni differenti: una nell'album di Maria Wodzinska e l'altra che è servita per la pubblicazione
  5. Gdzie lubi (La giovinezza) - Allegro (do maggiore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: agosto 1830
  6. Precz z moich oczu! (Lontano dagli occhi) - Larghetto (fa minore)
    Testo: Adam Mickiewicz
    Composizione: 1830
  7. Posel (Il messaggero) - Andantino (re maggiore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 1830
  8. Sliczny chlopiec (Il bel ragazzo) - Allegro moderato (re maggiore)
    Testo: Bohdan Zaleski
    Composizione: 1841
  9. Melodya (Melodia) - Andante (mi minore)
    Testo: Zygmunt Napoleon Krasiński
    Composizione: 1847
  10. Wojak (Il guerriero) - Vivace (la bemolle maggiore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 1830
  11. Dwojaki koniec (Due destini) - Allegretto (re minore)
    Testo: Bohdan Zaleski
    Composizione: 1845
  12. Moja pieszczotka (La mia diletta) - Allegretto (sol bemolle maggiore)
    Testo: Adam Mickiewicz
    Composizione: 1837
  13. Nie ma czego trzeba (La sua assenza) - Lento (la minore)
    Testo: Bohdan Zaleski
    Composizione: 1845
  14. Pierścień (L'anello) - Moderato (mi bemolle maggiore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 8 settembre 1836
  15. Narzeczony (Il fidanzato) - Prestissimo (do minore)
    Testo: Stefan Witwicki
    Composizione: 1831
  16. Piosnka litewska (Canzone lituana) - Allegro moderato (fa maggiore)
    Testo: Ludwik Osinski
    Composizione: 1831
  17. Spiew grobowy (Cadono le foglie) - Moderato (mi bemolle minore)
    Testo: Wincenty Pol
    Composizione: 1836
Organico: voce, pianoforte
Composizione: 1829 - 1847
Edizione: Schlesinger, Berlino, 1855
Guida all'ascolto (nota 1)

Ho di fronte agli occhi e sfoglio due «numeri unici» dedicati a Chpin, dalla «Rassegna Musicale» nel 1949, da «Musica d'oggi» nel 1960, allo scadere del primo centenario della morte e dopo un secolo e mezzo dalla nascita: nelle pagine dei vari Bortolotto, Vlad, Rattalino, Graziosi si possono trovar registrati, in sintesi, i tempi della fortuna critica italiana del «poeta del pianforte», còlti gli umori e i rifiuti preconcetti, collocati storicamente, valutati e avviati a dissoluzione. Ma, più degli altri emblematici, mi attirano due contributi di Massimo Mila, identici per titolo, salvo un articolo e un punto interrogativo: «Inattualità di Chopin?» nel 1949, «L'inattualità di Chopin» del 1960. Se nel più vecchio scritto Mila esprimeva il dubbio che i compositori contemporanei, tutti presi dallo spasimo d'essere diversi, potessero giovarsi direttamente della lezine del maestro polacco, nella pagina più recente i dubbi si precisavano in amare certezze e in dolenti conclusioni. Constato il rigetto, per eccesso di cautela, per timore dei sentimenti anche da parte degli ascoltatori nei confronti della musica di Chopin, Mila giungeva a prporre una diagnosi del fenomeno con alcune frasi assolutamente epigrafiche: «Noi abbiamo paura di quella totalità d'impegno che Chopin porta nell'opera d'arte e di quella che da noi esige in contraccambio... l'occhio corre ai fascicoli di quelle musiche e tosto se ne ritrae come da qualcosa di indecente. Poi mettiamo sul leggio del pianoforte la Sonata di un clavicembalista o una Passacaglia d'autore ignoto del Seicento. Questa è la vera arte della fuga degli uomini moderni».

Era colto, come meglio non si ptrebbe, l'atteggiamento di sufficiente «superamento» della musica di Chopin, dei chiari di luna, dei salotti, delle orchidee, dei tessuti rari che hanno accompagnato, ambigua iconografia, rievocazioni, ricordi, esecuzioni di opere del polacco-francese: non importa se pagine di stupefacente novità armonico-lessicale quali la «Polacca-Fantasia» op. 61 o se la trascrizione facile dello Studio n. 3 dell'op. 10; non importa se affidate a Horowitz, Rubinstein o alla allieva dagli adolescenziali smarrimenti. Sollecitava poi a questa fuga da Chopin, buon ultima, l'opera «risanatrice» di certe scuole musicali e critiche che invitavano a diffidare sempre e comunque dei sentimenti e, nel voler dimostrare le origini italiane del romanticismo, erano costrette a mettere in ombra Chopin e, con lui, tutti i maestri della Romantik.

Poi, la liberazione: fu il sopraggiungere di una stagione più giovanilmente impudica, nella quale esprimersi non è più stato peccato né segno di cattivo gusto, ma necessario, vitalistico dovere; furono anche — e soprattutto — le rinnovate prospettive dell'indagine critica. E dopo lo Chopin «tutto muscoli», da «fronte popolare» (che Mila denunciava nel 1949) che pretendeva sostituirsi a quello femmineo, translucido della tradizione, ecco finalmente uno Chopin autentico ed integro, con le liaisons con le nobil-donne della «haute» e — senza contraddizione — con le accensioni epiche per la lontana, molto lontana Polonia, musicista di un dramma sofferto con personalissimo accento, poeta delle meditazioni ineffabili, voce di un'interiorità profonda che non chiede aggettivi.

Dunque, uno Chopin pieno ed integrale, quello che noi oggi accogliamo e conosciamo, fatti forti — per non cadere nella oleografia di un tempo — delle agguerritissime indicazioni critiche sul piano dello stile: e se da un lato riusciamo a vederlo parzialmente debitore della grazia scorrevole di Scarlatti, della melodia di Mozart, delle nuances notturne di Field (processo di storicizzazione assoluta), dall'altro lo troviamo singolarmente proiettato verso l'oggi, soprattutto grazie alle sue straordinarie invenzioni timbriche, alla sua «ricreazione» della tastiera pianistica. E Chopin ci appare maestro di quella che Bastianelli defini la «transvalutazione del pianoforte», la sua dilatazione in senso orchestrale: ed ecco affiorare dal pianismo chopinìano i rulli di timpani, i corni, la freddezza della celesta, il cantabile degli archi; effetti a cui attingerà l'impressionismo di Debussy e Ravel, ma anche Liszt e Musorgskij. E Bortolotto si spinge oltre, fino a individuare echi di tale pianismo in certi passi di Dallapiccola, Boulez, Petrassi, Vlad e Castiglioni. E, aggiungiamo noi, anche e in special modo, in Paolo Castaldi, uno dei contemporanei «maestri» del pianoforte, che oggi crede ancora in questo strumento e al codice espressivo che — soprattutto attraverso Chopin — si è andato configurando e stabilendo.

E pensiamo, infine, alla sottile gamma di effetti fonico-espressivi che lo stesso Bortolotto indica come «inventati» da Chopin: il suono 'frustante', la «teinte blafarde» esatta dallo Scherzo delia Sonata op. 35, la decolorazione del suono pianistico tradizionale (nella «Barcarolle»), il 'martellato' della «Tarantelle», lo 'sfogato' o 'aspirato' di molte frasi cantabili...

Un simile virtuosismo di invenzine critica non potrà forse esercitarsi nei confronti delle «Melodie polacche» per voce e pianoforte, pagine la cui esecuzione costituisce ancor oggi una rarità raffinata, come quelle cameristiche per violoncello o per trio. Raccolta piuttosto esigua, se confrontata non dico alla produzione dei grandi liederisti tedeschi, ma anche a quella dei nostri operisti, che pure lasciarono un'abbondante messe di liriche da camera. Ma è un'esiguità apparente: Chopin amava molto questo genere, e scrisse moltissimi canti, che sono andati irrimediabilmente perduti per volontà stessa dell'autore che neppure li scriveva, ma si limitava magari a indicare la linea vocale e a suonarli, improvvisando l'accompagnamento, in mezzo a una riunione in un salotto di esuli polacchi. Pagine dunque d'occasione, forse non prorompenti come certi altri caplavori, esse tuttavia possiedono un interesse non comune, e non solo per i valori poetici che non sarà difficile individuarvi come autenticamente chopiniani, ma anche per le curiose vicende che portarono, in modo assai avventuroso, al loro ritrovamento e alla pubblicazione.

Si sa che Chopin aveva disposto che tutte le sue pagine non pubblicate venissero date alla fiamme; ma la disposizione parve agli eredi e agli amici troppo severa, tanto che, dopo la sua morte, Fontana dava alla luce varie composizioni con i numeri d'opus dal 66 al 74. Fra queste, la celebre Fantasia-Improvviso in do diesis minore, tre valzer, tre polacche giovanili e, catalogate come op. 74, sedici Meldie polacche, appartenenti a varie epoche della creatività chopiniana: le prime scritte intorno al 1829, le ultime del 1847. Difficili e intricati furono i modi — dicevamo — attraverso i quali Fontana giunse a disporre l'edizione delle liriche per Schlesinger, e lasciano sussistere varie incertezze sulla esatta consistenza e stato di queste pagine. Le lunghe e laboriose contrattazioni fra Fontana, la sorella di Chopin Luisa, l'amico Auguste Franchonne e l'allieva-ammiratrice Jane Stirling, sono testimoniate da un fitto scambio di lettere. La prima, di grande importanza, è dell'irlandese Stirling che, il 16 luglio 1850, scrive a Fontana che lo stato della musica non ne consente la pubblicazione, essendo annotata solo la linea del canto; il Franchonne, a sua volta, dichiara che alcune delle liriche in suo possesso sono incomplete. Non sappiamo con esattezza come Fontana abbia proceduto per approntare l'edizione dei Canti; attualmente, gli autografi disponibili non «coprono» tutta la raccolta: si tratta di un gruppo di sette che Chopin scrisse su un album della giovane Emily Elsner a Varsavia — forse un pegno d'amore? —; gli stessi che l'autore, con squisita leggerezza, riprodusse, nel 1836, ancora su un altro album, questa volta della celebre Maria Wodzinska (quella delle lettere annodate con su scritto «Moja Bieda», 'mia pena'), con l'aggiunta di un'ottava lirica: «Pionska Litewska». Le prime sette erano «Zyczenie», «Gdzie Lubi», «Posel», «Wojak», «Hulanka», «Czary» (tutte su testi di Witwicki) e «Precz z moich oczu», su poesia di Mickiewicz. Oltre a queste due raccolte autografe, la società Chpin possiede l'originale di «Pierscien» (composto a Dresda l'8 settembre 1836) e di «Wiosna»; di «Dunka» si è scoperto il manscritto nel 1910, in un album del poeta Witwicki; di tutte le altre liriche mancano gli autografi.

Curiosa poi la motivazione per cui Fontana pubblicò solo sedici delle canzoni in suo possesso: fu la paura superstiziosa di Chopin per il numero 7 che indusse Fontana a escludere «Czary» dalla prima edizione; dopo la morte del «curatore», Schlesinger aggiunse alla raccolta «Spiew Grobowy», non conosciuto, sembra, da Fontana. La serie si completava, appunto con «Czary» e «Dumka», solo nel 1949, quando l'edizione nazionale polacca delle opere di Chopin pubblicava il 17° volume contenente l'integrale delle liriche da camera.

Una raccolta di diciannove canti, non abbastanza forse perché si possa parlare di uno Chopin a pieno titolo liederistico, ma sufficiente ad aggiungere tratti un poco diversi e comunque inediti all'immagine che ce ne ha consegnato il pianoforte. Un primo sguardo ai testi: sono in gran parte di Stefan Witwicki, un poeta minore, ma capace di un delicato sentimentalismo e di una garbata fattura di verso, e appartengono alla raccolta «Pionski sielski» (canti pastorali). Maggire spicco ha la figura di Adam Mickiewicz, quasi un Goethe per la letteratura polacca, mentre a un romanticismo consueto appartiene Zygmunt Krasinski (1812-1859), cui si deve «Melodya», scritta nel 1847 nell'album di Delfina Potocka, con l'aggiunta dei celebri versi di Dante «Nessun maggior dolore.» (un passo molto caro ai Romantici: Rossini lo ricorderà nel suo «Otello» e Liszt trasferirà la melodia rossiniana sul pianoforte). Il «Canto lituano» è la traduzione di un canto popolare dovuta a Ludwik Osinki; Wincenty Pol (1809-1876) è il poeta di «Spiew Grobowy»; quattro infine sono i testi dell'«usignolo ucraino» Bohdan Zaleski (1802-1886). Costante nell'ispirazine di questi poeti l'elemento amroso; e parte delle liriche potrebbe raccogliersi a costituire una sorta di «Frauenliebe und - leben»: sono i momenti dell'incontro, dei piccoli doni (l'anello, come anche in Schumann), della felicità ineffabile, della separazione, ma con in meno una certa coloratura intellettuale, e in più un'immediatezza lieve e festsa. Del tutto assente in queste poesie l'ispirazione «filosofica», la vena prometeica di alcune liriche goethiane musicate da Schubert, quali «Ganymed» o «Limiti dell'umanità». L'adozione della lingua madre ci dice infatti la dimensione tutta privata, di confessione, quasi di un rifiuto «europeo» che queste pagine possedettero fin dal loro nascere e ci spiega anche il disinteresse a dar loro un assetto definitivo per un'eventuale edizione.

Musicalmente, le canzoni si presentano con connotati assai diversi rispetto alla restante produzione chopiniana: molte di esse, nella loro lineare stroficità, con i brevi preludi che servono da ponte fra una ripresa e l'altra (penso a «Zyczenie», pervasa da un soffio di giovanile felicità) appaiono come piccole mazurke casalinghe, non ancora arricchite di quelle decorazioni, quegli spessimenti che ne faranno degli autentici pezzi da concerto (e qui affiora il ricordo di «Gdzie lubi») Nello stesso modo, il metodizzare, che si muove entro un ambito limitato, di un «medium» vocale, sembra pensare, con la sua semplicità spoglia, alla voce di un'adolescente contadina, pur mantenendo certe inflessioni tipicamente chopiniane. Qui, il «poeta del pianoforte» coglie in presa diretta l'elemento popolare, i suoi ritmi, le sue semplici strutture compositive, il suo cantare immediato: ecco l'allegria vigorosa del «Brindisi», la danza contadina che riecheggia in «Posel», il senso di ballata e di cavalcata en plein air, con effetti di corni in «Wojak». Alcuni potrebbero ritenere che lo Chopin pianistico possieda una più larga vena melodica, che sulla tastiera abbia «risposto» con maggiore intensità alla sua ammirazione per il canto italiano dei Bellini e dei Rossini: ma si pensi alla cantilena malinconica di «Smutna rzeka», a «Melodya», all'andantino italianeggiante di «Preck z moich oczu» e si troverà conferma di quali tesori melodici contengano queste piccole liriche. Di esse, alcune hanno già la malinconia del tardo romantico Ciaikovskij (si legga la prima funerea sezione di «Spiew grobowy», e ancora «Melodya»); né mancano premonizioni di Musorgskij (nel melodizzare per gradi congiunti di «Czary», nella popolaresca, elementare «Dumka») o ricordi di illustri esempi (il movimento pianistico dell'«Erlkönig» che ritorna nel tempestoso preludio di «Narzeczony», che canta la desolazione per la morte dell'amata). Né poteva mancare la vena epico-patriottica: e Chopin ce ne ha lasciato un documento di esemplare concentrazione, nel suo dolente cantilenare, nel «Canto funebre» per la sconfitta della Polnia: si consideri soprattutto quel passo agghiacciante, con il mi bemolle — nella parte vocale — ribattuto per sedici misure, e la parte pianistica fatta di larghi accordi ripetuti, a mo' di polacca.

Un campionario variegato di umanità ricchissima, un mazzo di fiori di campo — avrebbe scritto un critico di un secolo fa — raccolti da una mano delicata e tenera, un Cahier d'esquisses, un album de voyage... Se in queste liriche non ci appare uno Chopin da «fronte popolare», è ugualmente lontano il suo aristocratico amore per i fiori e gli oggetti d'arte; e con anima spoglia, con sincera aderenza ai semplici testi poetici, egli ci consegna non le sinopie di futuri caplavori, ma delle guaches dai teneri colori, nelle quali la mano del maestro non solo non dormitat, ma anzi è sveglia di una particolare freschezza e capacità di notazione poetica.

Cesare Orselli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 26 maggio 1977


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Ultimo aggiornamento 21 marzo 2019