Requiem in re minore

per coro maschile e orchestra per i propri funerali

Musica: Luigi Cherubini (1760 - 1842)
  1. Introitus et Kyrie - Un poco lento
  2. Graduale - Lento (la mninore - maggiore)
  3. Dies Irae - Vivo (re minore)
  4. Offertorium - Andante con moto (fa maggiore)
  5. Sanctus - Maestoso
  6. Pie jesu - Adagio (sol minore - maggiore)
  7. Agnus Dei - Lento (re minore)
Organico: coro maschile, ottavino, flauto, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Montlignon, 24 settembre 1836
Prima esecuzione: Parigi, Conservatorio, 23 marzo 1838
Edizione: Luigi Cherubini, Parigi, 1840

Effettivamente eseguito durante il funerale di Luigi Cherubini
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Molti compositori italiani vissero e operarono per periodi più o meno lunghi in Francia, ma la parabola artistica di Luigi Cherubini può essere paragonata solo a quella di Giovan Battista Lulli: nati entrambi a Firenze, si trasferirono in giovane età in Francia, dove trascorsero il resto della loro vita senza avere quasi alcun contatto con l'Italia e raggiunsero con un tenace lavoro la posizione di compositori "francesi" più autorevoli e influenti della loro epoca, rafforzati dagli ottimi rapporti con il potere ma invidiati e malvisti dai colleghi "autoctoni". L'uno e l'altro introdussero in Francia un genere musicale sconosciuto ai transalpini, Lulli (che nel frattempo era diventato Jean-Baptiste Lully) la tragèdie lyrique e Cherubini (che aveva preso anch'egli la cittadinanza francese ma non modificò mai nome e cognome) la Messa sinfonica. Erano due generi musicali che non avrebbero potuto attecchire in Italia ma che devono molto alla formazione italiana dei due autori, più precisamente alla conoscenza (non documentata ma presumibile, anzi certa) dell'opera italiana da parte di Lulli e agli studi di Cherubini con Giuseppe Sarti, che gli trasmise la grande maestria contrappuntistica della scuola di Padre Martini.

Si sarebbe tentati di individuare una precoce predisposizione di Cherubini per la musica sacra nelle cinque Messe (tutte perdute) composte tra i tredici e i sedici anni, ma, come per ogni compositore italiano del tempo, il suo principale campo di attività fu inizialmente l'opera. Appunto come compositore d'opera giunse a Parigi nel 1786, a soli ventisei anni ma già con un nutrito catalogo operistico in tasca. Il suo primo importante cimento francese fu Démophoon (1788), con cui si ricollegava alla tragèdie lyrique del suo lontano predecessore Lully, rinnovata solo pochi anni prima da Gluck con una drammaticità più dinamica e maggior vigore orchestrale. Pochi mesi dopo scoppiò la rivoluzione, l'Opera fu temporaneamente chiusa in quanto simbolo musicale dell'ancien regime e Cherubini si rivolse alla più "democratica" opéra-comique, declinata secondo i tempi nuovi e divenuta comédie héroïque o pièce à sauvetage.

Con Eliza (1794), Médée (1797) e Les deux journées (1800) Cherubini raggiunse il successo internazionale. In Germania la sua fama fu duratura, come testimonia la grande ammirazione che ebbero per lui Haydn, Beethoven (il cui Fidelio ha come archetipo Les deux journées) e poi Schumann, Wagner e Brahms (che nel suo studio aveva il ritratto di tre compositori: Bach, Beethoven e Cherubini), ma in Francia il suo successo andò scemando a tal punto che, complice la depressione in cui cadde tra il 1806 e il 1807, meditò seriamente di abbandonare la musica e dedicarsi alla pittura e alla botanica. Questo scoraggiamento ebbe breve durata e nel 1808, mentre era ospite del principe di Chimay in campagna proprio per studiare la botanica, si mise a comporre la prima delle sue grandi Messe, su richiesta di una piccola società musicale locale. Seguirono fino al 1836 altre sei Messe e due Requiem, oltre a una sessantina tra parti di Messe e Mottetti in latino. Grazie alla musica sacra le sue quotazioni professionali ripresero quota anche in Francia e con il ritorno dei Borbone, che gli perdonarono i suoi inni in onore della rivoluzione, divenne sovrintendente della musica del re, membro dell'Accademia di Francia, cavaliere della Légion d'Onore, sovrintendente della cappella reale e infine nel 1822 direttore del Conservatorio di Parigi, incarico che mantenne fino a pochi giorni prima di morire all'età, allora assolutamente venerabile, di ottantuno anni.

La sua attività di compositore si era conclusa da oltre un lustro con il Requiem in re minore, cui aveva lavorato dal gennaio al febbraio del 1836. Già vent'anni prima aveva composto un Requiem in do minore, richiestogli da Luigi XVIII per commemorare l'anniversario della decapitazione di suo fratello Luigi XVI. Ma, quando nel 1824 questo primo Requiem doveva essere eseguito per i funerali del compositore François-Adrien Boieldieu, caro amico di Cherubini, l'arcivescovo di Parigi protestò in nome di obsolete disposizioni che vietavano il canto delle donne in chiesa: nonostante ciò, l'opera fu eseguita egualmente in tale occasione (o forse no: su questo le fonti non sono univoche) ma si dice che questo incidente abbia indotto Cherubini a scrivere per il proprio funerale un nuovo Requiem per sole voci maschili, che fu eseguito il 25 marzo del 1838 dalla Société des Concerts du Conservatole. Il giorno cui era veramente destinato arrivò però alcuni anni dopo, il 20 marzo del 1842, quando le esequie del maestro furono celebrate nella chiesa parigina di Saint Roch.

I due Requiem sono simili per dimensioni e organico orchestrale ma il loro spirito è diverso. Invece della solennità e dei grandi effetti di ottoni e percussioni del primo troviamo nel secondo un diffuso tono sommesso, un colore di fondo scuro e brani nel severo stile a cappella. Il primo è adatto a una cerimonia solenne che ricordava la tragica fine d'un sovrano e allo stesso tempo celebrava, seppure indirettamente, il trionfo dei Borbone, tornati sul trono di Francia. Il secondo ha un carattere più intimo, come una meditazione o un ascetico soliloquio, quale si conviene alla commemorazione di un maestro che aveva passato l'intera vita al servizio della musica.

L'antecedente diretto del secondo Requiem va cercato, più che nell'opera omologa di vent'anni prima, nel Cours de contrapoint et de fugue dato alle stampe l'anno precedente. Giunto al termine della vita. Cherubini con questo trattato volle lasciare ai posteri l'unica cosa di cui, a differenza dei suoi lavori creativi, non aveva mai dubitato: la sua padronanza del contrappunto. La prefazione è una professione di fede in questa antica arte, fondamento della musica di ogni tempo: "Il contrappunto è per così dire la vera grammatica della musica. È per mezzo suo che si acquista la facoltà di scrivere con purezza e vigore. Possedendo a fondo il contrappunto e la fuga si è sicuri d'essere compositori sapienti, e ci si può allora abbandonare agli impulsi del genio, della fantasia, dell'immaginazione".

Ad aprire il Requiem in re minore (più esattamente Deuxiéme Messe de requiem pour voix d'hommes avec accompagnement à grand orchestre) è l'orchestra, limitata qui agli strumenti più scuri delle sezioni dei fiati (fagotti e corni) e degli archi (violoncelli e contrabbassi) e ai timpani; su questo sfondo sonoro scuro ma come ovattato entrano in imitazione l'una dopo l'altra le tre voci del coro (tenori primi e secondi e bassi), iniziando dalla più grave. Quest'atmosfera lontana da atteggiamenti di teatrale disperazione permane per tutto l'Introito, con un momento appena più animato nel "Et lux perpetua", che si placa immediatamente nel pianissimo di "Te decet hymnus". All'Introito si collega il Kyrie, dalle sonorità disadorne e arcaiche: è iniziato dai tenori primi raddoppiati dai corni, proseguito dai bassi raddoppiati dai fagotti e concluso dall'intero coro, cui Cherubini non si stanca di raccomandare in continuazione: pianissimo.

L'orchestra (anche qui i soli strumenti gravi: fagotti, violoncelli e contrabbassi) introduce anche il Graduale ma subito si ritira e lascia il posto al coro a cappella, secondo la grande tradizione italiana - più precisamente romana - di Palestrina, che Cherubini aveva ereditato dal suo maestro Sarti. Iniziato in la minore, questo brano si conclude in un sereno la maggiore, che però appare fragile e sospeso ed è spazzato via dal re minore del Dies irae, che, lasciando per la prima volta l'andamento estremamente lento delle parti precedenti, inizia con turbinosi movimenti ascendenti di violini e viole, su cui entra in fortissimo il coro, scandendo dapprima con asciutto vigore drammatico il testo della Sequenza di Tommaso da Celano e passando poi in rapida successione all'affannoso mormorio di "Solvet saeclum in favilla", al tremendo splendore di "Tuba mirum" e allo stupore atterrito di "Mors stupebit". Questo movimento, dalle dimensioni grandiose e dalla straordinaria varietà di soluzioni stilistiche ed espressive, prosegue con il maestoso "Rex tremendae majestatis" e con un lirico Andantino, dove le tre voci del coro intonano contemporaneamente tre diverse strofe del testo - "Recordare", "Juste judex" e "Quaerens me sedisti" - su un leggero accompagnamento dell'orchestra, la cui potenza riesplode improvvisa nel successivo "Confutatis", mentre il coro ripete quasi rabbiosamente "maledictis". Questa violenta fiammata si estingue subito nel nuovo passaggio a cappella di "Voca me". Nel "Lacrymosa" archi e tromboni creano sonorità quasi organistiche mentre l'atmosfera gradualmente si schiarisce, modulando al re maggiore di "Pie Jesu", che conclude il Dies irae in una preghiera intonata dal coro su una serena melodia.

Rimane in tonalità maggiore anche l'Offertorio con la solenne e gloriosa invocazione iniziale, ma presto si stendono le tenebre del tartaro, a loro volta disperse dai delicati interventi di flauti, oboi e clarinetti, che preannunciano l'arcangelo Michele. La tradizionale fuga di "Quam olim Abrahae promisisti" conduce all'"Hostias", in cui qualcuno ha riconosciuto un colore stranamente chopiniano. Viene quindi ripresa e ampiamente sviluppata la fuga di "Ouam olim Abrahae", che chiude l'Offertorio nel fa maggiore in cui era iniziato.

Il Sanctus e il Pie Jesu, i due movimenti più brevi di questo Requiem, sono costituiti ognuno da un unico blocco. Il primo, in si bemolle maggiore, ha una luminosità abbagliante sia nella maestosità del "Sanctus" e dell'"Hosanna" che nell'intimità del "Benedictus". Nel secondo, in sol minore, Cherubini torna alla severa e pura semplicità dello stile a cappella, appena arricchito da alcuni brevi interventi degli strumenti a fiato gravi. Nell'Agnus Dei si alternano più volte la pacata maestà della prima metà del versetto e la sussurrante implorazione di "Dona eis requiem". L'ultimo versetto, "Requiem aeternam dona eis Domine: et lux perpetua luceat eis", è salmodiato su una sola nota dal coro, quindi le parole "luceat eis" sono ripetute un'ultima volta, in un tentativo di salire a un registro più luminoso e in un fuggevole re maggiore: ma l'epilogo orchestrale ripiega verso re minore, spegnendosi con un pianissimo in cui a un'ultima ascesa verso l'acuto del flauto risponde la discesa verso l'abisso del fagotto. Giudizi entusiastici hanno accompagnato i primi passi di questo Requiem (Mendelssohn: "Secondo l'opinione di tutti è un'opera splendida"; Naumann, critico dell'influente Niederrheinische Musik Zeitung: "Una comprensione del testo sacro nel più alto spirito di Beethoven") ma le esecuzioni dapprima frequenti (fu l'unica grande opera sacra di Cherubini a giungere anche in Italia in tempi relativamente brevi) si diradarono progressivamente. Possono aver giocato a suo sfavore la particolarità di un coro di sole voci maschili e la difficoltà della parte molto acuta dei tenori primi, ma ciò non giustifica affatto che il Requiem in re minore non abbia il posto cui avrebbe diritto in base alla sua importanza storica e al suo valore artistico.

Mauro Mariani.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Requiem cherubiniano del 1816 accompagnò con le sue note i funerali di Boïeldieu, celebrati nel 1834 in pieno clima di Restaurazione; in quell'occasione pare che le autorità ecclesiastiche frapponessero difficoltà all'uso delle voci femminili nelle chiese. Sarebbe in questo nuovo rigore, e nella volontà di evitare censure ecclesiastiche, la spiegazione dell'organico vocale prescelto da Cherubini per il nuovo Requiem in re minore, dove il testo sacro è intonato dalle sole voci maschili. Il compositore vi si applicò nel 1836, all'età di 76 anni (il Requiem in re minore è la sua ultima opera d'ampio respiro).

Diversamente dal precedente in do minore, improntato a un sentimento di pietà universale, il Requiem in re minore, più scuro, d'atteggiamento soggettivo e introverso, è pervaso da accenti drammatici nei quali sembrano risuonare il terrore e la ribellione dell'uomo di fronte al dramma della morte. Il linguaggio si apre a sottigliezze armoniche, a divagazioni inaspettate ai toni lontani; talora i cori a cappella e gli accenni allo stile dell'antica polifonia sembrano evocare tempi remoti, regioni di una purezza incontaminata nella quale parrebbe risiedere, unica, la speranza della salvezza.

La tinta unitaria dell'intero lavoro traspare già perfettamente dall'Introitus et Kyrie; l'atmosfera è cupa solenne, anche per effetto dei timbri vocali (mancano le voci femminili) e del colore orchestrale, nel quale dominano ottoni e archi gravi. Il coro declama il testo con un vigore fervido e appassionato, che conosce i momenti d'intensità maggiore nell'episodio centrale dell'Introitus, dove le parole «Exaudi orationem meam» vengono rotte da pause espressive.

Un'atmosfera ancor più raccolta regna nel Graduale. L'ingresso del coro è preparato da una nobile frase dei violoncelli, nella quale si esaurisce l'unico intervento strumentale del brano: tutto il resto è per voci a cappella, prive cioè del sostegno orchestrale. Articolato come un antico mottetto, il Graduale è costituito da una successione di episodi in stile imitativo, ognuno su materiale tematico nuovo. Nella straordinaria pagina evocativa del Dies Irae Cherubini scatena tutta la sua potenza visionaria. Le grida di disperazione del coro, che prorompono subito dopo il brevissimo ed energico crescendo orchestrale d'apertura, gli accenti perentori del «Tuba mirum», l'enfasi declamatoria del «Judex ergo», la potenza sonora del «Rex tremendae»: tutto ciò evoca il Dio terribile dell'antica tradizione ebraica, il Dio della giustizia inflessibile più che quello della misericordia. Si ascolti il «Confutatis maledictis»: le entrate ravvicinate delle voci, il fortissimo, la concitazione del movimento, le dissonanze producono quasi l'effetto di grida selvagge; poche pagine sanno ritrarre con altrettanta immediatezza le fiamme dell'abisso, il terrore e la disperazione dei dannati. Non di meno colpiscono le pagine che danno voce alla supplica o alla speranza: la sommessa ascesa cromatica del «Quid sum miser», il lirismo del «Recordare» e del «Pie Jesu», gli accenti accorati del «Voca me cum benedictis» e del «Lacrymosa».

Il Dio trionfatore sulla morte è il protagonista dell'Offertorium: il brano è improntato a un andamento enfatico, ai modi di una marcia maestosa. Anche qui, come nel Requiem in do minore, l'immagine dell'arcangelo Michele che conduce le anime alla luce eterna suggerisce una strumentazione trasparente, appoggiata ai timbri dei legni e ai registri chiari. La stirpe di Abramo che si moltiplica è simbolicamente raffigurata da un fugato, ripetuto e ampliato in chiusura, mentre l'offerta di «Laudes et preces» dà origine a un episodio dal lirismo intenso: una melodia distesa e accattivante si intreccia a un motivo ininterrotto dei violini. I due brani che seguono offrono il contrasto più vivo. Il Sanctus è una pagina celebrativa e grandiosa, nella quale la vigorosa declamazione omofonica del coro si unisce al clangore delle trombe e a una pienezza sonora non ancora raggiunta. Il Pie Jesu, al contrario, riduce drasticamente la sonorità: protagoniste assolute sono le voci, che cantano a cappella inframmezzate sporadicamente da qualche schivo intervento dei legni. L'atteggiamento dimesso, l'essenzialità dell'espressione, il nitore delle linee melodiche sembrano quasi tradurre la nostalgia di antiche epoche, di uno stile scarno e di uno spirito religioso autentico e profondo.

Un'altissima concentrazione espressiva è raggiunta dall'ultima pagina del Requiem, l'Agnus Dei, dove il terrore della morte lascia spazio alla speranza e alla pace. L'entrata del coro, al culmine del crescendo orchestrale che la prepara, dà il via a una triplice perorazione («Agnus Dei»), con la quale contrasta la dolcezza di «dona eis requiem»; l'immagine della luce eterna irrompe poi con la sonorità vibratile dei violini nel registro acuto, preludio al motivo della speranza («Quia pius es»). Il coro e l'orchestra, ora, si arrestano nell'immobilità assoluta delle quinte vuote, che insistono per 18 misure accentuate dai colpi dei timpani coperti; l'andamento è lento e solenne: è la morte che rivendica i suoi diritti. I toni cupi sono dissolti solo dal luminoso motivo in re maggiore, che porta alla conclusione il Requiem squarciando il velo della mestizia e dando voce alla speranza.

Claudio Toscani

Testo

1. INTROITUS

Requiem aeternam dona eis, Domine; et lux perpetua luceat eis.
Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddetur votum in Jerusalem; exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet.
Requiem aeternam dona eis, Domine; et lux perpetua luceat eis.
Kyrie eleison; Christe eleison; Kyrie eleison.

2. GRADUALE

Requiem aeternam dona eis. Domine, et lux perpetua luceat eis; in memoria aeterna erit justus, ab auditione mala non timebit.

3. DIES IRAE

Dies irae, dies illa,
Solvet saeclum in favilla,
Teste David cum Sibilla.

Quantus tremor est futurus.
Quando Judex est venturus,
Cuncta stricte discussurus!

Tuba mirum spargens sonum
Per sepulchra regionum
Coget omnes ante thronum.

Mors stupebit et natura
Cum resurget creatura
Judicanti responsura.

Liber scriptus proferetur,
In quo totum continetur,
Unde mundus judicetur.

Judex ergo cum sedebit,
Quidquid latet apparebit,
Nil inultum remanebit.

Quid sum miser tunc dicturus?
Quern patronum rogaturus.
Cum vix Justus sit securus?

Rex tremendae majestatis.
Qui salvandos salvas gratis.
Salva me, fons pietatis.

Recordare, Jesu pie,
Quod sum causa tuae viae,
Ne me perdas ilia die.

Quaerens me sedisti lassus,
Redemisti Crucem passus,
Tantus labor non sit cassus.

Juste Judex ultionis,
Donum fac remissionis
Ante diem rationis.

Ingemisco tamquam reus.
Culpa rubet vultus meus:
Supplicanti parce, Deus.

Qui Mariam absolvisti,
Et latronem exaudisti,
Mihi quoque spem dedisti.

Preces meae non sunt dignae,
Sed tu, bonus, fac benigne
Ne perenni cremer igne.

Inter oves locum praesta
Et ab hoedis me sequestra,
Statuens in parte dextra.

Confutatis maledictis,
Flammis acribus addictis,
Voca me cum benedictis.

Oro supplex et acclinis.
Cor contritum quasi cinis,
Gere curam mei finis.

Lacrymosa dies ilia,
Qua resurget ex favilla,
Judicandus homo reus.

Huic ergo parce, Deus:
Pie Jesu, Domine,
Dona eis requiem. Amen.

4. OFFERTORIUM

Domine, Jesu Christe, Rex gloriae, libera animas omnium fidelium defunctorum de poenis inferni et de profundo lacu: libera eas de ore leonis, ne absorbeat eas Tartarus, ne cadant in obscurum: sed signifer sanctus Michael repraesentet eas in lucem sanctam. Quam olim Abrahae promisisti et semini ejus.
Hostias et preces tibi. Domine, laudis offerimus: tu suscipe pro animabus illis, quarum hodie memoriam facimus: fac eas. Domine, de morte transire ad vitam. Quam olim Abrahae promisisti et semini ejus.

5. SANCTUS

Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus Sabaoth.
PLeni sunt coeli et terra gloria tua.
Hosanna in excelsis.
Benedictus Qui venitin nomine Domini.
Hosanna in excelsis.

6, PIE JESU

Pie Jesu, Domine, dona eis requiem sempiternam.

7. AGNUS DEI

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona eis requiem sempiternam.
Lux aeterna Luceat eis. Domine, cum Sanctis tuis in aeternum, quia pius es.
Requiem aeternam dona eis. Domine, et lux perpetua luceat eis.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 11 maggio 2013
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. AMS 31 - 32 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 10 marzo 2019