Credo in sol maggiore

per due cori e organo

Musica: Luigi Cherubini (1760 - 1842)
Organico: 2 cori misti, organo
Composizione: Italia, 1778 - Parigi, 1806
Edizione: Peters, Lipsia, 1860 circa
Guida all'ascolto (nota 1)

Cherubini aveva cominciato la composizione del Credo nel 1778, cioè quando aveva diciotto anni e studiava a Bologna con Giuseppe Sarti. Quest'ultimo si preparava allora a concorrere per il posto di maestro di Cappella del Duomo di Milano, vacante in seguito alla morte di Fioroni, e a tal fine stava componendo il pezzo a cappella a otto parti reali per doppio coro che era di prammatica presentare a concorsi del genere.

Sarebbe stato l'esempio di quest'opera di Sarti a spingere Cherubini a cimentarsi nella composizione di un lavoro di alto virtuosismo contrappuntistico com'è, appunto, il Credo. Non sappiamo fino a che punto Cherubini abbia portato la composizione del Credo nel 1778. Fatto sta che non lo terminò, ma nemmeno l'abbandonò. Tant'è vero che per quasi trent'anni se lo portò dietro in tutti i suoi spostamenti attraverso l'Europa per riprenderlo e portarlo a compimento solo nel 1806, a Parigi, durante la fase più acuta di una crisi fisica, spirituale e artistica che lo travagliava, mentre i dissapori con Napoleone l'avevano tagliato fuori momentaneamente da ogni attività pubblica. Come asserisce ancora il Confalonieri, «Cherubini, scrivendo il suo Credo, sapeva benissimo di comporre un'opera assolutamente inattuabile. A parte il fatto che la sua lunghezza (oltre mezz'ora) lo avrebbe escluso da qualsiasi celebrazione di Messa, le difficoltà derivanti dal numero delle voci e dalla ripartizione in due Cori eran più che sufficienti per fargli capire come in Francia, il suo lavoro non sarebbe mai stato eseguito». Egli doveva essere anche consapevole di aver scritto col Credo un'opera del tutto inattuale rispetto al gusto e alle abitudini musicali del suo tempo. Un'opera «trattata quasi come un diario segreto nella personale confrontazione del musicista con uno stile perento, eppure per lui carico di augusti significati». (Mila). Il riferimento a Palestrina s'impone con ogni evidenza, al punto che Adolphe Adam potè dire: «Se Palestrina avesse vissuto ai tempi nostri, egli si sarebbe chiamato Cherubini». Non bisogna pensare però che il Credo sia soltanto uno scolastico lavoro arcaicizzante condotto con supremo mestiere tecnico, ma privo di autentici, originali e autonomi valori creatici. Anzitutto Cherubini non imita pedissequamente lo stile di Palestrina, ma si rifà più che altro allo spirito della polifonia palestriniana, valendosi nella formulazione concreta dell'opera di armonie, modulazioni e ritmi che, per quel tempo erano «moderni» e in ogni caso esulavano completamente dall'ambito stilistico di Palestrina. E' vero che nel Credo vi sono delle parti condotte in uno stile assolutamente rigoroso, tant'è vero che quando, nel 1825, Cherubini pubblicò il suo celebre Trattato di contrappunto e fuga, per esemplificare la forma della fuga a otto voci per doppio coro (che costituisce il coronamento degli studi contrappuntistici) egli riprodusse il «Et vitam venturi secoli, amen», cioè la grandiosa parte finale del suo Credo, con accanto il brano consimile del suo maestro Sarti.

Come nelle grandi opere in cui si manifesta il costruttivismo speculativo di Bach, anche in questo Credo di Cherubini il fatto meramente tecnico viene trasceso e trasfigurato spiritualmente proprio nei momenti in cui trova la sua attuazione apparentemente più astratta. E questo avviene proprio nella Fuga conclusiva su di un Cantus firmus gregoriano che costituisce quasi una metà dell'intera opera. Le parti che precedono la Fuga corrispondono alla tradizionale partizione del Credo. Un primo brano, in sol maggiore e in tempo Moderato, abbraccia le parole del testo fino alla frase «descendit de coelis» inclusa. Questo brano consiste in un intreccio contrappuntistico in istile imitativo nel quale s'inseriscono delle melodie di canti fermi insieme alle loro inversioni a specchio. Seguono un breve, contemplativo Largo in sol minore («Et incarnatus est») e un Andante sostenuto, ugualmente in sol minore, sulle parole del Crucifixus. Un brano Vivace in tre quarti inizia dal Resurrexit, si sviluppa attraverso Canoni all'unisonoet iterum venturus est») e per moto «inverso contrario» («qui ex patre filioque procedit») per distendersi in un passo Graveet una sanctam catholicam et apostolicam ecclesiam») che prepara la Fuga finale.

Roman Vlad

Testo

CREDO

Credo in unum Deum Patrem omnipotentem, factorem coeli et terrae, visibilium omnium et invisibilium.
Et in unum Dominum Jesum Christum, Filium Dei Unigenitum.
Et ex Patre natum ante omnia saecula.
Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non factum, consubstantialem Patri: per quem omnia facta sunt.
Qui propter nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis.
Et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine: et homo factus est.
Crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Pilato: passus et sepultus est.
Et resurrexit tertia die, secundum scripturas.
Et ascendit in coelum: sedet ad dexteram Patris.
Et iterum venturus est cum gloria, judicare vivos et mortuos: cujus regni non erit finis.
Et in Spiritum Sanctum Dominum et vivificantem: qui ex Patre Filioque procedit.
Qui cum Patre et Filio simul adoralur et conglorificatur: qui locutus est per Prophetas.
Et in unam sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam.
Confiteor unum baptisma, in remissionem peccatorum.
Et expecto resurrectionem mortuorum.
Et vitam venturi saeculi. Amen.
(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 febbraio 1967


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Ultimo aggiornamento 1 novembre 2015