Anche per Casella, come per tanti altri musicisti, compreso Beethoven, la critica ha parlato di tre maniere o di tre stili, caratterizzanti la produzione di questo artista poliedrico che fu innanzitutto un insigne pianista e con la sua infaticabile attività di compositore, direttore d'orchestra, insegnante, revisore e organizzatore della vita musicale (basti pensare alle Settimane Musicali Senesi da lui promosse in seno all'Accademia Chigiana) diede un notevole contributo al processo di svecchiamento e di rinnovamento del linguaggio sonoro nel panorama culturale dell'Italia degli anni Venti. Non va però data eccessiva importanza a questa suddivisione dell'opera di Casella in tre periodi per non circoscrivere troppo la forte individualità di un musicista che approdò alle rive del neoclassicismo, in quanto assertore della chiarezza e della lucidità razionale delle forme, e si oppose agli epigoni dell'impressionismo francese e alle deformazioni espressionistiche di origine centroeuropea. Ripudiando quelli che egli considerava gli ultimi segni della decadenza romantica, ossia voltando le spalle alla produzione che ancora nei primi decenni del Novecento gli appariva insidiata dalla «malattia dell'esotismo», Casella mosse una vivace guerra al melodramma, sostenendo a volte posizioni unilaterali e rigidamente polemiche, che si spiegano come reazione al soverchiante dominio dell'opera veristica sulla musica strumentale (Sonata, Sinfonia, Concerto), da lui ritenuta più sincera e non condizionata da ragioni extra-musicali. Oltre a credere nella figura del musicista-artigiano (Bach fu il suo insuperato modello), Casella ripudiò il microbo atonale, anche se comprese il significato storico che l'aveva determinato, e le esagerazioni del dadaismo futurista e si battè con l'opera e gli scritti per un ritorno a Monteverdi, a Vivaldi, a Domenico Scarlatti, a Rossini e ai modi ecclesiastici medioevali, non sdegnando di prediligere gli aspetti più autentici del patrimonio melodico popolare italiano.
Del resto una precisa indicazione, anche se in succinto, della personalità di Casella è possibile coglierla nei Sei Studi op. 70 per pianoforte, scritti tra il 1942 e il 1944 come «umile omaggio di ammirazione e di gratitudine verso le memorie di Chopin e di Ravel». L'autore stesso ha tenuto a precisare che con questa raccolta di Studi ha cercato «di dare valore di arte a taluni problemi eccezionali del tecnicismo pianistico trasferendoli sul piano dell'espressione musicale». Il primo intitolato «Sulle terze maggiori» è dedicato a Carlo Zecchi ed è un pezzo di estrema leggerezza e fluidità di suoni. Il secondo (Sulle settime maggiori e minori) è dedicato ad Armando Renzi: è un Allegro molto vivo, inframezzato da un movimento più disteso e malinconico. In tempo Moderato è il terzo Studio (Di legato sulle quarte), dedicato a Maria Luisa Faini: è un tipo di musica vaporosamente delicata. Il quarto Studio (Sulle note ribattute) è dedicato a Marcella Barzetti ed è un Allegro molto vivace ed agitato, dalle sonorità vigorose e impetuose, con una coda brillantemente in crescendo. Il quinto è dedicato a Lya de Barberiis ed è elaborato sul tema dolcemente espressivo del Preludio in la maggiore del grande pianista polacco. A chiusura viene il «Perpetuum mobile» dedicato a Pietro Scarpini: è una vera e propria toccata pianistica dal ritmo spigliato e fosforescente, secondo uria vigorosa quadratura di gusto classicista.
I Sei studi per pianoforte op. 70 furono portati a termine tra il 1942 e il 1944. Ognuno di essi prende lo spunto da un particolare modulo di tecnica pianistica, secondo il titolo, ed è dedicato a un pianista allievo o amico del maestro, e precisamente, nell'ordine dei sei Studi, a Carlo Zecchi, Armando Renzi, Maria Luisa Faini, Marcella Barzetti, Lya De Barberiis, Pietro Scarpini.
La breve nota che si legge nell'edizione è del tutto esauriente a chiarire il senso e le finalità che Casella si riprometteva dall'opera. «La presente collana di "studi" vuol essere un umile omaggio di ammirazione e di gratitudine verso le memorie di F. Chopin e di M. Ravel. Questa valga - oltreché a chiarire la ragione di quelle (assai trasparenti) "allusioni" degli studi n. 1 e 5 - ad illustrare perché e come l'autore abbia qui cercato di dare valore di arte a taluni problemi eccezionali del tecnicismo pianistico trasferendoli sul piano della espressione musicale».
Giorgio Graziosi