La favola d'Orfeo, op. 51

Opera da camera in un atto

Musica: Alfredo Casella (1883 - 1947)
Libretto: Corrado Pavolini da Angelo Poliziano

Composizione: Roma, 30 giugno 1932 - Bellamonte, 12 agosto 1932
Prima esecuzione: Venezia, Teatro Goldoni, 6 settembre 1932 Dedica: Corrado e Marcella Pavolini
Guida all'ascolto (nota 1)

Anche per Casella, come per tanti altri musicisti, compreso Beethoven, la critica ha parlato di tre maniere o di tre stili, caratterizzanti la produzione di questo artista poliedrico che fu innanzitutto un insigne pianista e con la sua infaticabile attività di compositore, direttore d'orchestra, insegnante, revisore e organizzatore della vita musicale (basti pensare alle Settimane Musicali Senesi da lui promosse in seno all'Accademia Chigiana) diede un notevole contributo al processo di svecchiamento e di rinnovamento del linguaggio sonoro nel panorama culturale dell'Italia degli anni Venti. Non va però data eccessiva importanza a questa suddivisione dell'opera di Casella in tre periodi per non circoscrivere troppo la forte individualità di un musicista che approdò alle rive del neoclassicismo, in quanto assertore della chiarezza e della lucidità razionale delle forme, e si oppose agli epigoni dell'impressionismo francese e alle deformazioni espressionistiche di origine centroeuropea. Ripudiando quelli che egli considerava gli ultimi segni della decadenza romantica, ossia voltando le spalle alla produzione che ancora nei primi decenni del Novecento gli appariva insidiata dalla «malattia dell'esotismo», Casella mosse una vivace guerra al melodramma, sostenendo a volte posizioni unilaterali e rigidamente polemiche, che si spiegano come reazione al soverchiante dominio dell'opera veristica sulla musica strumentale (Sonata, Sinfonia, Concerto), da lui ritenuta più sincera e non condizionata da ragioni extra-musicali. Oltre a credere nella figura del musicista-artigiano (Bach fu il suo insuperato modello), Casella ripudiò il microbo atonale, anche se comprese il significato storico che l'aveva determinato, e le esagerazioni del dadaismo futurista e si battè con l'opera e gli scritti per un ritorno a Monteverdi, a Vivaldi, a Domenico Scarlatti, a Rossini e ai modi ecclesiastici medioevali, non sdegnando di prediligere gli aspetti più autentici del patrimonio melodico popolare italiano.

Nell'ambito della ricerca classicista di Casella va inserita l'esperienza de La favola di Orfeo, definita opera da camera sia per la struttura che per lo stile musicale, attento soprattutto ad una linearità e trasparenza del discorso strumentale e polifonico. Nel libro autobiografico "I segreti della giara" così scrisse Casella a proposito di questa sua partitura: «Potrà parer singolare, dopo pochi mesi dalla Donna Serpente, vale a dire da un atto di fede totale in un teatro musicale dove regni sovrana, sopra poesia ed azione, la musica, potrà dunque sembrar singolare che lo stesso compositore abbia scelto questa volta una delle più illustri tragedie della letteratura nazionale, rinunciando quindi a quella "autonomia musicale" già dichiarata indispensabile in quell'altra occasione, e piegando in conseguenza la propria arte a fondersi con quella di Messer Agnolo. Dopo il teatro spettacoloso e fiabesco, quello intimo; dopo il barocco gozziano, il puro classicismo di uno fra i miti più nobili dell'antichità; dopo le sonorità potenti e sfolgoranti di quella grande orchestra e di quel vociferante coro, l'idea di una nuova esperienza teatrale su un piano così diverso doveva logicamente appassionarmi... Progetto da lunghi anni accarezzato, questa Favola di Orfeo è divenuta realtà solamente negli ultimi mesi. Cominciata infatti a Roma il 30 giugno 1932 la partitura è stata terminata il 12 agosto a Bellamente - Trentino. Per la stesura del poema da musicarsi - non potendo per ovvie ragioni di tempo conservare tutto l'originale - il compositore ha chiesto al suo amico Corrado Pavolini una preziosa ed autorevole collaborazione. E così il nuovo Orfeo si presenta come una sintesi delle due note lezioni della tragedia, quella cioè dei codici Chigiano e Riccardiano e quella posteriore del Padre Ireneo Affò. Maggior sostanza però è dovuta alla prima lezione, la quale è apparsa più musicale dell'altra. Ma dell'insieme del doppio poema, Pavolini e Casella hanno voluto conservare solamente l'essenziale, vale a dire che l'azione è tutta concentrata in un rapido succedersi dei momenti più "monumentali" degli originali: canto di Aristèo, morte di Euridice, entrata di Orfeo, annuncio della morte della ninfa, discesa di Orfeo in Inferno, dialogo con Plutone, ritorno con Euridice, trasgressione della divina legge e scomparsa definitiva di Euridice, dolore di Orfeo e sua rinuncia all'amore femminile, morte del vate per opera delle Baccanti e sacrificio finale a Bacco.

L'opera così ridotta dura circa mezz'ora e comprende, sia per la durata che per i mezzi adoperati - uniformandosi così al "tipo" proposto di intesa con Adriano Lualdi per la creazione di un repertorio del Teatro dell'Opera da Camera - un solo atto, preceduto da un breve prologo, nel quale Mercurio annuncia la favola. Lo stile musicale è assai semplice per quanto questa semplicità non debba trarre in inganno, essendo ormai frutto di una lunga esperienza spirituale e tecnica. La declamazione si avvicina più sovente al recitativo che non nella Donna Serpente, inteso però sempre quel recitativo come un vero "parlar cantando", principio questo fondamentale per ogni melodramma italiano che voglia camminare lungo la strada della grande tradizione nazionale. La favola di Orfeo è dedicata a Corrado e Marcella Pavolini».

Sempre ne "I segreti della giara" Casella ha fornito di quest'opera altre notizie di cronaca: «La prima rappresentazione ebbe luogo da me diretta al Teatro Goldoni la sera del 6 settembre ed ebbe lietissimo successo ed anche una maggioranza di critica assai favorevole. Il regista fu Guido Salvini, il quale è anche l'autore di quella espressiva definizione dell'opera: "un Orfeo tascabile". Senza aver l'importanza de La donna serpente, tuttavia questo lavoro teatrale rimane forse per adesso il mio più accessibile al pubblico. Ed infatti ha sempre incontrato, in Italia ed all'estero, il medesimo schietto consenso di pubblico e di critica. Ed anche nell'opinione mia, è un lavoro che considero non senza un reale compiacimento, per le sue qualità di purezza e di compiutezza stilistica».

L'opera si apre con un Preludio (Allegro dolcemente mosso) alla fine del quale Mercurio espone e riassume l'argomento: il pastore Aristèo, figlio di Apollo, s'invaghisce di Euridice, moglie di Orfeo; mentre un giorno la inseguiva, un serpente velenoso morse Euridice, che morì. Orfeo con il suo canto riuscì a portar via dall'Inferno Euridice, ma non essendo capace di mantenere i patti, si volse indietro e perse per sempre sua moglie. Non volendo amare più alcuna donna, Orfeo venne ucciso dalle donne. Dopo il prologo riprende la musica con l'aria di Aristèo, il quale canta con dolce malinconia il suo inappagato amore per la bella Euridice, mentre una Driade, danzando, coglie fiori. A chiusura dell'aria un breve intermezzo strumentale indica l'entrata di Euridice e la sua improvvisa morte. Segue un triste lamento intonato dapprima da una sola e poi da tutte le Driadi (coro), le quali annunciano ad Orfeo la morte di Euridice. Un altro intermezzo strumentale e un recitativo di Orfeo si riferiscono all'entrata di Euridice nell'Inferno. Cantando, Orfeo decide di scendere nel regno dei morti e riportare Euridice sulla terra. Egli supplica "con infinita dolcezza" Plutone, dio dell'Averno, il quale rende la sposa ad Orfeo a patto che egli non la guardi prima "che tra i vivi pervenuta sia". Un altro Interludio strumentale traduce musicalmente la discesa di Orfeo all'Inferno e la sua ricomparsa con Euridice. Al trionfante canto di Orfeo, intonato in latino, segue il tragico capovolgimento della situazione: Orfeo si volta a guardare Euridice, che viene tratta di nuovo nell'Inferno, dopo essersi accomiatata da Orfeo con "voce debole e commossa". Orfeo, disperato, maledice l'amore, giurando di non avvicinarsi mai più ad una donna. Irrompono quindi le Baccanti, sacerdotesse di Bacco, con l'intenzione di uccidere Orfeo, per punirlo d'aver maledetto l'amore. Dopo un marcato e violento intermezzo sinfonico, le Baccanti ritornano con la testa di Orfeo: in preda ad una febbrile esaltazione si abbandonano ad una danza orgiastica, sino a quando non cadono a terra esauste e stremate.

Sia l'impianto drammatico che quello musicale dell'opera riflettono una scelta estetica improntata a semplicità e chiarezza. Il Preludio e il Baccanale finale fungono da colonne portanti su cui poggia l'intera Favola di Orfeo, in cui tre grandi arie sono divise e intercalate da recitativi vocali e strumentali. Come osserva giustamente Massimo Mila, quest'opera rappresenta «un'equilibrata e armoniosa manifestazione di uno stile italianamente vocale, di derivazione seicentesca, che mai offende la sobrietà e la misura dell'espressione e che si organizza con proporzionata architettura intorno a tre pilastri fondamentali».


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 marzo 1984


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Ultimo aggiornamento 18 gennaio 2013