Suite n. 3 in sol maggiore, op. 55


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Élégie. Andantino molto cantabile (sol maggiore)
  2. Valse mélancolique. Allegro moderato (mi minore)
  3. Scherzo. Presto (mi minore)
  4. Tema con variazioni. Andante con moto (sol maggiore)
Organico: ottavino, 3 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, piatti, grancassa, tamburo militare, tamburo basco, triangolo, arpa, archi
Composizione: aprile - 31 luglio 1884
Prima esecuzione: San Pietroburgo, Bolscioj Sal Konservatorii, 24 gennaio 1885
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1885
Dedica: Max Erdmannsdörfer
Guida all'ascolto (nota 1)

La delusione provata dopo il mancato successo dell'allestimento di Mazepa indusse Cajkovskij ad una precipitosa fuga all'estero nel febbraio 1884. Quindici giorni di soggiorno a Parigi ricondussero a più miti consigli il musicista che, al ritorno in Russia, fu ricevuto a San Pietroburgo dallo Zar. Orientato a dedicarsi di nuovo al genere sinfonico, Cajkovskij rammentò quanto aveva scritto, tempo prima, a Modest allorché gli aveva precisato l'intento di «prender un po' le distanze dalla massiccia complessità della musica per grande complesso orchestrale»: allora, nell'agosto 1878, aveva cominciato a prender forma la Suite n. 1 in re minore op. 43. L'idea che fu alla base dell'iniziativa gli era stata suggerita da un genere compositivo allora fuori moda, quello della "Suite" del musicista tedesco Franz Lachner che, da oltre un decennio, stava dedicandosi a lavori analoghi.

Il successo arriso nel dicembre 1879 all'esecuzione a Mosca della Prima Suite indusse Cajkovskij in un'altra occasione, nell'estate 1883, a comporre la Suite n. 2 in do maggiore op. 53, un po' sul medesimo schema. Ed anche la Seconda Suite attinse, a sua volta, nel febbraio 1884 a Mosca, un esito brillantissimo; ma in seguito, anche in Russia, il lavoro uscì dal repertorio ed in Occidente è praticamente sconosciuto.

La stesura della Suite n. 3 in sol maggiore op. 55 si svolse a Kamenka e il 6 aprile 1884 il compositore ribadì in una lettera a Nadezda von Meck il concetto della recente sua predilezione per tale tipologia creativa, in quanto decisiva «risultava la libertà di sottrarsi al condizionamento delle forme tradizionali». In particolare veniva poi precisato che «nel nuovo lavoro, articolato in cinque movimenti, l'ultimo sarebbe stato un tempo di variazioni».

Tolto di mezzo, dopo lunghe perplessità, l'originario movimento iniziale, denominato Contrasti - che venne poi trasposto all'avvio della Fantasia da concerto op. 56 - la Terza Suite fu ultimata nella prima stesura il 23 maggio dello stesso anno con l'orchestrazione portata a termine a Grankino il 19 luglio. La prima esecuzione ebbe luogo a San Pietroburgo il 12 gennaio 1885 sotto la elettrizzante direzione di Hans von Bülow, salutata da un trionfo inverosimile. Una settimana dopo, con Max Erdmannsdörfer sul podio, il successo si rinnovò a Mosca. In entrambe le città le recensioni risultarono assai positive. Laroche scrisse che «con Cajkovskij il cuore del mondo musicale si era trasferito dalla Germania alla Russia». Ed anche nella sua tournée in Occidente del 1888-89 e negli Stati Uniti del 1891, come direttore d'orchestra, Cajkovskij incluse nei suoi programmi la Terza Suite. Pubblicata da Jurgenson nel 1885, con dedica ad Erdmannsdörfer, la partitura impiega tre flauti, corno inglese, oboi, clarinetti, fagotti e trombe a due, quattro corni, tre tromboni, timpani, arpa e archi.

Il movimento iniziale è denominato Elegie ed inizia col tema agli archi di un'effusione espressiva simile a una romanza (Andantino molto cantabile). L'apparizione delle sonorità dell'arpa e dei fiati spezza timbricamente l'eloquio degli archi e si ascolta la riproposizione del tema, affidata questa volta a due flauti e due clarinetti nel pieno orchestrale. L'atmosfera generale, aggraziata nel modo di porgersi, appare soffusa di tinte pastello. Con la seconda idea, nell'Andante, si trascorre dall'iniziale tonalità di sol maggiore a quella di mi bemolle maggiore. Questa sezione è di straordinaria intensità (molto espressivo e con grandezza): la frase appassionata e di lungo respiro inspessisce il tessuto strumentale e incalza con parecchie variazioni di tempo, dall'animando al ritenendo. Tale elasticità, unita all'accompagnamento in semicrome che dà un senso di ansia nella ripetizione ossessiva, non lascia più molto spazio all'iniziale clima elegiaco se non per fugaci riapparizioni. E il movimento si conclude sull'assolo del corno inglese, dei violini e del primo violino sul pianissimo in dissolvenza.

In un'atmosfera da racconto antico s'apre il secondo tempo, Valse mélancolique, sull'accordo di mi minore, ripetuto ostinatamente da due fagotti e dal clarinetto nel registro grave, assieme al movimento sincopato dei violoncelli e contrabbassi. Le viole suonano un breve incipit lasciando poi svolgere il tema a tre flauti all'unisono. Poi, nel gioco delle modulazioni, la sonorità cresce per quindi diminuire e riproporre il tema iniziale con nuovi atteggiamenti orchestrali.

In modo rilassato si giunge alla seconda idea, più virile ed accentuativa nella ripetizione di un salto d'ottava, tra una semiminima in levare e una minima sforzata in battere, nella tonalità di do maggiore, su cui giocano le armonie preziose degli strumenti con rapide scale ascendenti su procedimenti cromatici. Alla fine, sempre sul ritmo ostinato, si perviene alla riesposizione della prima idea in una veste strumentale nuova. I violini e le viole cantano il tema ansioso del Valzer, ma il racconto si va esaurendo a poco a poco, con un ritmo sempre più dilatato sul cupo rimpasto, nel pianissimo, dell'accordo in mi minore di fagotti, corno inglese, clarinetti e corni.

Di incredibile leggerezza e vivacità, nel contrasto rapidissimo della contemporaneità fra terzine e duine, è pervaso il terzo movimento, Scherzo in mi minore, uno dei pezzi più virtuosistici, caratterizzato com'è dal velocissimo mutare dei colori. La sezione centrale in re maggiore appare di notevole modernità nel contrasto tra le sonorità distinte dei legni e dei fiati, gli interventi leggerissimi dei piatti e di un tamburo militare, con rapidi accordi staccati, al massimo del piano, di due trombe e due tromboni.

Il quarto tempo, Tema con variazioni, è un brano molto complesso in cui gli atteggiamenti strumentali si susseguono con mano molto sciolta. Dopo il Tema, fra lo scherzoso e il cavalieresco (Andante con moto) la I Variazione ripete il tema all'unisono dei pizzicati degli archi con un contrappunto di due parti, molto denso, dei flauti e clarinetti.

La II Variazione (Molto più mosso) è un rapidissimo moto perpetuo dei primi violini.

La III Variazione ritorna all'andamento iniziale (Tempo del Tema) ed è affidata a tre flauti, due clarinetti ed un fagotto.

La IV Variazione inizia a cambiare la struttura del tema (Con anima) mentre sopraggiunge un fortissimo (Poco più mosso) con la citazione del Dies irae ai tromboni.

Nella V Variazione l'atmosfera si fa dura, accentuativa, con le rapide entrate della testa del tema.

La VI Variazione accresce il clima orgiastico (Allegro vivace) sul tremolo delle viole e dei violoncelli, e poi dei violini sugli accordi staccati dei fiati.

La VII Variazione, a mo' di corale, è affidata ai legni e, senza soluzione di continuità, l'VIII Variazione attacca con l'assolo del corno inglese in una chiave pronunciatamente "alla russa". Senza interruzione si passa alla IX Variazione, una rapidissima danza, che termina con un assolo virtuosistico del primo violino.

Ancora il primo violino è il protagonista della X Variazione con ostinatezza ritmica (Allegro vivo e poco rubato) e piglio satanico.

Sempre sull'assolo del violino si giunge alla XI Variazione che riporta (Moderato mosso) alla semplicità del tema in un clima legato, pervaso da dense tensioni armoniche.

Si perviene così alla XII Variazione molto estesa (Finale. Polacca) di grande virtuosismo, bloccata nel suo incedere dall'Allegro moderato. Poco dopo però prende l'avvio il Tempo di Polacca, molto brillante, sempre nel massimo del forte, dei colori, delle scansioni ritmiche e della brillantezza di smalto.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 31 gennaio 2009

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Ultimo aggiornamento 3 agosto 2012