Sinfonia n. 3 in re maggiore, op. 29 "Polacca"


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Introduzione e Allegro: Tempo di marcia funebre, Moderato assai (re minore). Allegro brillante (re maggiore)
  2. Alla tedesca: Allegro moderato e semplice (si bemolle maggiore)
  3. Andante: Andate elegiaco (re minore)
  4. Scherzo: Allegro vivo (si minore)
  5. Finale: Tempo di Polacca, Allegro con fuoco (re maggiore)
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, archi
Composizione: Mosca, 17 giugno - Verbovka, 13 agosto 1875
Prima esecuzione: Mosca, Società Musicale Russa, 19 novembre 1875
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1877
Dedica: Vladimir Stepanovich Shilovskii

Il titolo "Polacca" è apocrifo
Guida all'ascolto (nota 1)

Ciajkovskij impostò in re maggiore il proprio unico Concerto per violino (1878). E in re maggiore è anche la sua Sinfonia n. 3, op. 29, che qui si ascolta a specchio della fiduciosa serenità beethoveniana (anche il finale della "Nona" conclude in re maggiore) (n.d.r. Il concerto dal quale abbiamo attinto queste note proponeva anche il Concerto per violino op. 61 di Beethove). Unica tra le Sei nello svettante maggiore: le altre sono rispettivamente in sol minore, do minore, fa minore, mi minore, si minore. Ma anche l'unica a possedere un quinto movimento, in coda, dopo i quattro di prammatica. Tra l'altro, proprio quest'ultimo, indicato come Tempo di Polacca, conferirà il nome alla Sinfonia, passata alla storia come Polacca. Ciajkovskij lo annota in italiano, che resta sempre la lingua universale con cui si parla di musica.

Le cinque parti, con venature più o meno scoperte di danza, fecero parlare di questa Sinfonia come di una Suite. Cioè di quel genere di composizioni, prelibate, in voga tra barocco e classicismo, con Bach in prima fila, dove si inanellavano passi diversi, in uso in vari Paesi europei, in singolari mappe geografiche. Sappiamo quanto Ciajkovskij le amasse. In particolare quelle di Mozart, nell'Idomeneo, che chiudevano in una cornice di ritrovata pace la grande opera seria, così tormentata. Ciajkovskij le diresse nel suo ultimo concerto, insieme con la prima esecuzione della Patetica. Scegliendo entrambe come simbolico congedo.

La Terza Sinfonia nasce a Mosca, il 7 novembre 1875 (trentacinquenne l'autore) sotto la direzione di Nikolaj Rubinstein.

Figura fondamentale per la musica russa, sia pubblica, dal momento che un decennio prima aveva fondato il Conservatorio di Mosca, sia privata, essendo stato da sempre grande amico di Ciajkovskij. Fu sempre lui, dal 1868 al 1878, sul podio per il debutto delle prime quattro Sinfonie; mentre le due ultime nacquero a Pietroburgo, con la guida dello stesso autore. Tra le Sei, la Polacca è la meno frequentata nelle sale da concerto. Forse perché priva sia degli incanti gelati delle prime due, tanto intimamente palpitanti degli inverni in Russia, e sia dell'afflato tragico delle successive tre, fatali nel procedere, secondo un destino ineluttabile.

Nella Terza Ciajkovskij si nasconde dietro una maschera. Maschera velata, certo. Perché subito la tinta personale della sua pennellata appare evidente: nello strisciare degli accompagnamenti, nell'impasto un po' sdolcinato dei legni, nei pizzicati, nei temi cavati fuori solitari, attorcigliati su se stessi.

A sorpresa il primo movimento, Introduzione e Allegro (Moderato assai - Allegro brillante) non figura nella tonalità d'impianto, bensì al relativo re minore. E colpisce quella scritta, in alto sul pentagramma, dove Ciajkovskij con grafia rotonda, da scolaro diligente, chiosa: "Tempo di marcia funebre". Dunque la prima danza - grottesca, parodistica, amara - della nostra Suite è proprio questa, una marcia funebre.

Che sembra arrivare da lontano, coi passi in levare, anziché in battere, un po' sghemba, priva totalmente di retorica. E infatti ancor più realistica. Con l'effetto paradosso, che tanto piaceva al compositore, nella musica da balletto, dove il morto sembra levarsi in piedi vivo sul catafalco (nella seconda parte brillante del movimento) in una marcetta comica, apparentemente trionfale. Trascinante, ma insieme convulsa, marionettistica (e si capisce che Stravinskij amasse tanto Ciajkovskij).

Qualche filamento di contrappunto, brandello di scrittura severa, fa da contrafforte al parodistico sabba, colorato di guizzi dei legni, fiammeggianti. Alla tedesca, riporta in capo il secondo movimento (Allegro moderato e semplice). Ed è davvero una tersa semplicità, distesa, orizzontale, il carattere costante della seconda danza, in tempo ternario e costruita secondo lo schema A B A, ossia prima parte, seconda differente, ritorno identico o quasi della prima. In verità il semplice ("simplice", riporta in manoscritto) per Ciajkovskij è una categoria inesistente: e lo sentiamo subito. Attaccano gli archi, insieme, con due battute di tre quarti, pizzicati: un valzer? (che entra per la seconda volta in una Sinfonia, dopo la dirompente Fantastica di Berlioz). In realtà questo è un valzer impossibile da danzare. Perché il tema (ingannevolmente "grazioso") esposto da flauto e clarinetto, è così zoppicante e frammentato che nessun ballerino potrebbe appoggiarvisi. Tuttavia ci irretisce, ipnotico. Con gli accenti spostati, come nelle emiolie della musica antica. Passa da leggio a leggio, attraverso tutta l'orchestra. E infine viene riesposto, dopo il tempo di mezzo frenetico, creato da un Trio che il compositore vuole con "L'istesso tempo". Ma tanto denso nella scrittura a terzine veloci, da precipitare in avanti, trascinato da continui cromatismi.

Magistrale il finale: dove finalmente il valzer si assesta, conquista un battere, stabile, a note lunghe. Sembrano finalmente placati gli spettri. E invece no. Perché partendo in alto dai legni più leggeri, e scendendo giù fino ai corni, quel tema sbilenco ricompare, quasi un'ossessione, fino a rotolare sulle ultime battute, senza più pause, al fagotto, come una cantilena. Chiusa da pizzicati, in pianissimo. A preparare il clima raccolto del terzo movimento, Andante (Andante elegiaco) intriso di espressività ("molto espressivo" indica Ciajkovskij). Quasi bucolico, in partenza, nel dialogo parlante tra i legni; quasi a imitazione di un Recitativo d'opera. Anche qui col fagotto invernale sempre ben in evidenza, e gli archi che poi riprendono la scena, "molto espressivi". La danza è ternaria, più cantante. Più lirica, coi violini su nell'acuto, da primadonna. E come sempre in questo stile chiuso, serrato dalla morsa delle terzine ossessive, i disegni anche se più spaziati e liberi, non vanno da nessuna parte. Non volano fuori, nonostante quei richiami di caccia, con la consueta figurazione ritmica sbalzata, perché nessuna finestra è aperta, nei pentagrammi di Ciajkovskij. Tutto è destinato a un eterno ritorno.

Diabolico lo Scherzo (Allegro vivo), nella scansione ordinaria A B A, inquietante nelle sciabolate veloci che si rimandano in dialogo legni e archi, obbligando gli esecutori a un'esattezza assoluta, pena il crollo del castello di carte. È fatto di niente, questo movimento. Scherzo, appunto. Autentico. Un alito di vento, che scompiglia la musica e noi, facendoci ruotare a cerchio. Con incessante virtuosismo, nella sgranatura perfetta delle quartine, dove tutte le note che le compongono escono articolate e fluide, prima di aprirsi al Trio, su ritmo di marcia.

Eccola infine, roboante e altisonante, la conclusiva e attesa Polacca. In tempo ampio, qua e là sforbiciato dal compositore con vistose cancellature a X, sui pentagrammi. A togliere un poco di ridondanza, che qui senza pudori si dichiara, in tutta la sua maestosità. Si apre a pieni ranghi, in fortissimo. Il disegno ritmico (che poi sarà l'anima di questo finale) si staglia definito e netto, più moderno di quanto non appaia in superficie. O forse più antico, anche se nessun compositore barocco avrebbe mai esteso a un organico tanto massiccio una figurazione tanto friabile. Tra i fragori di danza, si fa strada stentoreo un inno che ha il sapore di una marcia di vittoria, tra il sacro e il guerresco.

Ma l'episodio che più colpisce, in questo altisonante finale, è la bellissima fuga che Ciajkovskij riesce a delineare, nonostante la densità della strumentazione: costruita naturalmente sul disegno di Polacca, che da danza diventa qui monito aulico, severo. Argine dichiarato ai facili entusiasmi. Ai fanatismi, al procedere schierati gridando, con passo uniforme. Troppo facile, il consenso ottenuto con questi mezzi. Troppo lontano dal pensiero solitario e complesso del compositore. Che dedica la Terza Sinfonia a Vladimir Shilovsky, allievo nella sua classe di composizione, al Conservatorio di Mosca. Nato nel 1852, dunque all'epoca ventitreenne. Ciajkovskij, amico della madre e del fratello maggiore, aveva spesso soggiornato a Usovo, nella proprietà di famiglia. Lì aveva completato la fantasia La tempesta, l'opera Vakula il fabbro e appunto la Sinfonia n. 3.

Nel 1877 Shilovsky sposò Anna Alekseyevna Vasilyeva, più vecchia di lui di undici anni, figlia del Conte Aleksey Vladimirovich Vasilyev, acquisendo nel 1879 il titolo dì Conte. Per caso, chissà, nello stesso anno anche Ciajkovskij sposò - disastrosamente - Antonina Ivanova Miljukova, inconsapevole e fragile, allieva per poco tempo al Conservatorio. In una lettera da Mosca il compositore ne scrive, freddamente inquieto, a Shilovsky. I due resteranno in stretta amicizia, come testimonia il carteggio di una ventina di lettere. Non vasto, ma eloquente. Dopo una lunga malattia, Volodia si spegnerà nell'estate del 1893. Il suo Maestro lo seguirà, dopo pochi mesi, nel novembre nello stesso anno.

Carla Moreni


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 13 febbraio 2020

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Ultimo aggiornamento 26 febbraio 2020