Elegia in memoria di Ivan Vasil’evich Samarin

per orchestra d'archi

Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
Organico: archi
Composizione: 15 -18 novembre 1884
Prima esecuzione: Mosca, Società Musicale Russa, 28 dicembre 1884
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1890

Poi impiegata come Entr'acte nelle musiche di scena per Amleto op. 67
Guida all'ascolto (nota 1)

Quando l'Evgenij Onegìn fu allestito la prima volta nella sala del Conservatorio di Mosca il 17 (29) marzo 1879, l'incarico della regìa se l'era assunto Ivan Vasil'evic Samarin. Nell'ottobre 1884 Samarin, professore di drammaturgia al Conservatorio di Mosca, festeggiò i cinquantanni di carriera teatrale. Su suggerimento di Ostrovskij, venne interpellato anche Cajkovskij che aderì prontamente all'iniziativa di inserire delle pagine musicali nel corso d'una manifestazione celebrativa pubblica. Durante un breve soggiorno a Berlino mentre era in viaggio alla volta Svizzera per far visitala Josif Kotek, ricoverato in un sanatorio di Davos, Cajkovskij iniziò la composizione di questa breve pagina celebrativa per orchestra d'archi, il cui titolo previsto era Hommage reconnaissant. La prima esecuzione si svolse al Bol'soj di Mosca il 16 (28) dicembre 1884 sotto la direzione di Hyppolite K. Altani. Inizialmente il lavoro non era destinato alla pubblicazione, dato il carattere di "omaggio personale" che aveva avuto. Nel 1890 Cajkovskij mutò d'avviso al riguardo e, dal momento che cinque anni prima Samarin era scomparso, ne autorizzò l'edizione presso Jurgenson con il nuovo titolo Elégie à la mémoire de Samarin e con la dedica all'amico carissimo. A quattro anni di distanza dalla Serenata in do maggiore op. 48, questa Elégie ne riprende la scrittura magica per orchestra d'archi. Il modo adottato da Cajkovskij nel trattare tale organico con armonie late, lasciando alla melodia uno spazio terso sui frequenti raddoppi in ottava, genera una dimensione espressiva che è tesa e morbida insieme. Dopo una breve introduzione orchestrale, all'avvio dell'Elégie, caratterizzata da un cullante ritmo binario, i violini cantano una nenia d'impostazione malinconica che, dopo due brevi incisi di natura interrogativa e struggente, si sviluppa su una dolce scala ascendente che i violoncelli accompagnano su arpeggi di accordi cromatici discendenti. Alla conclusione di questo periodo si passa bruscamente alla serrata sezione centrale, segnata da procedimenti imitativi in sincope tra i vari strumenti. Poi, su uno stringendo e sul tremolo di due accordi cadenzali, rimangono alla ribalta i violini per riprendere l'atteggiamento interrogativo della prima idea. Nel complesso la musica di questa Elégie dà il senso di una malinconica sorpresa più che quello di ringraziamento riconoscente o di un aggraziato augurio. Allorché, nel 1890, Cajkovskij si orientò alla sua pubblicazione, non sottopose la partitura ad alcuna revisione; quindi si ascolta Elégie nella sua stesura originaria. E vi si coglie, appunto, l'accorata impressione di una improvvisa tristezza per la perdita, senza giustificazione, di qualcuno che è molto caro. In particolare, la ripetizione, a guisa di infinito carillon, sul pianissimo del primo tema, nella sezione conclusiva, accentua il carattere sospeso della musica, improntata ad una genuina carica emozionale.

Luigi Bellingardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 14 febbraio 1998

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Ultimo aggiornamento 2 maggio 2013