Quartetto per archi n. 3 in mi bemolle minore, op. 30


Musica: Petr Ilic Cajkovskij (1840-1893)
  1. Andante sostenuto (mi bemolle minore). Allegro moderato. Andante sostenuto
  2. Allegretto vivo e scherzando (si bemolle maggiore)
  3. Andante funebre e doloroso, ma con moto (mi bemolle minore)
  4. Finale. Allegro non troppo e risoluto (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: gennaio - Mosca, 1 marzo 1876
Prima esecuzione: Mosca, Bolscioj Sal Konservatorii, 30 marzo 1876
Edizione: Jurgenson, Mosca, 1876
Dedica: in memoria di Ferdinand Laub
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il terzo e ultimo Quartetto fu abbozzato da Ciaikovskij a Parigi nel 1876, ove, sia detto di passata, il nostro musicista restò letteralmente fanatizzato da Carmen uscita allora di fresco. (Fino agli ultimi giorni della sua esistenza il compositore russo pensò di trovare o inventare per il teatro «un soggetto non fantastico» - così diceva - «qualcosa nello stile di Carmen e di Cavalleria rusticana»). Il quartetto in parola fu terminato a Mosca nello stesso anno e dedicato alla memoria del famoso violinista Ferdinand Laub, che era stato l'esecutore dei suoi precedenti quartetti: ciò spiega l'Andante funebre, pagina cui è dovuta, in gran parte, la popolarità dell'opera 30.

La prima esecuzione, avvenuta privatamente in casa di Nicola Rubinstein, malgrado l'entusiasmo suscitato negli invitati, lasciò insoddisfatto l'autore. «Mi sembra - scriveva al fratello Modesto - che comincio a ripetermi; non trovo più idee nuove. Sarebbe dunque possibile che il mio canto sia finito, e che non possa andare più lontano?». A parte la insoddisfazione e il tormento del dubbio che afflissero quasi costantemente Ciaikovskij uomo e artista, si riconosce al Quartetto in mi bemolle minore non solo la supremazia sugli altri due, ma anche un notevole valore intrinseco, sia inventivo che formale. Sotto questo secondo aspetto diremo che, come in altre delle sue più reputate opere sinfoniche e strumentali, nel terzo quartetto Ciaikovskij non si rivela quello che s'usa dire un «costruttore» vero e proprio, certo però uno «sceneggiatore» ingegnoso, un abile ammministratore delle proprie idee, che, alla fine, non sono né scadenti né poche. Si veda in proposito l'Andante sostenuto del primo movimento. Inizio cromatico, preludio dolente, attesa su «pizzicati»: infine lo sgorgare del primo canto, immerso nel malinconioso colore del minore con sei bemolli. Tutta questa parte, che cela il pericolo di un rapido esaurirsi in se stessa, viene accortamente impiegata da Ciaikovskij in funzione soltanto di prologo. Con l'Allegro moderato entriamo nel vivo del racconto: nasce qui il tema principale (affine, però, allo spunto iniziale dell'Andante) e poco dopo, in tonalità di si bemolle, un secondo motivo. Ambedue, congiuntamente, ascendono a un bel pieno lirico. Dopo la ripresa, caratterizzata da un ritorno quasi insistente della seconda idea travasata in altre tonalità mercé fitti raccordi imitativi, veniamo ricondotti ai motivi del prologo (Andante sostenuto), che fa riapprodare gli strumenti a quell'atmosfera triste e rassegnata donde in precedenza era sembrato volessero, talvolta, evadere.

La vivacità ritmica, con pennellate dello slavismo ciaikovskiano, e soprattutto la brillantezza strumentistica sia dell'Allegro (un A-B-A) quanto del Finale (del tipo Rondò), servono mirabilmente a riquadrare, a contrasto, la «marcia funebre» del terzo movimento (Andante funebre), espressione di quel copioso emozionalismo, tanto rimproverato al maestro russo; il quale, da questo punto di vista, rappresenta se vogliamo la forma tutta femminilizzata (siamo verso lo scadere del secolo XIX) di quel «dolore del mondo» cui accennammo di recente a proposito di Brahms. In Ciaikovskij quel dolore si configurò appunto in una «pungente dolcezza del piangere», per usare una espressione a lui cara.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

I tre Quartetti per archi (opere 11, 22 e 30; rispettivamente del 1871, 1874, 1877) rappresentano il fulcro della esigua produzione cameristica di Cajkovskij. Cresciuto con una solidissima formazione accademica, Cajkovskij concepì ben presto una profonda venerazione verso la musica del classicismo viennese e imparò già negli anni di studio a cimentarsi nella difficilissima scrittura quartettistica, soprattutto attraverso l'esempio dei musicisti "eredi" del classicismo, Mendelssohn e Schumann. La formazione del quartetto d'archi appariva dunque probabilmente al compositore un termine assoluto di riferimento; il confronto con il quartetto non era quello con un genere vivo ed attuale, ma con un genere in disuso e di somma difficoltà. Di qui l'attenzione privilegiata, all'interno della cameristica, verso il quartetto; una attenzione che, peraltro, andava in senso contrario agli interessi prevalenti del compositore, e gli poneva il delicato problema di una "attualizzazione" del genere.

Ne consegue l'atteggiamento ambivalente che Cajkovskij assume nei suoi tre Quartetti. Da una parte troviamo il rispetto della tradizione; non solo i principi basilari della forma vengono ricalcati - seppure a tratti con qualche licenza - ma è evidente lo sforzo di conseguire un superiore equilibrio nei rapporti fra gli strumenti, un intreccio continuo nella polifonia; appunto uno sforzo tecnico che nega quel soggettivismo che innerva così intimamente la produzione sinfonica del compositore. Dall'altra parte Cajkovskij cerca di rendere appunto "attuale" il quartetto, e quindi di rapportarlo alla corrente nazionalistica russa, con l'adozione frequente di materiale tematico di ascendenza folklorica. Inoltre in molte occasioni il compositore avverte l'esigenza di ricercare sonorità prossime all'orchestra, con il frequente impiego delle doppie corde sui singoli strumenti.

Il Quartetto op. 30 venne composto dopo un viaggio europeo, nel febbraio 1876, poco dopo la Terza Sinfonia e il celeberrimo Primo Concerto per pianoforte. Eseguito il 13 marzo nella casa di Nicolai Rubinstein, ottenne un caloroso successo, e tuttavia l'autore scrisse al fratello Modest: «Mi sembra di essere un po' logoro. Comincio a ripetermi e non trovo idee nuove». E invece il brano è forse il più personale dei tre Quartetti, per coerenza d'impianto ed altezza d'invenzione, nonché per l'equilibrio fra il "camerismo" della scrittura e un più pronunciato soggettivismo. Dedicata all'amico violinista Ferdinand Laub (che aveva guidato le esecuzioni dei due primi Quartetti), la composizione esprime il sentimento di cordoglio (già la tonalità di si bemolle minore è considerata adatta a situazioni "funebri") nei tempi dispari, opponendovi però, con una discussa ambiguità, il carattere di divertissement di quelli pari. L'atmosfera elegiaca che percorre l'intero movimento si impone fin dalla introduzione lenta, con un tema di marcia esposto, dopo poche battute, dal primo violino accompagnato da pizzicati. L'Allegro moderato, in forma sonata, si basa su due idee contrastanti (rispettivamente impetuosa e cantabile) ma sempre di ambientazione affine; è notevole soprattutto la riapparizione, al termine del movimento, del tema di marcia iniziale, come postludio elegiaco. Segue lo Scherzo che, nella sua brevità, oppone il vivace gioco strumentale dell'incipit all'intensa malinconia della viola nel Trio; la scrittura della pagina è raffinatissima, e la contrapposizione ben calibrata.

Tuttavia, l'equilibrio della composizione gravita sul tempo lento, Andante funebre e doloroso ma con moto; non si tratta di una marcia funebre vera e propria, ma di una delle espressioni più personali del pessimismo cajkovskijano; si alternano una sezione percorsa da un ritmo lento ma incalzante, e un episodio di intensa cantabilità, in cui si avvicendano primo violino e violoncello. Brusco è il contrasto con il Finale, dove un motivo scattante dà origine a un'elaborazione polifonica di esuberante vitalità, acuita dal carattere russo del materiale tematico; il risultato è quello di un gioco brillante e raffinato, al termine del quale la rapida riapparizione del tema dell'introduzione, in pizzicato, riafferma con coerenza il messaggio di cordoglio dell'intero Quartetto.

Arrigo Quattrocchi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

All'interno della vasta produzione di Pëtr Il'ic Cajkovskij, il numero di composizioni di musica da camera è piuttosto ridotto rispetto a quello degli altri generi in cui l'autore russo eccelse (sinfonie e balletti in primis). Tuttavia, Cajkovskij scrisse anche alcuni autentici capolavori cameristici, tra cui il Quartetto n. 3 op. 30, il Trio op. 50 e il Sestetto "Souvenir de Florence". Per tutti e tre questi capolavori, l'ispirazione venne da avvenimenti che influenzarono fortemente il compositore: nel caso delle prime due opere citate, la suggestione fu provoca¬ta dalla scomparsa di personalità musicali particolarmente vicine a Cajkovskij, per il Sestetto un affascinante e stimolante soggiorno a Firenze.

Riconosciuto unanimemente come il migliore dei tre composti, il Quartetto n. 3 op. 30 fu scritto per commemorare Ferdinand Laub, violinista e primo esecutori dei due precedenti quartetti di Cajkovskij. Nell'opera la dedica a Laub è esplicitata non solo dal clima cupo che la pervade quasi interamente, ma soprattutto dalla parte assai rilevante assegnata al primo violino. Questa accentuazione della parti del violino primo (da sempre una sorta di primus inter pares nel quartetto per archi è pressoché l'unica eccezione all'impianto sostanzialmente tradizionale dell'opera che formalmente riprende l'impostazione classicista con la suddivisione in quattro movimenti e un accurato equilibrio timbrico tra gli strumenti. Tuttavia, all'interno di questa struttura classica, Cajkovskij èi in grado di esprimere in maniera musicalmente eloquente le emozioni di un'anima commossa per la perdita di un amico, attraverso slanci di affettuoso soggettivismo e, a fine partitura, di pacifica serenità.

Il Quartetto n. 3, iniziato a Parigi e completato poi a Mosca dove fu eseguito per la prima volta nel 1876, si apre con un movimento tripartito: una sorta di dolente ed espressivo preludio introduttivo (Andante sostenuto) sfuma in un corposo e malinconico Allegro moderato in forma sonata, i cui due temi principali (uno lirico, l'altro più ansioso) vengono alternativamente sviluppati e ripresi, tra sinfoniche esplosioni sonore (fff in partitura) ed elficaci dissolvenze; una terza idea melodica è introdotta dal violoncello, per poi lasciare il posto a una nuova dolcissima occorrenza del secondo tema, seguito da una coda che conduce a una sorta di postludio che conclude il movimento con sonorità sempre più impercettibili. Il conciso Allegretto vivo e scherzando successivo sembra voler creare una vivace sospensione al clima malinconico dell'opera (presente in questo movimento solo nel Trio con un tema affidato alla viola), concedendo all'ascoltatore un momentaneo sorriso prima della mesta atmosfera del terzo movimento. Vero e proprio centro emotivo dell'opera, l'Andante funebre e doloroso è espressione toccante e intensa di un cordoglio genuino, che tramuta il movimento in un requiem senza parole, ma non per questo meno significativo. In apertura un andamento da marcia funebre, scandita da pesanti accordi, lascia poi il posto a una melodia dal tono straziante affidata al violino primo, a cui segue una sorta di dolente preghiera corale in un clima sommesso e quasi rarefatto; l'atmosfera si fa momentaneamente più cantabile e distesa lino alla ripresa della marcia funebre e al finale in cui il violino primo prende congedo dal canto compatto dell'ensemble per spingersi verso vertiginose altezze sonore, che in molti hanno interpretato come l'ascesa dell'anima di Laub verso il Paradiso. Dopo l'umbratile atmosfera del terzo movimento, il Quartetto si conclude con un Allegro non troppo e risoluto estremamente luminoso e brillante, con melodie affermative e ritmi energici e gioiosi. Anche nell'ultimo movimento Cajkovskij non risparmia dicotomie sonore del tutto esplicite: più di una volta improvvisi pianissimi si contrappongono a poderosi fortissimi, quale quello che chiude l'opera dopo un'inaspettata pausa con corona e un trascinante crescendo conclusivo.

Vittoria Fontana


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana;
Roma, Teatro Eliseo, 23 marzo 1961
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 febbraio 1998
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al numero 315 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 24 luglio 2017