Concerto n. 1 in re minore per clavicembalo e orchestra, BWV 1052

Arrangiato per pianoforte e orchestra da Ferruccio Busoni

Musica: Johann Sebastian Bach
  1. Allegro
  2. Adagio
  3. Allegro
Organico: pianoforte, orchestra
Composizione della trascrizione: 1899
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1899
Guida all'ascolto (nota 1)

Il Concerto per un solo cembalo in re minore BWV 1052 deriva da un concerto precedente non pervenutoci, verosimilmente un concerto per violino solo. Di questo sconosciuto originale, peraltro, è stata varie volte posta in dubbio la paternità bachiana, parziale o totale; anche se gli studiosi più recenti (Ralph Leavis nel 1979) optano invece per attribuire a Bach l'intero concerto. I motivi di tali discussioni vanno ricercati essenzialmente nel fatto che BWV 1052 è piuttosto dissimile dagli altri concerti per cembalo, aderendo sostanzialmente al modello del concerto italiano; ossia un concerto in cui ritornelli strumentali e sezioni solistiche sono ben distinti e in cui ampiamente melodica è l'invenzione tematica; senza dunque quella ricchezza contrappuntistica propria del concerto bachiano. Il Concerto si apre con un possente unisono degli archi e tutto l'Allegro iniziale lascia ampio spazio al virtuosismo solistico. Segue un Adagio in cui la linea solistica viene distesa in una grande tensione espressiva. L'Allegro finale sottopone solista e "ripieno" a un serratissimo confronto, protratto in un movimento di eccezionale complessità e lunghezza.

Il Concerto in re minore viene presentato peraltro nel concerto odierno non già nella versione bachiana ma nella trascrizione compiutane da Ferruccio Busoni nel 1899 ed edita a Lipsia da Breitkopf und Härtel (un caso, dunque, di doppia trascrizione: di Bach dall'originale per violino, di Busoni dalla versione tastieristica di Bach). E qui conviene osservare come le trascrizioni bachiane di Busoni costituiscano uno dei punti più alti di quel processo di assimilazione dell'eredità bachiana che, partito dalla esecuzione della Passione secondo Matteo diretta da Mendelssohn a Berlino nel 1829, attraversò tutto l'Ottocento.

Sebbene fosse tenuta in altissima considerazione e coltivata da una ristretta cerchia di amatori, l'opera di Bach non costituiva oggetto di pubblica esecuzione fra la fine del secolo XVIII e l'inizio del successivo; e questo è perfettamente spiegabile con la considerazione che la musica era sempre composta in previsione di un consumo immediato, e che una composizione, invecchiando, era automaticamente destinata all'oblio. L'esecuzione della Passione secondo Matteo curata da Mendelssohn non segnò dunque solamente il ritorno in auge della figura di Bach, ma anche la scoperta della "Storia", l'affermazione del concetto che la musica del passato poteva tornare a nuova vita ed essere pienamente apprezzata da un pubblico contemporaneo. E ovvio che un simile sconvolgimento nella prassi musicale dovesse portare con sé anche dei compromessi; dunque la musica del passato, e in particolare quella di Bach, venne "attualizzata", con arrangiamenti che tenevano conto degli sviluppi intervenuti nella prassi musicale, primo fra tutti l'affermazione del pianoforte.

Busoni, dunque, come punto d'arrivo di questo complesso processo. Non a caso il maestro di Empoli diede alle stampe due diverse raccolte delle opere di Bach nella sua revisione: la Bach-Busoni Ausgabe (sette volumi comprendenti Il Clavicembalo ben temperato e altri volumi di trascrizioni, rielaborazioni e composizioni improntate a Bach) e la Busoni-Ausgabe, in collaborazione con Bruno Mugellini e Egon Petri (25 volumi di revisioni). E, in questo contesto, occorre ricordare almeno di sfuggita come proprio l'esempio bachiano sia al centro di quella poetica della Junge Klassizität elaborata dall'autore ormai maturo.

Piuttosto conviene osservare secondo quali finalità Busoni riscrivesse le parti solistiche bachiane. Rispondendo nel 1902 al critico Marcel Rémy, Busoni osservava: «Lei parte da false premesse se pensa che sia mia intenzione di modernizzare le opere. Al contrario, ripulendole della polvere della tradizione io tento di restaurare la loro giovinezza, di presentarle come suonavano per il pubblico al momento in cui per la prima volta sprizzarono dalla mente e dalla penna del compositore». In tale prospettiva occorre dunque intendere anche la versione busoniana del Concerto in re minore di Bach, dove tutta la parte solistica viene sottoposta a un irrobustimento e una intensificazione virtuosistica di mirabile resa pianistica. Come osservò nel 1921 Hugo Leichtentritt «la revisione del Concerto in re minore ci offre questo capolavoro in una forma più fresca, nello spirito del pianoforte da concerto, profilando tutto assai più decisamente che non nel clavicembalo originale». Quanto basta per far inorridire i puristi, e per deliziare i cultori del metastorico.

Arrigo Quattrocchi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 febbraio 1995

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Ultimo aggiornamento 10 novembre 2013