Quintetto n. 9 in mi minore per pianoforte e archi, op. 57 n. 3, G 415


Musica: Luigi Boccherini (1743-1805)
  1. Andante lento assai
  2. Minuetto non presto con grazia
  3. Allegro vivo
  4. Andante lento
  5. Provinciale
  6. Allegro vivo
Organico: pianoforte, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1798 - 1799
Edizione: Nouzou, Parigi, 1820 (come opera postuma) Dedica: à la Nation Francaise
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il quintetto, se non inventato certo perfezionato e largamente diffuso da Luigi Boccherini, può presentarsi in svariati complessi strumentali: il più comune è quello che riunisce 2 violini, viola e 2 violoncelli, e Boccherini, di questo tipo, ne compose ben 112; si limitò invece a 12 esemplari del raggruppamento 2 violini, 2 viole e violoncello, e ad altri 12 nella forma quartetto con pianoforte (oltre i quintetti con flauto od oboe).

Sono proprio questi quintetti con il pianoforte forse i meno conosciuti e sui quali, come del resto un po' su tutta l'opera boccheriniana, esiste la catalogazione (op. 57) senza essere però universalmente seguita essendo quella di Picquot (che risale alla metà del secolo XIX), in parte superata dai continui ritrovamenti che si vanno facendo di ignorate o non catalogate pagine del compositore lucchese. Le prerogative di ricchezza d'ispirazione, di grazia melodica, di spontaneo fluire delle parti contrappuntistiche quali si ritrovano nei più noti quartetti d'archi boccheriniani possono senz'altro attribuirsi anche ai quintetti con pianoforte.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Dopo il periodo di mecenatismo prussiano, nel 1799 Boccherini si volse con ulteriore e maggiore interesse alla Francia. In una lettera a Pleyel scrisse: «Al presente mi trovo occupatissimo e non sarò libero che al principio del prossimo luglio...». Ma in che cosa era impegnato il compositore? Proprio alla stesura del nuovo lavoro, i Quintetti con fortepiano op. 57, da dedicare «Alla Nazione e Repubblica Francese». Lo slancio era venuto da un articolo a lui molto favorevole apparso sul n. 36 del giornale culturale parigino La Dècade, philosophique, littéraire et politique, dove si scriveva, a proposito di una fortunata serata con il violinista Giovan Battista Viotti: «Fu là che dei prìncipi, malgrado l'orgoglio del rango... montarono per la prima volta al quinto piano dove si intendeva la musica celeste di Boccherini, eseguita da Viotti, e perché non mancasse al trionfo dell'artista, tutti quanti, dopo il concerto, ridiscero a malicuore». Rincuorato da una simile recensione, Boccherini si mise alacremente all'opera e in una lettera dell'8 luglio 1799 indirizzata a Marie-Joseph Chénier, deputato dall'Assemblea Nazionale e intellettuale della Nuova Francia, così presentò, carico di aspettative, il lavoro: «Vengo da consegnare all'Ambasciatore della Repubblica una opera che io ho scritto, e dedicato alla Nazione Francese in prova della mia riconoscenza, e gratitudine, che professo a questa nazione, che sopra d'ogni altra ha compatito, onorato, ed anche esaltato i miei poveri scritti sino a chiamarli celesti... Mi ha costato quasi 5 mesi di lavoro, e studio, se avrò fatto qualcosa di buono, non lo so: so bene che la musica è fatta per parlare al cuore dell'huomo, e a questo m'ingegno di arrivare se posso... prendete dunque quest'opera sotto la vostra ombra, ella è l'opera 57».

Tante speranze rimasero però deluse, se è vero che l'op. 57 non trovò un solo editore ed ebbe l'onore di pubblicazione solo postuma, nel 1820, e pure con il titolo cambiato per le mutate condizioni politiche: con dedica in favore di S. A. R. Madame la Duchesse de Berry, rappresentante della famiglia reale francese. Dal punto di vista della scrittura l'op. 57 conferma le novità della precedente op. 56; in essa, come ricorda Gerard, si intravede «l'evoluzione dello stile, talora classico (tra Mozart e Haydn), galante (un ammiccamento alla Francia?), preromantico, quasi schubertiano talora, per quell'alternanza di brillantezza e dolcezza, l'uso di modulazioni impreviste, e un'ombra di nostalgia e di malinconìa degna di Chateaubriand e di Madame de Staél». Infine, annotiamo che ancora una volta i destini dei sei Quintetti per piano si incrociano con quelli per chitarra, ma questa volta in modo inverso: nell'opera 57 per piano (G 413-418) del 1799 Boccherini infatti farà confluire i primi tre lavori dell'opera per chitarra del 1798 e, più precisamente, i Quintetti per piano op. 57 n. 2 G 414, op. 57 n. 4 G 416, op. 57 n. 5 G 417 sarebbero stati ispirati rispettivamente dal n. 3 G 447, dal n. 1 G 445, dal n. 2 G 446 per chitarra (ovvero dai Six Quintéti G. 445-450).

Il Quintetto in mi minore n. 3 G. 415 presenta un'architettura davvero particolare. Dopo un Andante lento assai molto esteso e articolato, ricco di spunti e di idee popolari, segue un salottiero, quasi schubertiano Minuetto non presto, con grazia. L'Allegro vivo (Provensal), in terza posizione, funziona come una sorta di rondò, dove un tema ritornello dal piglio vivo viene inframmezzato a deliziosi episodi in cui gli strumenti instaurano un dialogo intenso con scambi di particolare raffinatezza. L'Andante lento è un passo di squisita quiete notturnale: il tempo pare fermarsi, cristallizzarsi nella pura contemplazione della natura. L'equilibrio statico viene però spezzato dall'inaspettato ritorno dell'avvolgente Provensal che, di fatto, torna ciclicamente con il suo Allegro vivo in forma un po' più sintetica chiudendo il Quintetto con il giusto spirito. Scendiamo ora più nei particolari.

Nell'Andante lento assai una prima parte ha funzione di introduzione, laddove un canto pieno e lamentevole si alterna a brillanti e saettanti motti su trillo. Molti sono gli spunti e le idee che si succedono, tutti di seguito, come in citazione: troviamo una frase di stampo popolareggiante e dai toni spensierati, con un gioco di chiaroscuri umorali nello scambio maggiore-minore che richiamano delicati modi schubertiani; un terzo passo accenna a un elegante andamento di marcia; è seguito da scalette ben scandite che richiamano posture vocali operistiche: un ricco repertorio è stato così presentato da Boccherini, che ora procede all'elaborazione del materiale nella parte centrale; qui troviamo l'elaborazione della prima idea lamentevole, dell'idea di marcia - in cui il quartetto d'archi si scambia il tema con il pianoforte - con pedale finale di attesa che sovrappone in sintesi perfetta le due frasi tematiche; dopo il ritornello dell'intera sezione centrale ecco la ripresa del materiale tematico, in alcuni casi ribadito testualmente, in altri con qualche piccola variante.

Quando giunge il Minuetto non presto, con grazia siamo ormai "preparati" con l'orecchio al sound di raffinato cliché della salonmusik, così che sentiamo un delizioso tempo di minuetto dipanarsi sopra una prima frase, ritornellata, dai gusti di piccola orchestrina di ballabili. Il minuetto prosegue su una seconda più ampia sezione composta da piccoli quadri: a una frase spensierata di sviluppo del tema segue una netta e robusta digressione a do maggiore, una frase di collegamento, un'ornata codetta di chiusa e infine l'epilogo, in cui una terza sezione chiude sull'elaborazione del tema principale la danza.

Tutto scorre molto in fretta e in un attimo ci troviamo catapultati dentro il ritmo formidabile e trascinante del Provensal (Allegro vivo) con un ritornello molto denso e incisivo in mi minore, mentre frementi frasette scalari funzionano da sigla della frase del tema principale; al ritornello si alternano deliziosi passi in cui si succedono sfumature in piano a improvvise esplosioni di suoni e di colori su tre episodi, in cui il ritorno periodico del refrain funziona da cerniera di collegamento. Come una nenia dal canto femminile, vellutato e flessuoso, suona dunque il giungere dell'Andante lento, un'oasi di quiete che prelude al ritorno dello stesso Provensal, non prima che uno spezzone di tema del primo movimento si senta, un richiamo esplicito a ciò che si era già citato che conferisce omogeneità al Quintetto, un'ulteriore testimonianza dell'attenzione verso la struttura che Boccherini riservava ai propri lavori. Infine, come sopra detto, ritorna la girandola avvolgente del Provensal, con una ripresa testuale del materiale e solo qualche minimo adattamento.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 marzo 1965
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 212 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 22 luglio 2017