Quintetto n. 1 in mi minore per pianoforte e archi, op. 56 n. 1, G 407


Musica: Luigi Boccherini (1743-1805)
  1. Allegro comodo
  2. Adagio
  3. Minuetto: Con moto
  4. Allegretto
Organico: pianoforte, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1797
Edizione: Pleyel, Parigi, ca. 1800 (come op. 46 n. 1)
Guida all'ascolto (nota 1)

«Noi Federico Guglielmo per la grazia di Dio Principe Reale Ereditario di Prussia, Ereditario presontivo della Corona, avendo riconosciuto gl'eminenti musicali Talenti del Signor Luigi Boccherini, perciò ci a (sic) spinto d'accordare la presente Patente, il Titolo di Compositore della Nostra Camera, ed in conseguenza Noi abbiamo Sottoscritto la presente, e fatoli applicare il sigillo delle nostre armi. Berlino, li venti uno mille settecento ottanta sei»: è con queste parole che Federico Guglielmo II di Prussia, mecenate ed estimatore del musicista, "scrittura" Boccherini nel gennaio 1786 come compositore della sua camera, con un salario annuale di «mille scudi di Germania» (circa diciannovemila reali, si era a Madrid). Boccherini era già da tempo in Spagna, in servizio presso il serenissimo infante Don Luis di Borbone dal 1770. Alla sua morte (1785) il fratello Carlo III provvide, su richiesta dello stesso Boccherini, ad assicurargli uno stipendio sicuro, mentre con l'arrivo di Federico Guglielmo II iniziò un nuovo periodo fortunato e fecondo di lavori.

Il Principe Federico Guglielmo fu incoronato il 17 agosto 1786, succedendo allo zio Federico il Grande. Amava il violoncello, aveva un proprio gruppo di "cameristi" e una propria orchestra privata che, divenuto re, fuse con quella dello zio Federico, sino a raggiungere un complesso di circa 70 elementi. Per la sua fama di appassionato di musica e la sua generosità con gli artisti, molti compositori fecero visita alla corte di Prussia, dedicandogli espressamente alcune composizioni. Tra i tanti Haydn nel 1787 gli dedicò i Quartetti op. 50 (Quartetti Prussiani) e lo stesso compositore ed editore Pleyel a sua volta gli dedicò Dodici Quartetti poi editi nel 1787. Persino Mozart scrisse per Federico Guglielmo: tra il 1789 e il 1790 nacquero tre quartetti, noti come Quartetti Prussiani, mentre il giovane Beethoven gli dedicò le due Sonate per pianoforte e violoncello op. 6. Eppure solo Boccherini ebbe l'onore di essere il compositore ufficiale del re. Presso la Biblioteca reale erano depositati oltre 150 lavori da camera e almeno una cinquantina erano lì pervenuti e conservati tra l'assunzione e la morte del sovrano (1786-1797). Ma altre cariche si aggiungevano a quella reale: il primo marzo 1786 Boccherini venne assunto (con un salario di 1000 reali al mese) da una delle dame più in vista della capitale spagnola, la contessa Benavente, marchesa di Pehafield e duchessa di Osuna, con la nomina di direttore della sua orchestra privata. Boccherini poteva dirigere dal clavicembalo 5 violini, 2 oboi, 1 flauto, 2 trombe, 2 fagotti, due contrabbassi e altri eventuali aggiunti.

I Quintetti con fortepiano op. 56 (G 407-412) - di cui il n. 1 nel nostro cd - risalgono appena a qualche anno dopo (1797): dedicati a Federico Guglielmo II di Prussia, sono l'ultima opera scritta prima della morte del grande mecenate (novembre 1797). Di questi Quintetti è lo stesso Boccherini a parlarci in una lettera all'editore Pleyel del 27 dicembre del 1798, dove illustra e propone le ultime produzioni di cui l'editore non aveva perfezionato l'acquisto: «Ho terminato tre opere: le prime due sono le ultime scritte per il defunto re di Prussia, cioè la grande opera già conosciuta dei quintetti con pianoforte obbligato [op. 56], e l'altra dei piccoli quintetti con oboe e flauto obbligato [op. 55]... La terza opera è già pronta: consìste in 6 quintetti con chitarra obbligata [non posta in catalogo: Slx quintéti pour 2 violons, guitare, alto et basse compose à Madrid pour Mr le Marquis de Bénavent par Boccherini]; in seguito farò un'opera di quartetti». La committenza del marchese Benavente (o Benavent), chitarrista dilettante, non si era però esaurita ai Six Quintéti (G. 445-450): per lui Boccherini aveva infatti ripreso i primi tre Quintetti dell'op. 56, in toto o in parte, facendone trascrizioni con chitarra: il Quintetto in mi minore G 451, derivato dal "nostro" Quintetto n. 1 op. 56 G 407, il G 452 in fa maggiore, perduto, proveniente dall'op. 56 n. 2 G 408, il G 453 in do maggiore "La ritirata dì Madrid", trascritto dall'op. 56 n. 3 G 409. L'esistenza delle due versioni "parallele" dei quintetti, per pianoforte e per chitarra, è testimoniata da un'altra lettera a Pleyel in cui il compositore da un lato fa accenno al marchese di Benavente, dall'altro mostra fermo puntiglio nel chiedergli il rispetto assoluto della versione per piano: «Desidero che l'opera per piano sia pubblicata esattamente come l'ho scrìtta, e spero che dopo averla intesa molte volte, bene eseguita, voi ne rimarrete contento. I miei cari amici e figli (chiamo così tutti i giovani che hanno del talento) Garat e Rode hanno avuto occasione dì ascoltare a casa del marchese Benavent quasi tutta l'opera per piano (trasposta da me per chitarra per uso di questo amatore solamente) e potranno dirvi qualcosa, soprattutto per il movimento da osservarsi nei differenti tempi, la loro espressione, ecc.».

Ma come si presenta il tessuto musicale dei sei Quintetti dell'op. 56? Innanzitutto al loro interno si nota un notevole gradiente di ciclicità con la ricomparsa di movimenti e di parti tematiche di movimenti in movimenti diversi: un aspetto che li configura in modo coerente. Nel Quintetto n. 1 op. 56 in mi minore, ad esempio, troviamo richiami motivici espliciti nelle ultime battute di passaggio dal Trio al Minuetto del terzo movimento, dove sono ripresi elementi caratteristici del primo tempo. Il piano poi, rispetto all'ensemble degli archi, non rappresenta un personaggio per sé stante, ma è inserito dialogicamente nello scambio continuo delle parti, rappresentando, semmai, un punto di riferimento non prevaricante (la dizione era pure di «Quintetti grandi con piano-forte per la parte principale»). Il linguaggio, poi, è del tutto innovativo: i Quintetti dell'op. 56, indirizzati come quelli dell'op. 57 al pubblico francese, presentano uno stile cameristico originale e ricco di novità, con una tendenza all'espressività molto marcata, una tematica contrassegnata da incisi melodici pregnanti e dal ritmo preciso; infine notevole è l'estensione e la complessità dell'architettura.

Tutto ciò è subito già visibile dall'Allegro comodo, in cui i due temi presentati nell'esposizione sono nettamente contrastanti, con un primo gruppo tematico cupo e lamentoso, ricco di ansanti incisi e "patetici" accenti, mentre il secondo letteralmente esplode in un moto gioioso e solare che conduce i cinque strumenti a un coinvolgente e frenetico palpitare. Il terzo tema è gaio e sereno e prosegue in una serie brillante di scalette conclusive di seguito collegate all'epilogo, gravido di attesa e ricco di aspettative, sospeso sopra un pedale prolungato sulla nota sol; tornano ancora le scalette brillanti di coda, ulteriormente riformulate e rese brucianti, pirotecniche dalla tecnica sopraffina dello strumento. Poche battute di collegamento portano a un fantasmagorico sviluppo, ricco di colori e di divagazioni armoniche sorprendenti, basato sopra una grande progressione con inclusa una formula d'accompagnamento del primo tema che mira sostanzialmente ad affermare un grande crescendo dinamico. Ma il passaggio da questa sezione centrale alla ripresa non è lineare, perché un'anticipazione dei lineamenti del primo tema prima ne fa presagire l'imminente ritorno, stemperando e come sfumando i toni. Quando poi essa si presenta, non è per niente regolare: prima è riassunta come in sintesi, con i due temi ravvicinati, poi è proseguita su varianti notevoli e di carattere sviluppativo di spunti, idee, incisi tematici, che talvolta si presentano fusi insieme in osmotica unione: un saggio dell'assoluta originalità, diremmo quasi dell'eccentricità di Boccherini nel trattamento della sostanza musicale.

Quando perciò interviene l'Adagio, troviamo nella sua semplicità e naturalezza un momento di riposo dopo le ampie peregrinazioni e divagazioni precedenti; il tema principale della prima parte si presenta in un tono bonario quasi haydniano e dopo la sua riformulazione sopra eleganti arpeggi del piano, si apre la parte centrale; qui rinveniamo una nuova idea dal tono interlocutorio, seppur calma e tranquilla. L'Adagio si conclude alla fine con una doppia ripresa: quella variata del tema principale e quella dell'episodio centrale, confermando nel suo prosieguo il tono un po' pastorale e bucolico di fondo.

Terra di contrasti è il Minuetto con Trio, a partire dall'incedere marziale e guardingo del tema principale in modo minore, caratterizzato da toni mossi e inquieti che ci ricordano scenari schubertiani, presto sopravanzato nella seconda parte di modo maggiore da un'idea svagata e brillante. Nel Trio centrale, dall'andamento diverso, disteso e scorrevole, troviamo un bell'esempio di cantabilità tipicamente italiana, prima del ritorno del tema di Minuetto.

L'ultimo tempo è un Allegretto dalla forma del tutto sui generis, dato che adotta uno schema che sta a metà strada tra il rondò ciclico e una forma di danza tripartita, con un Trio centrale. Il tema refrain, dal sapore di filastrocca popolare, si presenta doppio, con due frasi che si compendiano a vicenda; a un primo delizioso episodio segue il ritorno della prima frase del ritornello e subito un secondo episodio robusto e determinato, che scorre su velocissime scalette. Ora nel movimento si inserisce però una consistente parte centrale che inizia in modo minore e funziona da Trio interno; è composta da un terzo episodio ornato da profondi arpeggi ed elocuzioni appassionate, da un quarto episodio in do maggiore, caratterizzato da flessuose imitazioni, cui seguono una frase di raccordo con un quinto, spensierato episodio che mette in rilievo la figura del pianoforte su rotonde figure arpeggiate. Ecco infine una ripresa variata del terzo episodio in modo minore; il segno di "Da Capo" conferma la struttura tripartita con il ritorno della prima grande sezione.

Marino Mora


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 212 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 21 luglio 2017