Quintetto per archi n. 74 in fa maggiore, op. 39 n. 2, G 338


Musica: Luigi Boccherini (1743-1805)
  1. Allegro vivo ma non presto (fa maggiore)
  2. Adagio ma non tanto (fa minore)
  3. Minuetto (fa maggiore) - Trio (fa minore)
  4. Finale: Allegro vivo ma non presto (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello, contrabbasso
Composizione: 1787
Edizione: Pleyel, Parigi, 1813 (come op. 47 n. 4)
Guida all'ascolto (nota 1)

È curiosa la sorte di Luigi Boccherini. Ammiratissimo in vita, artefice di una produzione musicale imponente che ebbe diffusione capillare - tramite i manoscritti e le edizioni a stampa - in tutta Europa, compositore "ufficiale" e fiduciario di due tra le più importanti case regnanti europee, cadde subito dopo la morte in un oblio che è durato in pratica fino ai giorni nostri. A metà Ottocento, in un'epoca in cui la sua musica era ormai del tutto sconosciuta, Boccherini fu poi mitizzato grazie a un brano, uno solo (il celeberrimo Minuetto), che divenne un'icona: l'emblema della grazia settecentesca, dei cicisbei e delle dame incipriate, il simbolo di una società e di una cultura ormai definitivamente tramontate. Tutto ciò finì per proiettare una luce fuorviante sul suo autore.

Solo in tempi recenti gli studi hanno iniziato a far luce sulla sua figura artistica, riscoprendo l'amplissimo corpus delle sue composizioni, ridefinendo il rapporto con i suoi contemporanei e soprattutto con quello che possiamo, per comodità, continuare a chiamare lo stile del classicismo viennese. Scoprendo particolarità che se, da una parte, spiegano le ragioni dell'obsolescenza storica della musica del lucchese, dall'altra mostrano vie alternative a quello stile che l'Ottocento, morto Beethoven, canonizzò ed elesse a paradigma assoluto. Lo stile di Boccherini, la sua tecnica compositiva non vanno interpretati, è ovvio, come presunte manchevolezze in rapporto allo stile classico, ma vanno compresi come una delle numerose vie, non necessariamente convergenti, percorse dalla musica strumentale europea nella seconda metà del Settecento. Questa prospettiva, tra l'altro, ha fatto emergere la necessità di una revisione del concetto stesso di "classicismo viennese".

Iniziamo a osservare che il corpo centrale della produzione musicale di Boccherini è la musica da camera, coltivata con assiduità e costanza tra il 1760 e il 1804 (l'anno della morte): non solo per la mole imponente delle composizioni lasciateci, ma anche perché è questo il terreno elettivo per la sperimentazione, e il campo che riserva gli esiti migliori. Soprattutto, Boccherini è storicamente tra i primi compositori che dimostrano uno spirito autenticamente cameristico, abbandonando una scrittura puramente ornamentale, esteriore e vuota, in favore di un atteggiamento dialogante, di un rapporto paritetico tra gli strumentisti che vengono chiamati a scambiarsi continuamente di ruolo.

Nella sua produzione cameristica spiccano i Quintetti, sia per il numero sia per la qualità inventiva. Gli organici sono piuttosto vari, ma il primato spetta senza dubbio ai Quintetti con due violoncelli, genere di cui Boccherini è considerato l'inventore, al punto che il suo stile venne identificato dai posteri con questa particolare formazione. Il musicista lucchese, nominato nel 1770 violoncellista e compositore da camera nell'orchestra dell'infante di Spagna Don Luis (fratello del re Carlo III), aveva creato il genere del quintetto d'archi con due violoncelli per il piacere di suonare assieme all'eccellente quartetto - formato da Francisco Font e dai tre figli Antonio, Pablo e Juan - che si esibiva regolarmente a corte. Ma l'organico doveva rispondere bene anche alle esigenze dell'altro grande committente di Boccherini, il re di Prussia Federico Guglielmo II, che si dilettava suonando il violoncello.

Tra il gennaio e il marzo del 1787 Boccherini compose tre quintetti, dedicati alla duchessa di Osuna, nei quali lo strumento aggiunto al canonico quartetto d'archi è il contrabbasso. I tre quintetti rappresentano un caso unico nella sua produzione. La ragione che spiega questa scelta particolare sta probabilmente nella presenza, tra i musicisti al servizio della duchessa, di un valente contrabbassista; ma è anche possibile che Boccherini pensasse a ragioni pratiche, legate allo smercio della sua musica presso gli editori francesi. La formazione del quintetto con due violoncelli, infatti, non era facilmente esportabile, tanto che Boccherini autorizzò in più occasioni i suoi editori a modificare l'organico se l'avessero ritenuto opportuno per ragioni commerciali.

Un'impostazione formale più familiare mostra il Quintetto G. 338, articolato in quattro movimenti, il primo e l'ultimo in forma sonata, il terzo in forma di minuetto con tanto di trio. Se l'aspetto generale richiama la "classica" suddivisione dei viennesi, il modo in cui Boccherini conduce il discorso è lontanissimo da quello stile. Si ascolti il primo movimento (Allegro vivo ma non presto): della forma sonata è rispettato il piano tonale, con lo spostamento alla dominante e la riconduzione finale alla tonica, ma le sezioni sono brevi e sostanzialmente prive di contrasti, le idee tematiche si allineano l'una dopo l'altra senza dare origine a vere transizioni o a elaborazioni tematiche. Una vera elaborazione non ha luogo neppure nello sviluppo, che procede per paratassi, per accostamento di idee espressive e melodicamente compiute. Lo stesso avviene nel movimento finale (Allegro vivo ma non presto) dove persino il tema principale è ottenuto accostando due diverse idee, lo sviluppo è brevissimo e l'episodio elaborativo che interrompe la ripresa non serve tanto a sviscerare il materiale tematico, quanto a produrre l'effetto di una svolta umorale che drammatizza momentaneamente il discorso. Con i processi elaborativi, d'altra parte, è poco compatibile la tecnica costruttiva boccheriniana, che procede quasi sempre per blocchi simmetrici, adottando la struttura tipica della musica per danza.

Per sgombrare il campo dagli equivoci occorre precisare che Boccherini è sostanzialmente estraneo alla concezione organicistica, ben fissata nell'immagine storicamente sedimentata del classicismo musicale: un'idea che fa della composizione un'unità compatta, caratterizzata dalla coerenza tematica e da un saldo piano tonale, e che assume queste proprietà come parametro della valutazione estetica. Boccherini privilegia invece la varietà delle idee e dei percorsi tonali (per questo l'armonia, nella sua musica, non è necessariamente l'elemento centrale); preferisce la cantabilità continua al principio dell'opposizione tematica, per cui nelle sue composizioni emergono di frequente temi dotati di eloquenza espressiva, che vengono accostati l'uno dopo l'altro anche nelle parti che dovrebbero essere di transizione o di sviluppo. Boccherini adotta, in altri termini, un'organizzazione "discorsiva", più che drammatico-tensiva, dell'impianto formale; i procedimenti elaborativi gli sono sostanzialmente estranei, e i suoi temi non vengono contrapposti reciprocamente, ma nascono da un spirito affine, sfociano l'uno dall'altro in un flusso melodico vario e continuo che stempera la tensione dialettica. La sua è l'arte di combinare efficacemente e coerentemente elementi disparati. Da qui discendono l'equivoco ottocentesco, ben radicato, che considera la musica di Boccherini qualcosa di gradevole ma un po' superficiale, e l'immagine oleografica di un autore che sembra la perfetta incarnazione della grazia rococò.

La caratteristica che gli riconobbero, invece, tutti i contemporanei, è un'inclinazione personale al patetico, evidente per esempio nel frequentissimo ricorso al modo minore. In questo registro Boccherini sa creare temi pregnanti, dalla comunicativa e dall'espressività straordinarie. Si ascoltino - un esempio per tutti - le idee del violino e del violoncello nel movimento lento del Quintetto G. 338.

Claudio Toscani


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 236 della rivista Amadeus

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Ultimo aggiornamento 27 gennaio 2017