Quartetto per archi n. 9 in mi bemolle maggiore, op. 8 n. 3, G 167


Musica: Luigi Boccherini (1743-1805)
  1. Largo (mi bemolle maggiore)
  2. Allegro (mi bemolle maggiore)
  3. Tempo di Minuetto (mi bemolle maggiore) - Trio (do minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1769
Edizione: Vénier, Parigi, 1769 (come op. VI n. 3)
Guida all'ascolto (nota 1)

La conoscenza di Boccherni, malgrado la fioritura di studi recenti, è tutt'altro che approfondita. Gli ha nuociuto da un lato il pregiudizio che circondava, e in parte ancora circonda, la musica strumentale italiana, dall'altro la vastità della produzione che annovera circa 150 quintetti e oltre cento quartetti per archi. Difficile orientarsi in tanta mole e difficile delineare una linea evolutiva. Più comodo etichettare Boccherini come autore di un celebre minuetto (estratto in vero da uno dei quintetti), delizia di settecentesca arguzia e pronto a svariati usi, fino a quello di sottendere (peraltro egregiamente) alle imprese di Sir Alec Guinness capo di una banda di sfortunati ladri nel delizioso film «The Ladykillers» («La signora Omicidi»). Boccherini fu tuttavia più che l'autore di una pagina fortunata. Enfant prodige allevato in una famiglia di musicisti lucchesi che dette anche due eccellenti ballerine (una di esse, Ester, fu madre dell'eccelso coreografo Salvatore Viganò), Boccherini fu destinato alla vita dell'esecutore e del compositore di corte in epoca in cui questa si era fatta quanto mai precaria. Così, malgrado il successo e l'ammirazione riscossi dalle sue opere, finì tra gli stenti nel 1805. Negli ultimi anni sopravviveva con una misera pensione del Re di Spagna e con qualche provento che l'editore Pleyel gli inviava da Parigi, la città in cui le sue opere avevano suscitato il massimo dei consensi. Vittima del mutare dei tempi, Boccherini non di rado conserva una concezione dell'arte dei suoni come brillante intrattenimento. In molti minuetti (e non solo nel celeberrimo), nelle danze, nelle musiche notturne si respira quella gioia di far musica che di lì a pochi anni doveva essere irrimediabilmente perduta, travolta insieme col gaudente ancien regime che l'aveva tenuta in vita. Tra i presupposti di tale musica vi era quel virtuosismo strumentale (Boccherini fu grande violoncellista) che darà linfa all'arte di Paganini, formatosi nella stessa area geografica e culturale. Ma Boccherini non è tutto e solo in questo versante. Altrove egli sperimenta con successo un linguaggio affatto nuovo e addirittura in netto anticipo su certi sviluppi poi attuati da Haydn e Mozart. E' il caso del Quartetto in mi bemolle maggiore (n. 167 del catalogo redatto da Yves Gérard che mette ordine nel mare magnum delle opere del lucchese). Esso fa parte di un gruppo di sei pubblicato a Parigi da Vénier nel 1769 con dedica a «S.A.R. Don Luigi Infante di Spagna» e col numero d'opus 6. Nell'elenco redatto da Boccherini delle proprie opere il gruppo ha invece il numero d'opus 8. «Opera grande» appose l'autore in margine, intendendo certo alludere alle dimensioni insolite per l'epoca. Ma veramente alla maniera grande è concepito il Largo che funge da primo movimento e nel quale la melodia sembra germinare da profondità abissali, secondo una concezione che sarà fatta propria dall'ultimo Mozart e poi da Beethoven. A questa magnifica pagina segue, secondo uno schema non usuale, ma ben giustificato nell'architettura generale del lavoro, un brillante Allegro. Il Minuetto è posto a conclusione del pezzo (una revisione di uso corrente inverte l'ordine dei due ultimi tempi: il suo scopo è evidentemente quello di «adeguare» il più possibile Boccherini ad una concezione codificata del quartetto). Anche qui ogni eco di galanteria è dimenticato. Il tema, sagacemente distribuito nei vari registri, ha anzi, con le sue insistenti note ribattute, un tono serioso del tutto insolito, quasi drammatico, col quale è in perfetta sintonia il pungente Trio. Quanto lontano questo dall'altro, troppo famoso Minuetto, e quanto ingiusta l'immagine di Boccherini che su quella base è stata divulgata!

Bruno Cagli


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 marzo 1985

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Ultimo aggiornamento 21 aprile 2014