Léonor ou Les francs-juges, op. 3

Ouverture in la bemolle maggiore per orchestra
Musica: Hector Berlioz (1803-1869)
Organico: 2 flauti (2 anche ottavino), 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, tromba a pistoni, 3 tromboni, 2 oficleidi, timpani, grancassa, piatti, archi
Composizione: 1826
Prima esecuzione: Parigi, Salle du Conservatoire, 26 Maggio 1828
Edizione: 1833 (parti staccate); 1836 (partitura)
Guida all'ascolto (nota 1)

Il ciclo delle sette ouvertures (Waverley op. 1, Francs-juges op. 3, Roi Lear op. 4, Corsaire op. 21, Benvenuto Cellini op. 23, Carnaval romain op. 9, Béatrix et Bénédict) scandisce le varie tappe dell'evoluzione stilistica di Berlioz dalla esuberante e ardente gioventù alla maturità, dall'inesperienza ma anche dall'ambiziosa ricchezza di temperamento dei suoi vent'anni alla lucida consapevolezza della propria genialità d'oltre trent'annì dopo.

In un inciso dei Mémoires lo stesso Berlioz da conto della genesi di questa composizione, allorché precisa: «Mio padre m'annunciò che assolutamente, se non mi fossi deciso ad abbandonare la mia chimera musicale, egli non intendeva più aiutarmi e che avrei dovuto bastare a me. Non ebbi esitazioni. Rimasi. Cherubini, sapendo che non avevo seguito la strada ordinaria del Conservatorio per entrare nella classe di composizione di Lesueur, mi fece ammettere in quella di contrappunto e fuga di Reicha. Seguii così, simultaneamente, i corsi di questi due maestri. Inoltre mi ero legato con un giovane di cuore e di spirito, Humbert Ferrand: egli aveva scritto per me il poema di una grande opera, i Francs-Juges, e io ne stavo componendo la musica con una foga senza pari. Questo poema venne in seguito rifiutato dal comitato dell'Accademia Reale di musica, e la mia partitura subì lo stesso destino e fu condannata all'oscurità, da cui non è più uscita. Soltanto l'ouverture ha potuto farsi luce».

Era il 1825 e Berlioz aveva ventìdue anni. Anche se non era stato ancora conquistato dal dèmone beethoveniano dell'opera sinfonica, avvertiva l'influsso di Weber, di cui, nel dicembre 1824, aveva seguito tutte le rappresentazioni del Freischütz (che a Parigi aveva assunto il nome di Robin-des-Bois), condividendone di slancio i travolgenti palpiti romantici. L'argomento del poema di Ferrand narrava la vicenda del principe Lénor, perseguitato dal capo dei Francs-Juges, un tiranno sadico e crudele; quando sta per soccombere al destino avverso, sopraggiunge a salvarlo l'amore fedele della tenera e coraggiosa Amelia. Qualcosa di simile alla trama del Fidelio con l'innocenza vincitrice di tutte le traversie e con la gioia conclusiva per la ritrovata libertà. E questi sentimenti si ritrovano nell'ouverture berlioziana, che è un inno all'ideale e trova, a questo riguardo, l'accento giusto nel canto del secondo tema dell'Allegro che deriva dalla musica d'un quintetto scritto nella prima gioventù, ed in tale occasione ricuperato.

Assieme alla ricerca di timbri inediti, vi è già nell'ouverture del Lénor ou Les francs-juges uno dei primi saggi della geniale strategia di Berlioz nell'organizzare una sintesi strutturale ed assieme tematica, in rapporto alle situazioni drammaturgiche ed anche ai singoli personaggi, a partire dall'introduzione lenta che si collega, dopo tre sezioni distìnte, al successivo Allegro. L'avvio dell'iniziale Adagio è in fa minore con un'idea affidata ai violini in senso discendente e poi ascendente con leggere varianti ritmiche ed il progressivo coinvolgimento di tutti gli strumenti a fiato fino ad un fortissimo dell'intera orchestra. Da qui, sul pedale della dominante, con la riproposta del tema principale che si lega al clima malinconico dell'esilio del principe Lénor, la musica trascorre all'Allegro, più breve ed incisivo nella sua struttura, concepita in forma sonata, con due temi fondamentali nell'esposizione, il primo in fa minore e l'altro in la bemolle maggiore, entrambi allacciati da un ponte modulante e da una coda, sino al sol maggiore conclusivo. Tripartito è poi lo sviluppo ed un analogo procedimento caratterizza la ripresa, coronata da una coda d'ampie proporzioni. Come ebbe a notare Henri Barraud, «quest'opera di debutto, in cui la personalità di Berlioz non è ancora costantemente affermata, ha al suo attivo il fatto di essere, da un capo all'altro, straordinariamente interessante. Il che importa più che notare tale o tal altro passo falso nella qualità del pensiero: passi falsi a precisa immagine di quella vita di cui l'ouverture appare tutta fremente» (1977).

Luigi Bellinguardi


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 5 febbraio 1994

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Ultimo aggiornamento 29 agosto 2012