Benvenuto Cellini, op. 23
opera semiseria
Musica: Hector Berlioz (1803-1869)
Libretto: Léon de Wailly, Auguste Barbier, Alfred de Vigny
Opera completa in 3 atti (versione di Weimar)
Personaggi:
- Giacomo Balducci,
tesoriere del papa (basso)
- Teresa, sua figlia (soprano)
- Benvenuto Cellini, maestro orefice fiorentino
(tenore)
- Francesco, assistente di Cellini (tenore)
- Bernardino, assistente di Cellini (basso)
- Fieramosca, scultore del papa (baritono)
- Ascanio, apprendista di Cellini (mezzosoprano)
- il cardinale (basso), versione di Weimar - il papa (basso),
versione Parigi
- un oste (tenore)
- Pompeo, spadaccino, amico di Fieramosca
(baritono)
- papa Clemente VII (basso)
- Colombina (recitante)
- seguito del papa, fonditori, orefici,
viaggiatori e
amici di Cellini,
attori, buffoni, servitrici e vicine di Balducci, guardie, popolo di
Roma, bambini, frati
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 clarinetti,
4 fagotti, 4 corni, 4 trombe, 2 Cornette, 3 tromboni, oficleide, timpani,
piatti, triangolo, grancassa, 2 tamburelli, tamburo, 2 chitarre, arpa, archi
Composizione: 1834 - 1838
Prima rappresentazione a Parigi: Opéra Le Peletier, 10 Settembre 1838
Prima rappresentazione a Weimar: Hoftheater, 20 Marzo 1852 (considerata definitiva)
Edizione: 1856 (spartito); 1886 (partitura)
Dedica: à son Impériale et Royale Maria Pawlowna
Grande Duchesse de Saxe-Weimar
L'opera composta in due atti nel 1834-1838 è stata profondamente
rimaneggiata e trasformata in tre atti tra il 1852 ed il 1856
per le esecuzioni di Weimar e di Londra (1853, in italiano)
«In agosto avremo un'opera del signor
Berlioz. Sarà trattato bene dalla stampa perché i
lupi non si mangiano tra loro, e voi sapete che egli tiene lo scettro
della critica ai 'Débats' [il
'Journal des Débats', di cui Berlioz era
critico musicale dal 1834]. Da quelle colonne lancia anatemi contro
Auber e contro di me, le sue due bestie nere. Auber tuttavia
è in ottimi rapporti con lui in questo momento: era il suo
turno di passare all'Opéra, dopo
Halévy, e l'ha ceduto a Berlioz. È un
colpo da maestro poiché farà risaltare ancor
meglio la sua opera dopo l'inevitabile caduta della
precedente». Queste parole alquanto velenose di Adolphe Adam,
fecondo autore di opéras-comiques,
la cui fama sarebbe
tuttavia rimasta legata a un balletto come Giselle ,
definiscono assai
bene i contorni dell'ambiente non certo idilliaco entro il
quale nacque la prima opera del trentunenne Berlioz, infatuato dalla
lettura della Vita del fiorentino «scritta da lui
medesimo». Destinata all'insuccesso, fu accolta con
un fiasco totale, come l'autore stesso registrò:
«Si tributò all'ouverture un successo
esagerato e si fischiò tutto il resto con un accordo e
un'energia ammirevoli». Berlioz era consapevole che
il suo cammino teatrale sarebbe stato irto di ostacoli: «Non
osano venirmi a fischiare in una sala da concerto ma non mancano mai di
farlo in un teatro vasto come l'Opéra. Questo
succederà sempre». Sebbene trovasse in seguito un
ammiratore incondizionato in Liszt, che lo rappresentò a
Weimar nel 1852 (e fu in quell'occasione che Berlioz
modificò l'opera ampliandola da due a tre atti),
Benvenuto Cellini non divenne mai popolare, trovando solo in questi
ultimi anni un suo posto nel repertorio, come si addice a un lavoro
sperimentale che è allo stesso tempo documento di
un'epoca e incunabolo della modernità.
Sinossi
Atti:
L'azione si
svolge a Roma durante il carnevale
- La casa di messer Giacomo Balducci
- Piazza Colonna, la sera del martedì
grasso
- Lo studio di Cellini, il mercoledì
delle
ceneri, di
prima mattina
Atto primo.
La casa di messer Giacomo Balducci. È il crepuscolo del
lunedì prima della quaresima. Il tesoriere del papa,
Balducci, si lamenta con sua figlia Teresa perché Cellini ha
ricevuto dal santo padre l'incarico di creare una statua in
bronzo raffigurante Perseo che stringe la testa mozzata della Medusa.
Egli avrebbe preferito che l'incarico fosse toccato a
Fieramosca, scultore famoso, cui vorrebbe dare in sposa la figlia. Ma
Teresa è segretamente innamorata di Cellini: preoccupata, si
chiede se i diritti dell'amore debbono essere più
forti dei doveri verso i genitori (cavatina "Entre l'amour et
le devoir"). Entra Cellini. Durante il loro duetto ("O Teresa, vous que
j'aime plus que ma vie"), entra non visto Fieramosca e sente
le parole che Cellini rivolge a Teresa: le propone di fuggire a Firenze
durante i festeggiamenti del carnevale. Perché ella lo possa
riconoscere, Cellini si maschererà da frate con un saio
bianco. Si sente Balducci tornare. Mentre Cellini riesce a fuggire,
Fieramosca si nasconde nella stanza da letto di Teresa, dove viene
scoperto: con sorpresa e indignazione, Balducci e Teresa chiamano a
raccolta i vicini perché vengano a prelevare
l'intruso e gli facciano fare un bel bagno nella fontana.
Atto secondo.
Piazza Colonna, la sera del martedì grasso. Cellini, prima
di essere raggiunto dai suoi amici artisti di Firenze nella piazza,
medita sull'amore e sulla gloria (romanza "La gloire
était ma seule idole"). Poi tutti insieme improvvisano una
canzone, che tesse le lodi di tutti gli artisti orafi della Toscana.
Entra Ascanio, per informare Cellini che il papa, pagando
l'artista, pretende che la statua sia pronta per
l'indomani. Intanto Fieramosca ha ordito un piano per
sventare la fuga del rivale: indosserà il saio bianco come
Cellini, in questo modo Teresa rimarrà completamente
frastornata ("Ah, qui purrait me résister?"). Ha inizio il
carnevale. Mentre gli attori invitano il pubblico ad assistere alla
loro commedia (una pantomima architettata da Cellini, nella quale
è facilmente riconoscibile la caricatura di Balducci),
approfittando del frastuono generale Teresa cerca Cellini, ma si trova
di fronte due frati bianchi che dicono entrambi di essere Cellini. Ne
nasce un tafferuglio, nel corso del quale Cellini uccide
involontariamente un amico di Fieramosca, credendolo il rivale. La
folla lo circonda, ma proprio mentre le guardie stanno per portarlo via
si ode un colpo di cannone da Castel Sant'Angelo.
È mezzanotte: il carnevale è finito, inizia la
quaresima, tutto il tripudio deve immediatamente cessare. Approfittando
dell'improvviso sconcerto generale, Cellini fugge e al suo
posto viene arrestato Fieramosca.
Atto terzo.
Lo studio di Cellini, il mercoledì delle ceneri, di prima
mattina. Ascanio ha trascinato Teresa fuori del tumulto della notte
precedente e l'ha portata nello studio di Cellini. Mentre lo
aspettano, sentono passare in strada la processione del
mercoledì delle ceneri e si uniscono alla preghiera. Entra
trafelato Cellini, che racconta come il travestimento gli abbia salvato
la vita: ora potrà finalmente fuggire con Teresa a Firenze,
e poco gli importa dell'impegno preso con il papa e che
Ascanio gli ricorda. I due innamorati cantano esaltati la loro
felicità ("Quand des sommets de la montagne"). Entrano
Balducci e Fieramosca, accompagnati dal papa; ognuno espone le sue
ragioni, ma su tutto preme una decisione: il papa vuole assolutamente
la sua statua. Di fronte al gesto di Cellini, che afferra il martello e
minaccia di sbriciolare lo stampo già pronto, tutti sono
presi dal terrore. Si cerca una soluzione. Il papa è
disposto a concedere il suo perdono e la mano di Teresa a Cellini a
condizione che la statua sia subito terminata: altrimenti Cellini
verrà impiccato. La fonderia di Cellini al Colosseo, la sera
dello stesso giorno. Mentre gli artigiani preparano la fusione della
statua, Cellini medita sulla sua sorte di artista e invidia una vita
spensierata, leggera, come quella del pastore sulle montagne ("Sur les
mont le plus sauvages"). Giunge il papa per essere presente alla
fusione. Gli operai urlano e chiedono ancora metallo: quello di cui
dispongono non è sufficiente a riempire lo stampo.
Disperato, Cellini afferra tutti gli oggetti da lui creati fino a quel
momento e li sacrifica al suo capolavoro, gettandoli nella fornace. Una
terriblie esplosione annuncia l'avvenuta fusione e la statua
si svela in tutto il suo splendore. Cellini ha vinto; ma nel suo
trionfo
c'è anche un'ombra di tristezza.
Commento
Benvenuto
Cellini non è soltanto il primo tentativo in
campo teatrale di un giovane musicista di grande talento ma
è anche una sorta di ritratto dell'artista da
giovane, se non della giovinezza in quanto tale. Ed è chiaro
che l'artista in questione è Berlioz stesso, che
si identifica con Cellini mutuandone non solo lo spirito (beffardo e
intraprendente, isolato e pure bisognoso di riconoscimenti) ma anche
gli ideali (artista vittorioso in un mondo di furbi e di imbelli). La
sfida di Cellini, portata a termine nelle condizioni più
inverosimili, è la sfida di Berlioz: riuscire a compiere il
capolavoro anche a costo di sacrificare quanto fino a quel momento era
riuscito a creare. E per l'autore, a tacer d'altro,
della Sinfonia
fantastica, non era ambizione da poco.
L'opera vive di questa frenesia fin dalla
straordinaria ouverture, che costituisce l'anello di
congiunzione tra il territorio sinfonico, già ampiamente
esplorato e seminato, e quello teatrale, ancor tutto da scoprire. Ed
è proprio nella scoperta di questo mondo che
l'opera si avventura, in modo irriflesso e scatenato, quasi a
voler conquistare il campo sbaragliando tutti i nemici, veri o
presunti, senza troppo preoccuparsi di riuscire anche controllata e
decadente. Ma di fronte a pagine come quelle che compongono la scena
più famosa dell'opera, il carnevale che conclude
il secondo atto, si ha la netta sensazione che con le sue
fantasmagoriche bizzarrie Berlioz fosse consapevole non soltanto della
sua sbalorditiva bravura di strumentatore ma anche della sua
capacità di aprire strade nuove, di fatto saltando a
pié pari tutto l'Ottocento: giacché qui
il primo esempio di 'teatro nel teatro' di cui si
abbia memoria si accoppia a soluzioni timbriche assolutamente
novecentesche, in tutto degne di uno Stravinskij.
Certo, la partitura convince più nelle scene di
massa, massimamente in quella finale della fusione, dove la musica
letteralmente esplode mandando in frantumi ogni convenzione, che negli
episodi lirici e solistici, peraltro intrisi di nobile effusione
patetica; ed elettrizza nei momenti caricaturali e in quelli
d'azione tanto quanto sembra mordere il freno quando si
espongono ideali artistici contrapposti o si indugia in oasi di
contemplazione, in episodi collaterali di gusto un poco accademico. Ma
anche questo carattere è coerente con le intenzioni di
Berlioz, volte per così dire a occupare militarmente il
campo cimentandosi in tutti gli aspetti dell'opera, anche in
quelli più legati alla tradizione. Per questo motivo non ha
molto senso, in un lavoro sicuramente eterogeneo e discontinuo,
separare le pagine più profetiche e innovatrici da quelle di
ordinaria amministrazione: giacché le une sono in funzione
delle altre, al fine di far risaltare per contrasto il nuovo dal
vecchio. L'ironia che Berlioz riversa sull'avaro
tesoriere del papa e sul concorrente Fieramosca si esprime
necessariamente in forme accademiche o antiquate; tanto quanto
l'esaltazione del protagonista e dei suoi giovani seguaci non
conosce limiti nell'affermare le ragioni di una
libertà incondizionata. Solo alla fine, quasi in un
ripiegamento interiore prima dell'ultima sfida, dopo tanti
eccessi ed ebbrezze, Berlioz sembra stendere sul suo eroe un velo di
tristezza e interrogarsi egli stesso sul senso, se non
dell'arte e della sua missione, almeno della vita. Ed
è come se d'improvviso si spegnesse anche la
spensieratezza della gioventù e con essa si facesse strada
la coscienza dell'inarrestabile scorrere del tempo.
(1)
"Dizionario dell'Opera 2008", a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi
Dalai editore, Firenze
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Ultimo aggiornamento 29 agosto 2012