Béatrice et Bénédict (Beatrice e Benedetto) - Ouverture


Musica: Hector Berlioz (1803-1869)
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, cornetta, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: 1860 - 1862
Prima rappresentazione: Baden-Baden, Hoftheater, 9 agosto 1862
Guida all'ascolto (nota 1)

Quando chiude l'ultima pagina del suo catalogo con l'opera Béatrice et Benedict (Baden Baden, agosto 1862), Hector Berlioz è un uomo piagato e un musicista sconfitto. La seconda moglie è morta da poco. La considerazione in cui pubblico, colleghi e critici tengono la sua musica, è umiliante. Berlioz si era presentato giovanissimo al mondo musicale francese con la Symphonie fantastique, pezzo che il suo tempo non poteva nemmeno immaginare. E infatti non lo capì. Era il dicembre del 1830. Beethoven era scomparso da solo tre anni. Berlioz ne aveva ventisette. Poi, per altri venticinque - dirà - «Parigi non ha fatto nulla per me».

Nel capitolo delle Memorie in cui parla di Béatrice et Benedict, ha per sé parole disperate: «Sono al mio sessantunesimo anno di età; non ho più né speranze, né illusioni, né vasti pensieri; mio figlio è quasi sempre lontano da me; sono solo; il mio disprezzo per rimbecillita e la disonestà degli uomini, il mio odio per la loro atroce ferocia sono al colmo; e ogni istante dico alla morte "Quando vorrai tu!". Che aspetta dunque?».

Eppure Béatrice et Benedict non fu un insuccesso, come tanti sofferti. Al contrario: inaugurò il nuovo teatro di Baden Baden coperta da consensi, e in quasi tutto - soggetto, linguaggio, stile, cifra espressiva - ritrae le sfortune e i "difetti" di Berlioz per moto contrario.

Béatrice et Benedict non è un affresco storico-mitologico come il capolavoro Les Troyens, che Berlioz non vide mai rappresentato per intero (solo la seconda parte, Les Troyens à Carthage, riuscì faticosamente a farsi eseguire al Théâtre Lyrique nel 1863, un anno dopo Béatrice). Non è sospesa tra cielo e inferno come la Damnation de Faust, da Goethe, seconda folgorazione letteraria, dopo Shakespeare, di un vero letterato che amava i latini e adorava Virgilio. (Le Otto scene di Faust per soli, coro e orchestra sono la sua op. 1, scritta nel 1829, ma Berlioz riuscì a dirigersi la prima esecuzione integrale della Damnation solo nel dicembre del 1846, all'Opéra-Comique). Non ha la temperatura drammatica di un altro dei suoi omaggi all'Italia, Benvenuto Cellini, replicato tre volte nel 1838 a teatro vuoto e consegnato alla storia come paradigma del fiasco.

Béatrice et Benedict è la rarità, per Berlioz, di un'opera comica che viene da Shakespeare, quello leggero di Molto rumore per nulla, ridotto di propria mano, e molto, anche se in diverse parti trascritto fedelmente. E anche qui non manca l'Italia: siamo a Messina.

L'opera va in scena a Baden Baden grazie a uno dei pochi uomini sempre generosi con Berlioz - insieme ma decisamente dopo Liszt -, Edouard Bénazet, ricco gestore del Casino ma anche sostenitore di artisti, coraggioso organizzatore di avvenimenti musicali, della categoria che oggi diremmo non al servizio del repertorio "che va". Uno dei pochi di cui Berlioz potesse dire: "La sua munificenza.... ha superato qualunque cosa sia stata fatta per me anche da quei sovrani europei verso i quali ho molte ragioni per essere grato".

Nel commissionare l'opera, Bénazet aveva in mente il tema della Guerra dei Trent'anni, che a Berlioz non piaceva affatto e con pazienza deviò verso Shakespeare senza ricevere resistenze. Béatrice et Benedict nasce come un "capriccio" teatrale nel quale Berlioz ritaglia da Much Ado about Nothing quel che ritiene necessario per raccontare una storia d'amore sospesa nel magico. Non ci sono Don John e l'intrigo "dark", né Dogberry (Carruba), e l'aiutante di campo Claudio, baritono, rimane nell'ombra. L'opera converge verso quel che Béatrice e Benedict canteranno nel delizioso duetto finale: "L'amore è una fiamma, un fuoco fatuo che viene da non si sa dove, che brilla e sparisce per confondere la nostra anima, che attira a sé lo sciocco e lo rende folle". Tutto è illuminato, a ritroso, da quei versi e da quel passo.

L'Ouverture inizia in leggerezza, tra volatine di archi e dolcezze di fiati; un breve strappo, sostenuto dai timpani, è messo in un angolo per lasciare spazio al canto, di legni e archi, in lunghe distensioni. La scrittura di Berlioz è un cesello di temi scattanti e di timbri "rotondi", che assorbe suggestioni e materiali da diverse scene dell'opera. Ma due polarità la guidano, e sono due idee tematiche di segno opposto, una "mossa", che anticipa la Sicilienne su cui danza la scena d'insieme dell'atto primo, e una meditativa, che viene dal Notturno in cui si allarga la sfera naturalistico-sentimentale dell'opera. Nessun contrasto: le due idee si fondono, con combinazioni esperte, in un unico clima. Nei sette-otto minuti dell'ultima Sinfonia composta da Hector Berlioz c'è proprio questo: un senso della Forma che rende ancora più evidente quanto, già nei grandi voli sinfonici del passato, un pensiero preciso tenesse legate le strutture interne e le proporzioni della lingua di Berlioz, anche nelle sue deviazioni più imprevedibili.

L'Ouverture di Béatrice et Benedict resta aderente a un onesto annuncio al pubblico: l'opera che segue non è un dramma, non è una tragedia, ma un gioco di intrighi, di affetti, di azzardi e di ironia. L'orchestra di Béatrice et Benedict non sembra nemmeno ricordarsi dei gesti estremi della Fantastique o di altre pagine che costarono a Berlioz l'identificazione automatica con una esteriorità magniloquente. Eppure non sarebbe potuta uscire se non dalle mani di un musicista che aveva sperimentato tutto, per rientrare in un altro sé con nuova consapevolezza.

L'Ouverture è un raffinato décalage stilistico di fine corsa. Con tocco simile Richard Strauss chiuderà nel 1945 le sue opere, e un poco anche i suoi giorni, scrivendo le meravigliose Metamorphosen: un gesto strumentale lievissimo e raffinato, che nemmeno sembrava uscito dalla mano che aveva composto Also sprach Zarathustra e la Sinfonia domestica.

Con le piccole eccezioni di un preludio per Les Troyens a Carthage e della Marche troyenne per orchestra, Berlioz non scrisse più nulla fino al 1869, in attesa della morte che invocava già al tempo di Béatrice et Benedict.

Carlo Maria Cella


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 24 ottobre 2019

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Ultimo aggiornamento 14 novembre 2019