Les nuits d'été, raccolta di sei melodie per voce e orchestra, op. 7


Musica: Hector Berlioz (1803-1869)
Testo: Théophile Gautier
  1. Villanelle: Quand viendra la saison nouvelle - Allegretto
    Organico: mezzosoprano o tenore, 2 flauti, oboe, 2 clarinetti, fagotto, archi
  2. Le spectre de la rose: Soulève ta paupière close - Adagio un poco lento e dolce assai; Poco animato; Allargando; Adagio un poco lento e dolce assai
    Organico: contralto, 2 flauti, oboe, 2 clarinetti, 2 corni, arpa, archi
  3. Sur les lagunes. Lamento: Ma belle amie est morte - Andantino
    Organico: mezzosoprano, contralto o baritono, 2 flauti, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
  4. Absence: Reviens, ma bien-aimée! - Adagio
    Organico: mezzosoprano, 2 flauti, oboe, 2 clarinetti, 2 corni, archi
    Prima esecuzione: Dresda, 17 Febbraio 1843
  5. Au cimetière (clair de lune): Connaissez-vous la blanche tombe - Andantino non troppo lento
    Organico: tenore, 2 flauti, 2 clarinetti, archi
  6. L'île inconnue: Dites, la jeune belle - Allegro spiritoso
    Organico: mezzosoprano o tenore, 2 flauti, oboe, 2 clarinetti, 2 fagotti, 3 corni, archi

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Con la loro delicata e misteriosa bellezza Les Nuits d'été sono un prodotto del tutto atipico d'un musicista iper-romantico per definizione: è sorprendente che queste sei liriche siano uscite dalla penna di Hector Berlioz, abituata a tracciare sui pentagrammi una musica aspra, colma di forti contrasti e di audaci effetti. Ma, se è vero che quest'uomo dai lineamenti marcati coronati da un ispido cespuglio di capelli descritto da Heine come "un bosco sull'orlo d'un dirupo" era un musicista programmaticamente rivoluzionario, originale e smisurato, è anche vero che una vena sotterranea di classicismo affiorava talvolta a moderarne la sregolatezza e ad equilibrarne gli eccessi, più frequentemente nella musica vocale, perché la sua passione per la voce umana non era inferiore a quella per l'orchestra, ma, mentre l'orchestra gli si presentava come il campo ideale per sfrenate galoppate alla scoperta di timbri ed effetti mai uditi, la voce doveva essere rispettata e i suoi limiti naturali dovevano essere osservati. E, sebbene Berlioz sia generalmente considerato soprattutto in relazione ai suoi prodigi orchestrali, la voce ha un ruolo tutt'altro che secondario nella sua musica: la s'incontra infatti non soltanto nelle opere e nella musica sacra, ma anche in lavori anomali, che non rientrano in nessuno dei generi musicali canonici, come Lélio, Romèo et Juliette e La damnation de Faust, e in una congerie seminesplorata di cantate, di mélodies e di pezzi vari per voci soliste o per coro, con accompagnamento di pianoforte o d'organici strumentali più ampi.

Tra le mélodies di Berlioz spiccano quelle raccolte sotto il titolo Les Nuits d'été, le uniche a essere concepite come un ciclo coerente, con un unico tema, con una calcolata successione d'atmosfere e con un'alternanza equilibrata di tempi e tonalità: quest'unità interna è più forte nella versione originale per voce di mezzosoprano o tenore e pianoforte ma sussiste anche nella successiva versione per orchestra, nonostante i cambiamenti di tonalità e l'assegnazione d'ogni lirica a un tipo diverso di voce. La prima stesura delle Nuits d'été è stata composta in un periodo non determinabile esattamente, compreso tra il 1838, anno della pubblicazione de La corneale de la mort di Théophile Gautier da cui sono tratte le poesie, e il 1841, anno della pubblicazione della versione musicale di Berlioz. Si sarebbe tentati di vedere un'eco dei sentimenti personali di Berlioz intorno al 1840 (in quel periodo il suo matrimonio con Harriet Smithson stava giungendo alla fine) nella scelta da lui fatta tra le cinquantasei poesie della raccolta di Gautier, in cui si può leggere una parabola sulla natura effimera dell'amore, ma l'assenza di qualsiasi indicazione che ci permetta di penetrare le ragioni che l'hanno spinto alla composizione di questo ciclo ci obbliga a considerare Les Nuits d'été null'altro che il risultato della sua sensibilità romantica per le atmosfere notturne, melanconiche, lugubri.

La prima delle sei liriche ad essere orchestrata fu Absence, nel febbraio del 1843, in vista d'un concerto di beneficenza al Gewandhaus di Lipsia a cui Mendelssohn aveva invitato Berlioz a collaborare. In quell'occasione Mendelssohn si complimentò con il collega francese per certe finezze della strumentazione e Berlioz stesso s'accorse che la lirica «fa così dieci volte più effetto che col pianoforte»: eppure soltanto alla fine del 1855 o nel gennaio del 1856 si decise a strumentare una seconda lirica (Le spectre de la rose), aggiungendovi otto battute orchestrali d'introduzione e trasportandola da re maggiore a si maggiore per andare incontro alla tessitura della cantante prevista per l'esecuzione. A questo punto, su richiesta d'un editore tedesco che era rimasto conquistato da questa versione orchestrale, Berlioz si decise a mettere mano anche alle restanti quattro liriche, e la strumentazione fu rapidamente completata nel marzo del 1856. Les Nuits d'été devono gran parte della loro atmosfera sensuale, meditativa ed elegiaca proprio a questa delicata ma abilissima orchestrazione, lontanissima da quel gigantismo che comunemente - ma spesso a torto - viene associato al nome di Berlioz.

Villanelle, prima delle sei mélodies delle Nuits d'été, è un'introduzione amabile e gaia alle ben diverse atmosfere delle successive liriche. Berlioz, come certe volte Schubert nei suoi Lieder, non disdegna toni popolari e scrive una canzone primaverile, con una melodia fresca e leggera che si ripete con leggerissime varianti in tutte e tre le strofe, di cui l'ultima esce dal solco soltanto per far ritorno ben presto alla prevista conclusione: ma è una semplicità apparente, perché la delicata raffinatezza dell'orchestrazione, le imprevedibili soluzioni armoniche, i bizzarri giri di frase non hanno nulla di naïf e sono tipicamente berlioziani.

Le spectre de la rose offre al compositore l'occasione per una grande scena drammatica, tra vertici di passione e ripiegamenti nostalgici. Berlioz ha inventato qui una di quelle sue lunghissime frasi dall'andamento originale e imprevedibile: è una melodia d'ampio respiro, che più volte sale con ampi intervalli e ogni volta rapidamente ricade. La voce è trattata come uno strumento capace di "legare" e vibrare in modo superbo, servendosi delle parole come meri supporti della melodia più che come protagoniste, un po' secondo la concezione italiana.

In Sur les lagunes la voce sottolinea invece il valore espressivo delle parole e segue l'andamento prosodico del verso, talvolta in modo simile a un recitativo, talvolta con un più ampio slancio melodico che nei momenti più patetici la fa salire al registro acuto o sprofondare in cupe meditazioni (la lunga scala discendente della voce alle parole "Ah, sans amour m'en aller sur la mer"), non seguendo però pedissequamente il testo ma prendendosi le sue libertà, soprattutto quando Gautier tende a una resa realistica di sentimenti ed azioni: Berlioz mira piuttosto a un lamento disperato che sublimi il dato contingente

Absence è comunemente ritenuta la più nota (se si può parlare di notorietà a proposito di questa raccolta ingiustamente piuttosto trascurata) e la più bella delle sei liriche di Nuits d'été: la desolata solitudine di chi è lontano dalla persona amata è espressa con totale semplicità, senza ricerca dell'effetto, ma con una concezione e una realizzazione di notevole originalità. Uno squisito gioco armonico da il tono poetico di Au cimetière: in tutta la prima parte l'armonia oscilla tra due accordi e la melodia si muove su quattro note contigue, determinando un'atmosfera immobile e sospesa, ambigua e angosciosa, che grava sull'ascoltatore fino alla fine.

Rispetto alle liriche precedenti L'ile inconnue costituisce un anticlimax, che serve a chiudere il ciclo con un tono più leggero, quasi frivolo, almeno apparentemente, perché i contorni di quest'isola alla Watteau, in cui regnano il vero amore e l'eterna felicità, diventano alla fine incerti e vaghi, rivelando che si tratta soltanto d'un miraggio irreale.

Mauro Mariani

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1834 Berlioz, dopo aver scosso la Francia musicale con la Sinfonia fantastica, e con il genialissimo e disorganico proseguimento di questa, Lelio, e aver scatenato i suoi talenti di orchestratore — meglio sarebbe dire di creatore di prospettive orchestrali, che in lui, avveniristicamente, la distribuzione del materiale musicale fra gli strumenti di orchestre di inedita composizione non fu quasi mai aggiunta di nuovi vestiti sonori a creature astrattamente già esistenti, bensì un importantissimo momento inventivo — nelle prime Ouvertures (Waverley, Les francs fuges, Roi Lear, Rob-Roy), affrontava per la prima volta un campo d'azione che fu sempre ai vertici delle sue aspirazioni, pur riserbandogli le più cocenti sconfitte, almeno sul piano del successo esteriore, il teatro, avviando la composizione del Benvenuto Cellini, che gli avrebbe richiesto quattro anni di lavoro. Contemporaneamente, un'infìammata vocazione alla poesia gli dettava un'altra pagina di sfrenata inventiva fantastica, l'Aroldo in Italia, ispirata a un Romanticismo avventuroso e pittoresco come quello di Byron: una dimensione espressiva a lui certo più congeniale che non quelle del Romanticismo germanico, come stava a confermare lo stesso splendido tradimento di Goethe perpetrato nel '29 con le Otto scene dal «Faust», nucleo della più tarda «leggenda drammatica» La dannazione di Faust. In quello stesso anno, ecco Berlioz accostarsi a un genere eletto del Romanticismo tedesco, la lirica vocale da camera, già toccata con la serie dei Poèmes irlandais da Thomas Moore, una delle prime manifestazioni del genio del musicista poco più che vencinquenne, per dare il suo capolavoro in tal campo, il ciclo delle Nuits d'été. Per la verità, le Nuits d'été in quel 1834 erano ancora qualcosa di alquanto lontano dall'opera perfetta che esse costituiscono nella versione definitiva. Caso abbastanza raro nella storia della musica, la versione originale per voce di mezzosoprano o tenore e pianoforte resta considerevolmente inferiore a quella orchestrale, realizzata da Berlioz (a eccezione del quarto numero, Absence, strumentato già nel '43) nel 1856. In questa occasione il compositore mutò la destinazione dei sei brani, distribuendoli fra voci diverse: il n. 1, Villanelle, prevede un mezzosoprano o un tenore, il n. 2, Le spectre de la rose, un contralto, il n. 3, Sur les lagunes, un baritono (o contralto, o mezzosoprano), il n. 4, Absence, ancora un mezzosoprano o tenore, il n. 5, Au cimetière, un tenore, il sesto e ultimo pezzo, L'ile inconnue, un mezzosoprano o un tenore; suddivisione solo di rado ripresa nelle esecuzioni odierne, che tendono a riportare anche la versione orchestrale all'originaria destinazione per una stessa sola voce.

È chiaro che la lirica vocale di Berlioz, al contrario di quella dei Romantici tedeschi, non trovava la sua realizzazione migliore nella dimensione intima, domestica, o comunque privata, dell'unione fra la voce e il pianoforte. Intanto perché il linguaggio di questo strumento — che Berlioz non giunse mai a saper suonare con proprietà, a differenza di quasi tutti i compositori dell'Ottocento — gli era sostanzialmente estraneo, e in fondo sconosciuto. Ma soprattutto perché quell'aspirazione a «far grande», magari anche nel più personale ripiegamento lirico, che dell'arte di Berlioz fu sempre la caratteristica dominante, non sapeva fare a meno delle risorse dell'orchestra, e di un'orchestra smisuratamente ampliata spesso negli organici — in qualche caso proverbialmente mostruosi — e sempre nelle possibilità timbriche ed espressive; aspetto, quest'ultimo, destinato a garantire per decenni e decenni al compositore un ruolo di avveniristico avanguardista. Questi caratteri emergono con assoluta evidenza dal raffronto fra le due versioni: l'orchestra che nella seconda di esse avvolge la linea del canto non ricorda se non vagamente, e in particolari di secondaria importanza, l'accompagnamento pianistico, sovente ingenuo e fatto di formule stereotipate, della prima. Non si troveranno qui, coerentemente al tono lirico, non privo, com'è stato detto, di una certa fragranza popolare, delle sei poesie di Théophile Gautier, entusiasta capofila del movimento romantico degli anni '30 non alieno peraltro da compiaciuti manierismi come quelli che fanno il fascino del Capitan Fracassa, e, in parte, della stessa creazione musicale, gli ipertrofici organici strumentali di tanto sinfonismo berlioziano; ma le sconvolgenti intuizioni timbriche, il loro adattamento alla linea melodica e allo svolgersi delle armonie, le prospettive spaziali offerte alla fantasia dall'accostamento fra registri strumentali non omogenei, conseguono una tale efficacia e realizzano una cosi autentica poesia, che non di «orchestrazione» sarà lecito parlare, e nemmeno di una traduzione in termini sinfonici, bensì di una vera e propria creazione musicale, probabilmente necessaria già al momento della nascita dell'originale con accompagnamento di pianoforte.

La Villanelle che apre il ciclo risente di un'intonazione espressiva sostanzialmente estranea alla maggior parte delle altre liriche. Il testo propone un quadretto di genere, troppo aggraziato per essere banale (ma Henry Barraud parla di «amabile insipidezza»): Berlioz vi aderisce con una linea musicale apparentemente superficiale, resa vivace da un discorso armonico assai curato, da un orizzonte timbrico fresco di colori primaverili, da una condotta melodica e ritmica sapientemente modellata sulle curve del verso, fino a trarre ottimo partito anche dal trisillabo tronco che conclude ciascuna delle tre strofette. Un brusco cambiamento d'umore nel secondo numero, Le spectre de la rose (su altra musica, l'Invitatìon à la valse di Weber trascritta per orchestra da Berlioz, fu creato a suo tempo un celebre balletto per Nijinski, ispirato al contenuto di questa lirica): il patetismo mortuario del testo trova nella traduzione musicale, e soprattutto nelle prospettive create dall'orchestra, uno straordinario ampliamento emotivo, che non può non richiamare alla memoria alcune pagine fra le più alte di Romeo e Giulietta o del Faust: alla distesa espressività della linea vocale il denso ordito degli strumenti conferisce una profonda suggestione. Ancora un luogo comune della poesia romantica in Sur les lagunes (Lamento) (in italiano nell'originale). L'andamento un po' banale dei versi, con quel ritmo da canzonetta, è travolto dalle immagini naturalistiche disegnate dall'accompagnamento orchestrale, dove si configura una intensa poesia del mare e della notte, che si eleva a particolare pregnanza nei due versi che concludono ciascuna delle tre strofe, impennandosi in un'esclamazione disperata. La separazione di due amanti è il tema della quarta lirica, Absence, che nella musica di Berlioz si carica di una sospesa poesia nostalgica, quasi preparando la straordinaria profondità espressiva del brano seguente, Au cimetière, probabilmente il vertice di tutto il ciclo. Anche qui l'andamento della poesia, con quei due novenari seguiti da un quinario tronco, potrebbe parere stucchevole, e tentare il musicista a una composizione di maniera: ma le immagini notturne e cimiteriali si affidano a un itinerario armonino sensibilissimo, mentre la voce si fissa su invenzioni melodiche trasfigurate e ridotte, dal punto di vista della successione degli intervalli, ai minimi termini, secondo un crescendo di intensità espressiva inversamente proporzionale alla progressiva diminuzione dei mezzi impiegati. A ricomporre l'unità del ciclo, quasi richiamandosi alla levità della Villanelle iniziale, provvede L'ile inconnue, con quel suo tono di ballata popolare, a un tempo infantile e sorniona: non sembra lecito parlare di «qualità più superficiale», come fa Barraud nella sua lettura, altrimenti preziosa, delle Nuiis d'été; si tratta piuttosto di un'esigenza tutta francese, ma non solo francese, di equilibrio, quasi indispensabile dopo la profonda espressività delle quattro liriche centrali del ciclo.

Dniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 2 giugno 2002
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 29 maggio 1980

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Ultimo aggiornamento 25 ottobre 2019