Quattro pezzi per clarinetto e pianoforte, op. 5


Musica: Alban Berg (1885 - 1935)
  1. Mäßig
  2. Sehr langsam
  3. Sehr rasch
  4. Langsam
Organico: clarinetto, pianoforte
Composizione: maggio 1913
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 17 ottobre 1919
Edizione: Haslinger, Berlino, 1920
Dedica: Arnold Schönberg
Testo (nota 1)

I Quattro pezzi per clarinetto e pianoforte op. 5 scritti nel 1913 (la prima esecuzione avverrà, a Vienna, nel 1919), sono dedicati ad Arnold Schönberg e concepiti, nella scelta dei due strumenti protagonisti, come omaggio alle due Sonate op. 120 di Johannes Brahms, composte nel 1894: dunque, allora, erano memoria recente.

Nelle scansioni del breve, denso lavoro Theodor Adorno amava rintracciare lo schema formale di una Sonata in quattro movimenti: Allegro di sonata - Adagio - Scherzo - Finale. Ma a Berg la forma chiusa sta un po' stretta. Qui, propone una musica - come ha scritto Pierre Boulez - "resa con un gesto appena accennato di cui si percepisce che potrebbe continuare, diffondersi, moltiplicarsi. Come gli abbozzi di racconti che possiamo leggere nel Diario di Kafka, questi brani ci lasciano sospettare dei prolungamenti non espressi oltre la scrittura reale, chiusa".

Ancora: il superamento del margine, la dilatazione nello spazio, la distribuzione tra i pieni e i vuoti del suono, la sua presenza e la sua attesa: moderna drammaturgia strumentale, senza una forte indicazione tematica, costruita per iperboli brevi, con melodie sinuose cui si contrappongono violenti attacchi del suono, che altrettanto rapidamente scompaiono, inghiottiti dalla frequente indicazione pianissimo, come a voler raggiungere una rarefatta concentrazione, il grado zero della scrittura musicale.

Miniature concepite però - e questa rimarrà la cifra stilistica di Berg, la sua riconoscibilità all'interno dei flussi creativi del Novecento - nel rispetto della tradizione 'lirica' delle due voci. Lirismo certo non melodrammatico, capace di evocare atmosfere lunari, sensuali e fredde: recentissima - 1912, a Berlino - era l'impressione suscitata dal Pierrot lunaire composto dal dedicatario dell'opera. Staticità e ombra di melodie, atmosfere smarrite, astratte, linee di canto che sembrano rincorrersi, fermarsi, ascoltarsi: come se i due strumenti, a tratti, ricordassero il proprio passato, avessero voglia di indossare gli abiti d'un tempo, mai tolti dall'armadio di casa. Non segni incisi con forza, scolpiti nel corpo del suono, ma gesti brevi, appena espressi. "Echi" scrive Berg per la parte del clarinetto: anche in questo brano, il dialogo tra le due voci si distende e si ricompone, può essere univoco o difforme, velocissimo e accennato o più riconoscibile, allontanarsi o avvicinarsi, sovrapponendo staticità e mobilità, suoni descrittivi e allucinati, con quel realismo spettrale che ritroveremo nel Wozzeck, con quel desiderio di cantabilità pudica e profonda che vive nella Suite lirica, nel Concerto per violino.

Sandro Cappelletto


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 marzo 2006

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Ultimo aggiornamento 29 gennaio 2016