Quartetto per archi, op. 3


Musica: Alban Berg (1885 - 1935)
  1. Langsam
  2. Mäßige Viertel
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 1910
Prima esecuzione: Vienna, Großer Musikvereinsaal, 24 aprile 1911
Edizione: Haslinger, Berlino, 1920
Dedica: Helene Berg
Guida all'ascolto (nota 1)

"Alle 9 [del 1° agosto 1923] ero già a Salisburgo e dopo aver cercato quasi per due ore finalmente ho trovato gli Havemann. Delle persone splendide. Quattro musicisti biondi, allegri, molto entusiasti e studiosi. Ci siam piaciuti già dopo i primi dieci minuti. Nel vedere come hanno imparato a suonare a memoria il mio Quartetto, il cuore mi balzava dalla gioia, come sentono questa musica e come la esprimono!... Ognuno conosce la parte dell'altro e lo controlla! Speriamo che stasera vada bene e che non ci siano incidenti".

Così Berg scriveva alla moglie, restata a Vienna, quasi nell'ansiosa attesa della prima esecuzione pubblica del Quartetto op. 3. Il lavoro risaliva in verità a più di tredici anni prima, ed era stato eseguito il 24 aprile del 1911 dal Quartetto Brunner: nel programma della serata figuravano anche, di Webern, i Cinque Pezzi per il medesimo organico e l'op. 7 (per violino e pianoforte). Fu proprio quest'ultimo compositore ad insistere anni dopo, nel 1919, perchè Berg riprendesse in mano quel lavoro giovanile e quasi dimenticato, e le insistenze dell'amico non dispiacquero all'autore che gli confessò di sentire tuttora una particolare preferenza per il Quartetto.

L'esecuzione salisburghese del quartetto Havemann fu coronata da grande successo. Eccone ancora il resoconto di Berg alla moglie, cui l'opera era stata peraltro dedicata: "Hanno suonato in modo sublime. ...Nonostante la mia grande emozione... ho goduto dell'armonia e della dolcezza solenne e dell'estasi di questa musica. Non puoi fartene un'idea da quello che hai sentito finora. I cosiddetti passaggi più tumultuosi e più arditi erano una pura armonia, in senso classico. Alla fine un applauso generale, addirittura frenetico. E' stato un successo enorme per Salisburgo e per una piccola opera di musica da camera". Dopo quella serata il pezzo venne portato dagli stessi esecutori in molte importanti città europee e altri complessi si rivolsero all'autore per studiarlo, ma, ciò che più conta, il direttore dell'Universal, Hertzka, lo volle per la propria casa editrice. Nel 1922 lo stesso editore aveva stampato (a dire la verità a spese dell'autore e grazie ad un generoso contributo di Alma Mahler) lo spartito del Wozzeck e la circolazione di questo capolavoro operistico novecentesco, insieme al successo salisburghese, contribuì a rendere finalmente più noto il nome del loro autore.

Ben diversa era la situazione all'epoca della composizione del Quartetto. Nel 1910 Berg era da sei anni allievo privato di Arnold Schoenberg, che fu il suo unico maestro in un rapporto didattico diretto che si sarebbe interrotto l'anno dopo, a causa del trasferimento dell'insegnante a Berlino. Berg aveva allora al proprio attivo una nutrita serie di Lieder per lo più composti ai fini di un consumo "familiare" (il fratello aveva una buona voce e la sorella era una pianista). Schoenberg ebbe cura d'indirizzarlo invece verso lo studio delle opere strumentali, ponendolo in contatto con le grandi forme della tradizione tedesca. E' alla luce di un tale rapporto didattico che vanno inquadrati sia la Sonata op. 1 che il Quartetto. Tuttavia già in questi lavori, testimonianza di un apprendistato eccezionale da ambo le parti, si trovano le caratteristiche tipiche del linguaggio di Berg: si ponga mente che a quegli stessi anni risalgono sia i Sei Pezzi per pianoforte del maestro (1911) sia i due lavori di Webern (op. 5 e 7) presentati nel già ricordato concerto viennese dell'aprile 1911. In tutte e tre le brevissime raccolte domina la rarefatta economia espressiva che siamo abituati a collegare alla crisi attraversata in quegli anni dal linguaggio tonale e nella quale si rispecchiava l'inquieta coscienza dell'Europa. Berg, pur scrivendo un'opera del tutto libera dai vincoli della tonalità nel quadro di quell'«emancipazione della dissonanza» che il suo maestro propugnava, propone nel Quartetto una composizione di notevole ampiezza, a dispetto dei soli due movimenti che la compongono (e la "mancanza" di un terzo e di un quarto tempo fu motivo di disorientamento dei critici). Gli elementi tematici dei due tempi sono anzi in parte collegati sicché l'opera acquista un'architettura "ciclica" pur distinguendosi un iniziale impiego della forma sonata (nel Lento) da un successivo Rondò (Moderato). Nella voluta impossibilità di utilizzare le tensioni dialettiche di tonica e dominante per la costruzione della grande forma, il compositore si rivolge ad una minuziosa elaborazione tematica. E tuttavia, secondo quanto scrive Theodor W. Adorno, che dedicò alle opere del suo maestro Berg appassionate e preziose analisi, «nel Quartetto non ci sono più "temi" nella vecchia accezione statica. Il continuo passaggio scioglie ogni immagine consolidata, la schiude a ciò che procede e a ciò che segue. ...E' perciò compito di chi ascolta non notare i temi e seguirne i destini, bensì partecipare al compimento di un percorso musicale, in cui ogni battuta, anzi ogni nota è ugualmente vicina al punto centrale». «Se ci si immerge nella musica di Berg - ammonisce ancora Adorno - si ha talvolta l'impressione che la sua voce parli con un suono fatto di un miscuglio di tenerezza, nichilismo e confidenza con la massima caducità; ed ecco tutto si rivela, propriamente, nulla. Sotto uno sguardo analitico questa musica si dissolve completamente, come se non contenesse elementi solidi».

Renato Bossa


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 marzo 1993

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Ultimo aggiornamento 20 ottobre 2016