Sonata per violino e pianoforte n. 2, BB 85, SZ 76


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Molto moderato
  2. Allegretto
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Luglio - Novembre 1922
Prima esecuzione: Berlino, 7 Febbraio 1923
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1923
Dedica: Jelly d'Arányi
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Nella ricca produzione cameristica di Bartók le composizioni riservate al violino non sono numerose ma assai significative per capire il temperamento creativo e lo stile di questo musicista che ha sentito più di tanti altri artisti del suo tempo l'evoluzione e il processo di aggiornamento del linguaggio musicale, senza tuttavia compiere un netto rifiuto della struttura armonica e tonale, cosi come fece Schönberg con la Scuola viennese. Per il violino egli scrisse rispettivamente nel 1921 e nel 1922 le due Sonate, di cui la seconda viene riproposta stasera, le due Rapsodie per violino e pianoforte (1928), il Concerto per violino e orchestra (1937-38) e la Sonata per violino solo (1944), dedicata a Yehudi Menuhin. In tutti questi lavori Bartók ha studiato in dettaglio ogni possibilità tecnica ed espressiva del violino, cercando di imprimere un discorso, per così dire, più libero e aperto e non strettamente legato ai canoni tradizionali. Naturalmente non manca il riferimento alla matrice folclorica della terra magiara (ciò si avverte in maniera evidente nelle due Sonate per violino e pianoforte), ma la melodia, il ritmo, la metrica puntano su una visione più astratta ed essenzializzata del pensiero musicale, quasi a non voler dimenticare l'esperienza espressionista della pantomima in un atto Il mandarino miracoloso, composta tra il 1918 e il 1919 e rappresentante uno dei punti fermi e più importanti della poetica bartókiana. Come è stato giustamente affermato, in questi pezzi per violino e pianoforte o violino e orchestra non c'è un dialogo serrato fra i due strumenti o, comunque, un rapporto dialettico, tanto è vero che un biografo ha annotato con una immagine brillante che il violino e il pianoforte appaiono come «due fratelli siamesi legati per il dorso: vivono dello stesso battito cardiaco, ma non sono in grado di vedersi». Il che significa che i due strumenti, ma soprattutto il violino, sono proiettati verso una più scavata tensione espressiva, al di là di certe regole che sinora governavano la scrittura di simili componimenti a due voci.

Le due Sonate per violino e pianoforte sono diverse anche dal punto di vista formale. La prima è in tre tempi e rispetta lo schema della sonata classica, pur nel carattere rapsodico della musica, mentre la seconda è in due movimenti: il primo (Molto moderato) ha un tono pensoso e di riflessione, come un'introduzione al successivo Allegretto, da cui si sprigiona quella vitalità ritmica e molto vivace armonicamente che resta la sigla creatrice tipica del musicista. Va aggiunto che le due Sonate per violino e pianoforte furono dedicate alla giovane Jelly d'Arànyi, nipote del celebre violinista Joseph Joachim e anche lei violinista di grande talento. La d'Arànyi suonò con successo i due pezzi a Londra in due concerti nel 1922 e nel 1923 e Bartók manifestò gratitudine e riconoscenza verso questa virtuosa dell'archetto, apprezzata anche da illustri compositori dell'epoca.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nella musica da camera di Bartók, le opere per vio lino occupano un posto preminente. Il primo brano cameristico del tredicenne Béla era un arrangiamento per violino e pianoforte di un proprio pezzo pianistico "Il corso del Danubio", dedicato alla madre. Del 1895 è una prima sonata in do minore per violino, e pianoforte, a cui seguirono una seconda sonata (1897), oltre a un Albumblatt e una terza sonata, che risale al 1903, l'anno del poema sinfonico "Kossuth" ancora straussiano. Questa sonata fu eseguita il 25 gennaio 1904 dal grande Jenò Hubay, con lo stesso Bartók al pianoforte. Ma in seguito il compositore ripudiò questi lavori giovanili, cosicché di opere ufficiali rimangono le due sonate del 1921 e del 1922, le due rapsodie del 1928, i 44 duetti per due violini del 1931, "Contrasts" per violino, clarinetto e pianoforte del 1938 (scritti per Joseph Szigeti e Benny Goodman) e la Sonata per violino solo del 1944, dedicata a Yehudi Menuhin. Era lo stesso Menuhin a sostenere nel 1976 che Bach e Bartók fossero i due compositori che hanno dimostrato di possedere la più profonda e intensa conoscenza del violino. Difatti i problemi tecnici oltreché musicali posti, dalle due Sonate le collocano (assieme ai concerti dello, stesso autore) tra le opere più complesse dell'intera letteratura violinistica. Bartók, instancabile etnomusicologo in quanto raccoglitore dei canti popolari dell'Ungheria e delle regioni limitrofe, non ha rinunciato ad impiegarne le caratteristiche nelle proprie musiche. Laddove anche nel periodo più audacemente espressionistico, cioè gli anni intorno al 1920, si ritrovano peculiarità ritmiche ed armoniche: della musica popolare magiara o romena.

La prima Sonata è stata composta negli ultimi mesi del 1921, e rispetta, almeno esteriormente, lo schema della sonata classica in tre tempi. Pur caratterizzati da una certa libertà nell'impianto formale, troviamo due tempi veloci che racchiudono un Adagio visionario assai espressivo. Nei passaggi pianistici introduttivi del primo tempo pare scorgere il timbro del cymbalom, più avanti è innegabile l'influsso di Debussy, e il finale si rifà a ritmi di danza romeni, dando luogo a un travolgente perpetuum mobile che accanto all'elementare forza ritmica non disdegna tensioni armoniche dovute all'impiego simultaneo di tre tonalità diverse. Affascinato, come tanti compositori della sua generazione, dal "Sacre" strawinskiano, grazie ai suoi studi etnomusicologici Bartók potè stabilire analogie tra certo Strawinsky e musiche popolari russe, ungheresi ed arabe. Secondo lo stesso Bartók, "La continua ripetizione di motivi primitivi crea un'atmosfera di strana agitazione febbrile" - il gusto "barbarico" degli ostinati sarà un elemento portante di molte tra le musiche più affascinanti di Bartók, ma anche di Sciostakovic.

Al contrario della prima Sonata, la seconda si articola in soli due movimenti, una rapsodica e riflessiva introduzione a cui segue, senza soluzione di continuità, un Allegretto fortemente ritmizzato. Il primo movimento reca l'indicazione Molto moderato, ma non vi è quasi battuta in cui non ci siano altre indicazioni agogiche, e oltretutto il metro cambia di continuo: si passa da 4 battute di 6/8 a due di 9/8, poi si alternano 6/8, 9/8, 4/8, 7/8, 5/8, 3/8 e 2/8, nel Poco più andante abbiamo i 5/8 del violino contro i 4 del pianoforte e così via. Una certa unità è creata da un motivo ritmico di terzine e dalle sue derivazioni che ricorrono anche nel secondo tempo, e dalla decisa predilezione per gli intervalli di seconda maggiore, quarta giusta e aumentata, settima maggiore e nona minore che a partire dalla sezione Sostenuto del primo tempo compaiono con sempre maggior frequenza nel gioco delle doppie corde del violino. L'Allegretto si apre con una specie di cluster (fa, fa diesis, sol, la bemolle) che ricorre quattro volte nel pianoforte prima di cedere il passo al violino (pizzicato), un accelerando (altra indicazione usata con una certa frequenza) prepara la seconda entrata del violino con la prima idea variata (sempre pizzicato); dal Poco più vivo successivo (arco) nel violino compare con sempre maggiore frequenza l'intervallo di seconda minore, e il primo ostinato di seconde minori va addirittura "battuto, ruvido" - siamo nel pieno della predilezione espressionistica per il suono volutamente brutto, ma gonfio di messaggi nuovi. Il resto del movimento è tutto un gioco di accelerando, glissandi inaspettati, pause poste lì unicamente per poter riprendere con rinnovate energie, ostinati sempre più pressanti, crescendi che chiedono ai due interpreti la completa padronanza dei loro strumenti, che per brevi sezioni vengono impiegati anche singolarmente: il pianoforte in un Quasi a tempo (maestoso), il violino verso la fine, quando introduce il rallentando finale che porta all'ultima battuta Adagio, un etereo accordo di do maggiore.

Dal 1918 Bartók aveva una nuova casa editrice, la prestigiosa Universal di Vienna, e in questa città avvenne anche la prima esecuzione della prima Sonata, l'8 febbraio 1922 ad opera di Mary Dickens-Auner e di Eduard Steuermann, il pianista che si è tanto adoperato per Schönberg. A Londra, la prima Sonata venne presentata nel marzo successivo dalla violinista Jelly D'Arànyi (1893-1966) e dallo stesso compositore, e il grande successo li indusse a tentare l'impresa di nuovo, presentandovi l'anno seguente la seconda Sonata, dedicata alla stessa D'Arànyi. Tra i grandi interpreti predestinati di oggi, Sàndor Vegh ed Attila Kubinyi, allievo di un altro stretto collaboratore di Bartók, Ede Zathureczky.

Johannes Streicher


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 Dicembre 1992
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 12 novembre 1991


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Ultimo aggiornamento 10 maggio 2014