Sonata per due pianoforti e percussioni, BB 115, SZ 110


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Assai lento. Allegro troppo
  2. Lento, ma non troppo
  3. Allegro non troppo
Organico: 2 pianoforti, timpani, xilofono, cassa chiara senza timbro, idem con timbro, piatto sospeso, piatti, grancassa, triangolo, tam-tam
Composizione: Luglio - Agosto 1937
Prima esecuzione: Basilea, 16 Gennaio 1938
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra - New York, 1942

Nel 1940 Bartók ne ha ricavato una versione per Due pianoforti e orchestra, BB 121, Sz 115
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Quando nel 1937 la Società Internazionale di Musica Contemporanea di Basilea commissionò a Bela Bartók un'opera strumentale per la celebrazione del suo decimo anniversario di fondazione, egli scelse di realizzare un progetto coltivato da anni scrivendo una sonata per pianoforte e percussioni. Rispetto all'idea avuta originariamente Bartók pensò di poter meglio bilanciare il peso sonoro delle due sezioni strumentali servendosi di due pianoforti, che egli, con un dettagliato schema anteposto alla partitura, volle disposti ai due lati della batteria di percussioni, per meglio ottenere un effetto spaziale-stereofonico.

Nasce così la Sonata per due pianoforti e percussioni, una delle opere più originali e significative del repertorio bartokiano nella quale l'insolito e audace accostamento timbrico da la possibilità all'autore di sperimentare colorazioni acustiche inedite, con sonorità secche ed elastiche al tempo stesso.

Non più relegati a un ruolo puramente sussidiario, i diversi strumenti percussivi assumono ruoli differenti: il loro timbro, come ebbe a scrivere lo stesso Bartók, «in molti casi colora soltanto il suono del pianoforte, in altri potenzia gli accenti più importanti. Talvolta essi introducono motivi contrappuntistici opposti alle parti pianistiche, mentre timpani e xilofono suonano temi, anche solistici». A loro volta i due pianoforti vengono utilizzati in maniera prevalentemente percussiva attraverso un ampio uso di suoni martellati, di marcate successioni accordali, spesso con funzione di vero e proprio motore ritmico. Unitamente all'amalgama sonoro, caratteristica saliente di quest'opera è dunque il ritmo: estremamente mutevole nelle indicazioni metronomiche, spesso rese flessibili dall'ampio uso dell'accelerando, travolgente e irresistibile negli ostinati e nei fraseggi, ricchi di quelle asimmetrie e di quei sincopati che vent'anni dopo ritroveremo nella moderna evoluzione della musica jazz (bop e successivamente jazz-rock).

I tre tempi della sonata si presentano come tre quadri espressivi nettamente distinti: il primo, tormentato e inquieto, a volte selvaggio e brutale, che comprende una Introduzione lenta e un Allegro molto costituito da una forma sonata complessa e articolata: il secondo, composto da una successione di episodi avvolti in un clima misterioso e ovattato, inframmezzato da brividi e fremiti passeggeri; il terzo, anch'esso in forma sonata, gioioso e vitale, informato da un brillante motivo di ispirazione folkloristica.

Assai lento. Allegro molto. L'introduzione, una sorta di graduale conquista dello spazio sonoro che esploderà con violenza nell'Allegro molto, si apre con un rullo di timpani seguito da un cupo incedere quasi inanimato dei due pianoforti in successione. Per due volte un lampo improvviso crea uno squarcio nella sonorità iniziale, mentre il moto iniziale diviene accordale, e accelera crescendo inesorabilmente verso un fortissimo. Una scansione tribale dei timpani con percussioni accordali dei pianoforti porta, con un ulteriore accelerando, all'Allegro molto. L'ampia Esposizione si articola in tre temi principali, il primo dei quali è uno sferzante inciso dal ritmo sincopato, reiterato in forma accordale dai pianoforti sopra il battere frenetico dei timpani. I due gruppi strumentali quindi invertono i ruoli, il tema viene infatti scandito ritmicamente dalle percussioni sull'ostinato dei pianoforti, per poi dialogare sul tema stesso fino al graduale spegnersi della pulsione ritmica. Il secondo tema (Un poco più tranquillo] è invece una melodia dal profilo graduale, sebbene con scansione ritmica irregolare, accompagnata da ottave ribattute e da trilli, mentre il terzo elemento tematico, che similmente al primo è connotato dalla sua struttura ritmica (un insistente ritmo anacrusico). si snoda animandosi progressivamente, per poi dar vita a un fugato sotteso dal fluttuante rullo dei timpani. L'Esposizione si chiude quindi con un pacato intreccio dei due pianoforti che riprendono il secondo tema, seguito da una sequenza di trilli e da un fitto movimento di quarte parallele.

Nello Sviluppo le terzine suonate dal secondo pianoforte si snodano come ingranaggi di un meccanismo, creando un moto perpetuo su cui il primo tema viene elaborato con un lungo crescendo culminante con il brillante ingresso dello xilofono. Riparte quindi il motore ritmico a terzine con l'innesto di brevi richiami tematici, fino a quando un improvviso arrestarsi della trama musicale delimita un breve episodio in rapida ascesa che conduce alla Ripresa. Il primo tema appare profondamente modificato nella sua struttura tanto da non essere più riconoscibile, mentre il secondo tema, vagamente anticipato dal secondo pianoforte in un rarefatto episodio di collegamento, è più facilmente individuabile, sebbene in parte coperto dagli arpeggi del primo pianoforte. Assai più veloce che nell'Esposizione è invece il terzo tema che dà vita a un ampio episodio contrappuntistico seguito dalla coda conclusiva nella quale ricompare, ancora modificato ma più simile alla sua struttura originaria, il primo tema.

Lento, ma non troppo. Il movimento si apre con una delicata sequenza percussiva di piatto e tamburi su cui va a sovrapporsi una lunga linea melodica vagamente allucinata. Segue quindi una scansione di ottave che viene increspata dal succedersi di rapide quintine in graduale crescendo. Come già era avvenuto nel primo movimento al culmine di tale crescendo interviene lo xilofono riprendendo il tema delle quintine. Nel terzo episodio vi è quindi una lenta successione di clusters (accordi formati da «grappoli» di note ravvicinate) mossi parallelamente allo xilofono e accompagnati da leggere quintine dei timpani; mentre nel quarto e ultimo episodio troviamo un flusso di scale dall'andamento cromatico che diviene gradualmente sempre più fitto e concitato per poi placarsi nuovamente.

Completata la successione di questi quattro momenti, il secondo pianoforte riprende in maniera variata il tema del primo episodio, mentre il primo pianoforte gli si contrappone con un ondulatorio flusso di scale che si tramuta in ampi glissati. Il movimento è completato da successioni accordali contenenti il primo tema, da una serie di arpeggi seguita dal riecheggiare delle quintine e da un breve acuto dello xilofono sugli accordi del secondo pianoforte che rintoccano fino a scomparire.

Allegro non troppo. Un brillante accompagnamento accordale dei pianoforti fa da piattaforma all'effervescente primo tema dello xilofono, che, dopo esser stato ripreso dal secondo pianoforte, viene variamente elaborato in un ampio episodio di collegamento; un'improvvisa accelerazione di tempo scandisce l'arrivo del secondo tema che, pur distinguendosi dal primo per il fraseggio legato, ne richiama la cellula ritmica principale. Lungo l'evolversi del secondo gruppo tematico si inserisce un nuovo elemento ritmico (semicrome) che progressivamente si infittisce con un'intensificazione della dinamica e dell'agogica.

Nello Sviluppo lo xilofono introduce una successione di frammenti del primo tema; vi è quindi una sorta di hoquetus (rapida alternanza a incastro) accordale dei pianoforti su cui si inserisce una scherzosa variazione tematica dello xilofono, mentre un breve slancio del primo pianoforte lascia posto a un sommesso dialogo tra i diversi strumenti fatto di brevi lampi e rapide punteggiature.

Nella Ripresa il ritorno del primo tema è camuffato dalla variazione del suo profilo melodico riproposto tramite una rapida successione imitativa dei due pianoforti che giunge a un'ossessiva ondulazione ritmica dei pianoforti stessi e dello xilofono. A sua volta la ripresa del secondo tema avviene anch'essa in stretta imitazione contrappuntistica, l'evoluzione del tema stesso ritorna variata e ampliata portando a un turbinoso moto di semicrome, mentre con il riecheggiare accordale della cellula ritmica dei due temi, inframmezzato da un suggestivo tremolo, si spegne progressivamente l'intera composizione.

Carlo Franceschi de Marchi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

È alla fine del 1940 che Bela Bartók lascia l'Ungheria per avviarsi all'esilio volontario negli Stati Uniti. «Questo viaggio è, in fin dei conti, un salto nell'incertezza da una certezza insopportabile» scrive il 14 ottobre all'amica svizzera Müller-Widmann. Non era solo il clima bellico a far allontanare il compositore, ma ancor più la ferma avversione verso le dittature europee e il loro fiancheggiamento da parte del governo ungherese. Due anni prima, dopo l'Anschluss dell'Austria al Reich, Bartók si era rivolto in termini crudi alla medesima amica: «Scrivere di questa catastrofe, io credo, è del tutto inutile. [...] C'è il reale pericolo che anche l'Ungheria si arrenda a questo regime di ladri e assassini. La domanda ora è: quando? come? E non è concepibile che io possa ancora vivere, ancora lavorare (il che è lo stesso) in un paese di questo tipo. Io avrei davvero l'obbligo di espatriare».

Questo dunque il clima degli ultimi anni ungheresi di Bartók, anni di intensa produttività, che vedono nascere, fra l'altro, il Sesto Quartetto, il Secondo Concerto per violino e orchestra, il Divertimento per orchestra d'archi, nonché la Sonata per due pianoforti e percussioni: un gruppo di lavori che sommano, con grande maestria di scrittura, complessità costruttiva, ricerca timbrica, alte ambizioni concettuali.

In particolare la Sonata per due pianoforti e percussioni venne scritta nel luglio-agosto del 1937, come commissione per il decimo anniversario della Società Internazionale di Musica Contemporanea, e venne poi eseguita il 16 gennaio 1938 a Basilea, dallo stesso compositore in coppia con la moglie Ditta Pàsztory, insieme ai percussionisti Fritz, Schiesser e Philipp Rühling. Secondo la testimonianza dell'autore «il tutto suonò abbastanza inusuale, ma comunque il pubblico di Basilea apprezzò, decretando un grande successo». Alla base della partitura si pone il lungo processo di emancipazione delle percussioni, da strumenti idonei ad un sobrio impiego orchestrale, a strumenti dotati di una dignità solistica e di un ruolo autonomo. In particolare la fusione di pianoforti e percussioni era già stata tentata in modo avveniristico in Les noces di Stravinsky (la descrizione di un rito nuziale russo con l'organico di soli, coro, quattro pianoforti e percussioni), e lo stesso Bartók, nel 1936, aveva offerto uno straordinario contributo alla letteratura per percussioni con la Musica per archi percussione e celesta.

La Sonata per due pianoforti e percussioni si colloca sulla scia dell'esperienza del brano scritto l'anno precedente, con esiti però affatto originali. Secondo le parole di Massimo Mila: «È come se i fantasmi poetici evocati nella Musica per archi non avessero ancora esaurito la loro efficacia e sollecitassero la fantasia del compositore, chiedendo altre sistemazioni». Si tratta innanzitutto di uno studio della timbrica, e dunque converrà leggere le parole dello stesso autore:

«I sette strumenti a percussione - timpani (3), gran cassa, piatti, gong, tamburo militare, cassa rullante e xilofono - richiedono solo due esecutori, uno dei quali non suona mai lo xilofono, mentre l'altro non suona mai i timpani. Queste due parti di percussioni sono del tutto uguali come importanza a ciascuna delle parti pianistiche. Il timbro degli strumenti a percussione ha varie funzioni: in molti casi dona solamente colore al suono del pianoforte, in altri sottolinea i più importanti accenti; occasionalmente gli strumenti a percussione introducono motivi contrappuntistici contrapponendosi alle parti pianistiche, e spesso i timpani e lo xilofono suonano dei temi, anche come solisti».

Appare chiaro da queste note il fatto che la timbrica è un elemento autonomo e centrale nella partitura. Se si riflette poi che fin dagli esordi il pianoforte di Bartók (vedi l'Allegro barbaro, del 1911) si era imposto per l'impiego percussivo della tastiera, e che invece le percussioni sono qui impiegate spesso in funzione melodica, si comprenderà la perfetta integrazione dei quattro esecutori, e il fatto che il loro continuo scambio di ruoli crei degli effetti illusionistici, fin dalle prime battute, in cui si confondono brusii delle percussioni e del pianoforte nel registro grave.

La maturità della fase creativa di Bartók risulta evidente anche dal tipo di configurazione del materiale melodico, che si basa, è vero, sul foklore magiaro, ma che non compie citazioni popolari in un contesto colto; piuttosto il tematismo folklorico informa delle sue configurazioni intervallari, delle proprie strutture ritmiche asimmetriche il materiale musicale, che in qualche maniera ne assimila le leggi, piega le regole di costruzione sonora della tradizione eurocolta a quelle vergini e dotate di forza vulcanica della melodia popolare.

La Sonata, peraltro, ha un impianto classico, con un primo movimento in forma sonata particolarmente lungo e complesso, un tempo lento centrale in forma di Lied, e un tempo conclusivo che combina i principi del rondò e quelli della sonata. Il tempo iniziale si apre con una introduzione lenta, Assai lento, che procede verso una tensione degli intrecci polifonici destinata a sfociare nell'Allegro molto in forma sonata. Questo Allegro molto si basa sul tempo di 9/8, che interpreta però secondo diversi agglomerati ritmici; ciascuno dei tre temi è ritmicamente specifico, il primo propone una struttura di tre ottavi seguiti da tre quarti, il secondo è una danza bulgara che segue lo schema 4+2+3 ottavi, il terzo è segnato da giambi e da iniziali salti di sesta. Identificare i temi serve, all'ascolto, per comprendere il tipo di sofisticatissimo "viaggio" che Bartók fa compiere loro, attraverso una sezione di sviluppo che alterna tre differenti momenti, e una riesposizione che trasforma i temi stessi: il secondo viene proposto in inversione, mentre il terzo diventa protagonista di un fugato. Nel lungo e complesso percorso del movimento si dovranno ammirare anche gli agglomerati sonori sempre rinnovati, che presuppongono un autentico virtuosismo da parte degli interpreti.

Con il secondo tempo, Lento, ma non troppo, ci troviamo di fronte a una delle celebri "musiche della notte" di Bartók, pagine di ambientazione sospesa e peculiare, che realizzano una sorta di religiosità pannaturalistica. Si apre con una sorta di marcia funebre, con i tamburi che sostengono sommessamente il canto elegiaco delle tastiere. Il tutto sfocia in una sezione centrale innervata da nervose quintine, poi il secondo pianoforte riprende il tema iniziale, mentre il primo vi ricama sopra; riappare nella coda l'elemento ritmico delle quintine.

Si arriva così all'ultimo tempo, Allegro non troppo, che ha una impostazione diatonica, con un tematismo popolare presentato all' inizio dallo xilofono; la forma del rondò, che alterna un tema principale con episodi secondari, è ideale per realizzare gli intenti ludici e scherzosi di questo finale, ricco di soluzioni espressive continuamente rinnovate, e di un uso dello strumentale veramente giocoso. Si tratta insomma di una transizione dall'ombra alla luce, tipica di tante pagine di Bartók, ma non esente da una certa ambiguità, per il riapparire, negli episodi secondari, di vaste zone cromatiche, e per la riaffermazione di una zona comune fra suono e rumore, con gli effetti illusionistici degli strumenti che portano la Sonata a concludersi nel nulla, come fosse esaurita l'energia propulsiva che aveva dato vita a tutta la partitura.

Arrigo Quattrocchi

Disposizione degli strumenti come prescritto da Bartok

(1) Testo tratto dal numero 67 (Giugno 1995) della rivista Amadeus
(2) Testo tratto dal programma di sala del concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 febbraio 2002


I testi riportati in questa pagina sono tratti, prevalentemente, da programmi di sala di concerti e sono di proprietà delle Istituzioni o degli Editori riportati in calce alle note.
Ogni successiva diffusione può essere fatta solo previa autorizzazione da richiedere direttamente agli aventi diritto.


Ultimo aggiornamento 12 gennaio 2013