Quartetto per archi n. 4 in do maggiore, BB 95, SZ 91


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Allegro
  2. Prestissimo, con sordino
  3. Non troppo lento
  4. Allegretto pizzicato
  5. Allegro molto
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Luglio - Settembre 1928
Prima esecuzione: Londra, 22 Febbraio 1929
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1929
Dedica: Quartetto Pro Arte
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Di ritorno da una tournée concertistica negli Stati Uniti Bartók scrisse tra luglio e settembre del 1928 il Quarto Quartetto in do, eseguito per la prima volta a Budapest il 20 marzo 1929 dal Quartetto Waldbauer-Kerpely; fu dedicato al Quartetto Pro-Arte e pubblicato nel 1929. Esso consta di cinque tempi, di cui il primo (Allegro) sta in simmetria con il quinto (Allegro molto) per espliciti riferimenti tematici, mentre il secondo (Prestissimo, con sordino) e il quarto (Allegretto pizzicato) hanno carattere di scherzo, vivace e capriccioso. Al centro è collocato il terzo tempo (Non troppo lento), considerato come una specie di musica notturna con il canto declamante del violoncello, in un clima di malinconia pastorale. Al Quarto Quartetto si può applicare in particolare ciò che Boulez afferma sulla tecnica usata da Bartók per gli strumenti ad arco: «Egli sa utilizzare tutti gli effetti riguardanti gli archi, come i pizzicati che battono sulla tastiera e i suoni sul ponticello, e sa ammirevolmente dosare la mescolanza delle loro diverse sonorità. Inoltre l'arco ritrova per suo mezzo un vigore e un'aggressività d'attacco che la concezione romantica gli avevano fatto perdere ».

Il primo tempo del Quarto Quartetto è in forma di sonata, con l'esposizione, lo svolgimento e la riesposizione, seguita da un'ampia conclusione. Frammenti tematici, proposti prima dal violoncello e poi dai due violini, si congiungono e si intersecano fra di loro, in una continua tensione dinamica. Ripetizioni ostinate, bruschi arresti, grappoli di note costrette insieme da accordi impossibili, prodotti dal moto orizzontale delle parti, sostanziano lo svolgimento e la ripresa. Un ritmo rapido e asciutto domina nel Prestissimo, con sordino, dove si manifesta quell'inventiva musicale puntata sulle ripetizioni e sugli strappi sonori così tipica della fantasia bartokiana. Il terzo tempo è in tre parti: nella prima il violoncello svolge un recitativo, sullo sfondo di suoni uniformi realizzato dai due violini e dalla viola; nella seconda parte gli strumenti svolgono una serie di arabeschi leggeri e frizzanti, come ispirati ai canti degli uccelli; nella terza parte ritorna il canto del violoncello, ma senza fioriture e armonizzata a canone con il primo violino. Nell'Allegro pizzicato il quartetto sembra un concerto di chitarre, in quanto gli esecutori non usano l'arco. Nella melodia circolare che la viola presenta per prima, tra le strappate ritmiche degli altri strumenti, non è difficile ravvisare una trasformazione del rapido saliscendi che costituiva il tema dello scherzo precedente (Prestissimo, con sordino). Nel finale (Allegro molto) la violenza dell'attacco iniziale con i suoi ritmi marcati e ripetitivi fa pensare a certi passaggi del Sacre du printemps stravinskiano, pur nell'inconfondibile tono di pesante danza rustica. Il tema dei violini presenta analogie con l'attacco dell'Allegro del primo tempo, quasi a sottolineare la cellula da cui è nata l'intera composizione, ritenuta da molti studiosi uno dei punti più alti dell'arte bartokiana.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

«Nell'itinerario dell'opera bartokiana, disuguale e incostante, con improvvise cadute e riprese altrettanto improvvise e violente, la traccia di un impegno creativo più coerente e più organico è costituita dal gruppo dei sei quartetti, sparsi fra gli anni 1908 e 1939. E' come dire che, indipendentemente dagli eccezionali lavori dei suoi ultimi quindici anni, nei quartetti è sempre consegnato, di un periodo, di una particolare esperienza, il miglior Bartók, il più valido e intransitorio. Tanto per citare un esempio, il IV quartetto è del 1928 come la prima Rapsodia per violino e pianoforte, opera questa tanto facile e futile quanto quella è invece ricca di intenzioni e di vivi presagi dell'opera seguente; diversità poi addirittura contrastante nei modi tecnici e, diciamo così, lessicali » (Guido Turchi).

Nel IV quartetto il compositore magiaro, se da una parte trae le estreme conseguenze dalle premesse contenute nel III (soprattutto la preferenza per una linearità melodica ad intervalli ristretti o a gradi congiunti su scale di vario tipo), dall'altra inaugura con più marcata evidenza il «principio architettonico fondato sull'unità di tutte le parti in una stessa opera», com'ebbe a esprimersi il Leibowitz. Esigenza costruttiva, che darà i maggiori e più compiuti frutti nei due successivi quartetti per i quali si parlò di un predestinato incontro di Bartók con l'ultimo Beethoven.

Il presente quartetto consta di cinque movimenti: quattro sono collegati in una duplice arcata che sottende, al centro, il terzo movimento. Infatti le connessioni tematiche si hanno tra il 1° e il 5° movimento, legati anche dalla identica tonalità di do, e tra il 2° e il 4° movimento. In questi ultimi due la tonalità si porta, rispettivamente, ad una terza sopra (mi) e ad una terza sotto (la). Inoltre la figura tematica del 2° movimento, cioè del vorticoso Prestissimo con sordino, costituita di brevi saliscendi cromatici, si converte nel 4° (Allegretto pizzicato) in altrettanti piani inclinati diatonici. Nel caso di questo Allegretto si tratta di un autentico pezzo di bravura che vede gli strumentisti rincorrersi l'un l'altro con pizzicati semplici o multipli, simultanei o arpeggiati, a strappo o ribattuti, sulla tastiera o sul ponticello, e sempre sotto l'inesorabile pungolo di sincopati, di contrattempi, di strette imitazioni.

Nel movimento di centro del quartetto, Non troppo lento, affiora una delle più tipiche costanti ispirative di Bartók, particolarmente dell'ultimo Bartók: la poesia della notte, cioè, con la sua atmosfera ora sospesa e immota, ora traversata da estrosi potremmo dire rapsodici fremiti sonori che talvolta salgono a canto, in forma qua di monologo (tale il violoncello sull'inizio), più oltre di fiorito dialogo o di gorgheggi, forse d'usignoli. Pagina, insomma, che ferma uno dei più alti momenti di quella creatività timbrica di che fiorisce l'arte strumentale bartokiana.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Composti tra il 1908 e il 1939, i sei Quartetti per archi di Béla Bartók sono considerati da molti studiosi la massima espressione di questa classica formazione cameristica nel secolo scorso. Forse nessun altro compositore del Novecento è riuscito a fondere in modo altrettanto profondo tradizione e innovazione, sguardo verso il passato e slancio verso il futuro: i quartetti bartokiani sono una vera miniera di invenzioni timbriche e formali, ma allo stesso tempo dialogano esplicitamente con la letteratura quartettistica Sette-ottocentesca, soprattutto con Beethoven (per esempio nel gusto per i "giochi" di simmetrie e per le inversioni melodiche, tipico delle tarde opere beethoveniane). A questi elementi si aggiungono poi le caratteristiche consolidate del linguaggio musicale del compositore: l'influenza del canto popolare e la grande vitalità ritmica, che in alcuni istanti - basta citare l'ultimo movimento del Quarto Quartetto - raggiungono effetti di trascinante energia "percussiva" e di altissima suggestione.

Il Quarto Quartetto venne composto nel 1928, neanche un anno dopo il Terzo: evidentemente Bartók sentiva che quest'ultimo brano, tra i suoi più sperimentali, aveva lasciato aperte alcune questioni, o forse aveva fatto nascere nuovi stimoli. Sta di fatto che con il Quarto si apre una fase nuova dell'arte bartokiana. Sembra quasi che il compositore intenda dare più ordine alle sue idee, conciliare la forza del linguaggio musicale sviluppato nel decennio precedente - in opere come Il Mandarino miracoloso, il Primo concerto per pianoforte o il ciclo pianistico All'aria aperta - con un gusto nuovo e straordinario, per l'architettura formale simmetrica che dominerà la sua produzione degli anni Trenta: nel Secondo Concerto per pianoforte, nel Quinto Quartetto e in molte altre opere successive. Detto in altro modo, l'organizzazione simmetrica (la cosiddetta "forma ad arco" bartokiana) funge da contrappeso, riequilibra la violenza delle dissonanze e la dirompente energia ritmica di questa musica.

Il Quartetto è articolato in cinque movimenti, che si richiamano tra loro in una sorta di elaborato gioco di specchi: il primo e l'ultimo movimento sono basati sui medesimi materiali musicali, al punto che, per sottolineare la simmetria, il compositore conclude il quinto movimento con le stesse note del primo. Lo stesso legame si instaura tra il secondo e il quarto movimento, strettamente collegati tra loro anche per la brevità e per il carattere. Sono due "Scherzi", ma bisogna sottolineare che a un ascolto superficiale la parentela tra questi due brani può sfuggire, visto che Bartók costruisce tra loro un rapporto, per così dire, di "deformazione" melodica: il secondo movimento è basato sulla scrittura cromatica, su intervalli "stretti" ed espressivi; il quarto riprende gli stessi materiali ma li espande, trasformandoli da cromatici in diatonici. Un'idea originalissima, che Bartók tornerà a utilizzare in alcuni brani successivi come ad esempio la Musica per archi, celesta e percussioni.

Il Non troppo lento centrale funge da perno dell'intera composizione: è il "seme", come scrisse lo stesso Bartók nell'ampia introduzione alla partitura, protetto da due successive serie di "gusci", uno interno (II e IV movimento) e uno esterno (I e V). La metafora "naturale", l'uso di termini come seme e guscio, è tutt'altro che casuale: una delle riflessioni più fertili e innovative del compositore in questo periodo riguarda proprio i suoni della natura. E una suggestione che si mostra per la prima volta nel quarto brano di All'aria aperta (1926), intitolato Musica della notte, che esplora sulla tastiera del pianoforte un intero repertorio di rumori e di versi di animali: in questa composizione straordinaria viene per la prima volta eliminata la barriera che separa il "suono" dal "rumore", Bartók sembra presagire, con decenni di anticipo, le future ricerche nel campo della musica concreta e della musica elettronica. Il terzo movimento del Quarto Quartetto è la seconda "musica della notte" scritta da Bartók: lo dimostrano i richiami di uccelli lanciati dal primo violino nella sezione centrale e nelle battute conclusive; o anche i lenti accordi iniziali che creano un effetto statico, una sorta di paesaggio sonoro indistinto che viene messo a fuoco gradualmente. Questo risultato viene ottenuto anche grazie a una specifica indicazione esecutiva: Bartók infatti chiede agli strumentisti di alternare il suono vibrato e non vibrato, rendendo quindi di volta in volta il carattere degli accordi immobili più "caldo" o più vitreo.

E proprio l'uso di modalità esecutive e di attacchi del suono insoliti è uno degli aspetti più noti e più ammirati del Quarto Quartetto. I due Scherzi, per esempio, si differenziano (oltre che nella scrittura cromatica/diatonica) soprattutto per l'invenzione timbrica: interamente Con sordino il secondo movimento. Pizzicato il quarto. In quest'ultimo brano la ricerca del compositore si spinge fino all'invenzione di un suono totalmente nuovo: l'idea di pizzicare la corda con tale forza da farla rimbalzare sulla tastiera, con un effetto letteralmente percussivo (un altro evidente tentativo di avvicinare suono e rumore). Effetto che non a caso oggi è universalmente noto come "il pizzicato alla Bartók".

Per finire, una piccola osservazione più specialistica: l'organizzazione simmetrica si ritrova frequentemente anche nella struttura dei materiali tematici del Quarto Quartetto - molti temi si presentano nella doppia forma rectus/inversus, spesso in imitazione - e nella disposizione spaziale degli accordi. Basta osservare l'inizio del terzo movimento, in cui i due violini e la viola suonano un accordo di sei note composto da due gruppi simmetrici di seconde maggiori: lo spazio acustico che separa i due gruppi di tre note viene "riempito" dalla melodia del violoncello, che comincia proprio facendoci sentire le note mancanti al centro dell'accordo (il "seme" melodico, verrebbe da dire). Il particolare si riflette nell'universale, il gusto per la simmetria si ritrova in ogni singolo dettaglio compositivo e contribuisce all'unità e alla grande riuscita estetica di questo quartetto, che non a caso è uno dei brani oggi più frequen-temente eseguili dell'intero repertorio.

Giovanni Bietti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 gennaio 1981
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 5 febbraio 1962
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 350 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 19 settembre 2020