Quartetto per archi n. 1, op. 7, BB 52, SZ 40


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Lento
  2. Allegretto
  3. Allegro vivace
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: 27 Gennaio 1909
Prima esecuzione: Budapest, 19 Marzo 1910
Edizione: Rózsavőlgyi & Társa, Budapest, 1910
Guida all'ascolto (nota 1)

I sei Quartetti di Bartók sono un momento fondamentale nella storia della musica della prima metà del Ventesimo secolo, accanto a quelli dei compositori della Scuola di Vienna: ma mentre le composizioni per Quartetto d'archi di Schönberg - e ancor più quelle di Berg e Webern - non costituiscono un gruppo compatto, i Quartetti di Bartók rivelano, pur nella loro diversità, una grande omogeneità e coerenza. Inoltre ognuno di loro marca una tappa nell'evoluzione del linguaggio di Bartók, segnando un percorso coerente lungo più di trent'anni e intessendo una fitta rete di somiglianze e relazioni con le altre partiture di Bartók.

Tutta l'evoluzione del linguaggio di Bartók può essere tracciata sulla base dei suoi sei Quartetti: la fase della presa di distanza dal post-romanticismo nel primo, la fase espressionista nel secondo, la fase della ricerca più audace e della concentrazione estrema nel terzo, l'adozione della forma ad arco (cinque movimenti disposti in modo concentrico) nel quarto, la fase del riavvicinamento alla tonalità nel quinto, infine il momento del doloroso distacco dall'Ungheria nel sesto (un settimo quartetto restò allo stato di progetto). Non è un caso se Beethoven torna spesso come un paragone ineludibile nei discorsi sui Quartetti di Bartók, perché i Quartetti sono dei gradini ineludibili per giungere alla comprensione dell'arte di questi due musicisti, ma anche perché nessun altro gruppo di Quartetti posteriore a Beethoven propone un così audace rinnovamento della struttura di questo genere.

Il Quartetto n. 1 op. 7 fu probabilmente abbozzato già nel 1907 ma il vero e proprio lavoro di composizione iniziò nel 1908 e fu terminato il 27 gennaio 1909. La prima esecuzione ebbe luogo a Budapest il 19 marzo 1910 col Quartetto Waldbauer-Kerpely, che sarebbe poi diventato un convinto sostenitore di Bartók e Kodàly. La qualità altissima della scrittura quartettistica di Bartók già in questa sua prima prova si spiega con l'esistenza di tre precedenti Quartetti, che l'autore non inserì mai nel suo catalogo ufficiale, considerandoli semplici esercitazioni. Prima opera importante d'un compositore di ventisette anni, questo Quartetto rappresenta una chiave di volta nella produzione di Bartók, realizzando una sintesi dell'eredità beethoveniana e allo stesso tempo proiettandosi verso il futuro. Bartók fa riferimento a Beethoven come suo unico antecedente nel campo del Quartetto, anche se si possono scorgere Wagner e Richard Strauss dietro il suo cromatismo e Reger dietro la densità del suo contrappunto. Si avverte anche qualche traccia della recentissima scoperta di Debussy, che Bartók aveva ignorato nel suo viaggio a Parigi (1905) e che gli era stato rivelato in seguito dal suo amico Kodàly. Prescindendo dalle brevi transizioni, i tre movimenti di questo Quartetto compiono una graduale accelerazione (Lento - Allegretto - Allegro vivace) con una traiettoria spesso paragonata a quella del Quartetto op. 131 di Beethoven. Un altro elemento che avvicina questi due Quartetti è il loro inizio con un passaggio fugato, il cui soggetto è diviso tra i due violini. Pur prendendo spunto dall'esempio beethoveniano, Bartók lo adatta alle sue preoccupazioni del momento, utilizzando nelle prime due battute e mezza tutti i dodici suoni del totale cromatico. Un lungo "divertimento" basato su un ritmo sincopato segue questa esposizione fugata e introduce una nuova sezione, in cui emerge una melodia in tempo rubato. Oscillando tra fa minore e la minore, questo movimento contiene delle ambiguità armoniche che evidenziano la tendenza di Bartók ad allargare le maglie della tonalità.

Un passaggio in terze parallele (vi si può sentire un'eco del terzo atto del Tristano e Isotta) porta senza interruzione all'Allegretto, che riprende la forma classica, con due temi che vengono elaborati e sviluppati a lungo. Questo secondo movimento ruota intorno alla nota si, senza che la tonalità sia chiaramente affermata, anche perché Bartók utilizza in alcuni momenti la scala per toni interi (la cosiddetta "scala di Debussy"). La transizione che porta al terzo movimento si basa sul contrasto tra una formula ritmica e una frase del violoncello che costituisce poi il tema principale dell'Allegro vivace, in cui si ha un esempio della predilezione di Bartók per i finali basati su spunti popolari: in questo caso è il ritmo sincopato del primo tema, che deriva dal folklore ungherese e diventa l'elemento caratterizzante dell'intero movimento.

Mauro Mariani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 30 Marzo 2001


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Ultimo aggiornamento 19 ottobre 2013