Kossuth, poema sinfonico per grande orchestra, BB 31, SZ 21, DD 75


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Kossut
  2. Quale tristezza ti opprime l'animo, dolce mio sposo
  3. La patria è in pericolo!
  4. Una volta vivemmo tempi migliori
  5. Ma poi il nostro destino si volse al peggio...
  6. Su, alla lotta!
  7. Venite, venite prodi guerrieri magiari!
  8. .......
  9. Tutto è finito
  10. C'è il silenzio, il silenzio dappertutto
Organico: ottavino, 3 flauti, 3 oboi, corno inglese, corno inglese piccolo, 2 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 8 corni, 4 trombe, 3 tromboni, 2 tube tenori, baso tuba, timpani, piatti, triangolo, cassa chiara, grancassa, tam-tam, 2 arpe, archi
Composizione: 2 aprile - 18 agosto 1903
Prima esecuzione: Budapest, 13 gennaio 1904
Edizione: Editio Musica, Budapest, 1963
Guida all'ascolto (nota 1)

Il poema «Kossuth» fu composto da Bartok fra il 2 aprile del 1903 e il 18 agosto dello stesso anno; costituisce perciò il secondo lavoro sinfonico del compositore magiaro.

La ragione prima che spinse Bartok a dedicare a Kossuth un'opera musicale fu l'appartenenza del nostro compositore ad un'associazione segreta di patrioti magiari. La composizione di «Kossuth» fu anche un atto d'impegno politico. E non soltanto a livello della decisione preliminare di far della politica con la musica, ma anche a livello delle strutture musicali del poema sinfonico: al punto che la prima esecuzione di «Kossuth» provocò reazioni piuttosto accese, a cominciare dal rifiuto, da parte di un orchestrale austriaco, di suonare un episodio nel quale si beffeggia l'inno austriaco.

Il poema bartokiano segue una precisa traccia didascalica, nella quale è raffigurata, attraverso i singoli episodi, la lotta dell'eroe nazionale magiaro contro gli Asburgo. Il primo episodio («Kossuth») è dominato da un tema, esposto dal fagotto e dal corno, di carattere vigoroso e plastico. Il secondo episodio («Quale tristezza ti opprime l'animo, dolce mio sposo?») introduce un elemento tematico meno incisivo; la melodia - «dolce» come raccomanda la didascalia dell'autore - è affidata al clarinetto, e trova immediato contrasto, poche battute più avanti, nella riproposta vigorosa del tema di Kossuth (qui introdotto dai violoncelli). Il terzo episodio («La patria è in pericolo!») si scatena in un «Vivace» segnato fin dall'inizio da una violenta congiunzione, a piena orchestra, dei temi esposti dai due episodi precedenti. Il quarto episodio («Una volta vivevamo tempi migliori...») si apre con una proposizione musicale dove lo stile bartokiano si impone nella particolare accentuazione ritmica e nella contrapposizione fra diversi metri musicali (3/2 contro 4/4); anche qui, appare, dopo la «corale» scansione degli archi in sordina nelle prime battute, il tema del primo episodio («Kossuth»), introdotto dai violoncelli e dal contrabbasso e subito seguito da una improvvisa violenza sonora della piena orchestra. Il quinto episodio («Ma poi il nostro destino si volse al peggio...») è musicalmente strutturato intorno a due elementi: la fluida linea melodica introdotta dall'oboe e poi ripresa da altri strumenti, e lo scorrevole arpeggiare dell'arpa che viene amplificato, verso la fine dell'episodio, dal moltipllcarsi di rapidi arpeggi che si inseguono attraverso le varie sezioni strumentali. Il sesto episodio («Su, alla lotta!») è costituito da un «Vivace» scattante e ritmato; l'esordio è in «pianissimo» e il tema di base - un'aggressiva e nervosa sequenza melodica sul tipo di quelle che si scateneranno nella partitura del «Mandarino meraviglioso» - si presenta come variante ritmica del tema che apre il poema sinfonico. La violenta concitazione di questa pagina conclude nel settimo episodio («Venite, venite, prodi guerrieri magiari!»), dove l'appello di Kossuth rende inevitabile la ripresa del tema di apertura, qui esposto, in saldo unissono, da otto corni, dalle viole e dai violoncelli; alla breve introduzione tematica, siglata dalla lenta scansione del timpano, segue un «Allegro vivace» che riprende la foga concitata dell'episodio precedente, conducendola fino ad una potente e maestosa amplificazione e, quindi, ad un progressivo distendersi dell'incalzante discorso musicale. L'ottavo episodio (siglato testualmente da una serie di punti di sospensione che concedono all'ascoltatore la piena libertà d'interpretazione) è, nonostante l'ambigua segnatura didascalica, l'episodio forse più esplicito, dal punto di vista concettuale, di tutto il poema; ne dice qualcosa la corrosiva deformazione dell'inno austriaco, la stravolta violenza del materiale sonoro, la drammatica rappresentatività (culminante nella dimensione tragica di questo episodio, nel quale, ciclicamente, il compositore richiama in causa, attraverso una dialettica contrapposizione, i principali temi musicali del poema). Il nono episodio («Tutto è finito!») è costituito dalla funerea dimensione di un «Adagio molto» dominato dal tema di Kossuth. Il decimo episodio («C'è il silenzio, il silenzio dappertutto...») inizia dopo che il precedente «Adagio molto» ha toccato il culmine della tensione drammatica, segnata dall'ossessiva ripetizione di un breve inciso tematico; a questo punto il tema di Kossuth conclude mestamente, perdendosi in una sonorità sempre più «lontana».

«Kossuth» presentato da Bela Bartòk
(testo del programma del poema sinfonico scritto dal compositore nel 1903)

Nella storia ungherese il 1848 è uno degli anni più conosciuti: fu in quell'anno che scoppiò la rivoluzione nazionale ungherese, la guerra per la libertà, lotta a vita e a morte che aveva come scopo la liberazione definitiva dal giogo del dominio austriaco e della dinastia asburgica. Guida ed anima della rivoluzione fu Luigi Kossuth. Nel 1849 gli austriaci, visto che di fronte alle armate ungheresi riportavano una sconfitta dopo l'altra, chiamarono in aiuto i russi, i quali riuscirono a vincere completamente l'esercito ungherese. In apparenza l'esistenza statale ungherese fu annientata per sempre.

Su questi avvenimenti si basa il programma del poema sinfonico «Kossuth».

La composizione consta di 10 parti strettamente interdipendenti, spiegate ciascuna all'inizio da una didascalia.

  1. («Kossuth»). Vuole essere la caratterizzazione di Kossuth.
  2. («Quale tristezza ti opprime l'animo, dolce mio sposo»). La moglie di Kossuth, la sposa fedele, guarda con preoccupazione il volto addolorato, coperto di rughe, de! marito, Kossuth cerca di tranquillizzarla; ma alla fine prorompe da lui il dolore lungamente represso.
  3. «La patria è in pericolo!» Poi si perde assorto nella contemplazione del glorioso passato.
  4. («Una volta vivemmo tempi migliori»)
  5. («Ma poi il nostro destino si volse al peggio...») Il tema presentato dal flauto e dall'ottavino e più tardi dal clarinetto basso intende rappresentare la tirannia degli austriaci e degli Asburgo, la violenza che disprezza il diritto.

Kossuth con queste parole

  1. («Su, alla lotta!») si riscuote dal suo fantasticare; il ricorso alle armi è ormai cosa decisa.
  2. («Venite, venite prodi guerrieri magiari!») E' questo l'appello di Kossuth ai figli della nazione magiara col quale li invita a schierarsi sotto le sue bandiere. Immediatamente dopo segue in fa minore il tema dei guerrieri ungheresi che lentamente si radunano. Kossuth rilancia l'appello (in la minore, due riprese) all'esercito riunito, dopodiché questo fa sacro giuramento di perseverare nella lotta fino alla morte (ritmo di 3/2). Qualche attimo di profondo silenzio e poi
  3. sentiamo il lento avvicinarsi delle truppe austriache nemiche. Il loro tema è costituito dalle 2 battute deformate dell'Inno austriaco (Gott erhalte). Combattimenti si susseguono a combattimenti, gli scontri assumono le caratteristiche di una lotta a vita e a morte, ma alla fine la forza bruta, quantitativamente preponderante prende il sopravvento. S'avvera la grande catastrofe (suono cupo di timpani e tam-tam. fff): i superstiti delle armate ungheresi si danno alla latitanza.
  4. «Tutto è finito», il paese si veste di profondo lutto. Ma anche questo gli viene interdetto. Cosicché
  5. «C'è il silenzio, il silenzio dappertutto».

Giovanni Ugolini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 9 novembre 1966


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Ultimo aggiornamento 16 febbraio 2012