Concerto n. 1 per violino e orchestra, BB 48a, SZ 36


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Andante sostenuto
  2. Allegro giocoso
Organico: violino solista, ottavino, 2 flauti, 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti, clarinetto basso, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 2 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, grancassa, 2 arpe, archi
Composizione: Jászberény, 1 luglio 1907 - Budapest, 5 febbraio 1908
Prima esecuzione postuma: Basilea, 30 maggio 1958
Edizione: Boosey & Hawkes, Londra 1959
Dedica: Steffi Geyer

Il primo movimento è il primo dei Due ritratti BB 48b
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Stefi Geyer era una delle migliori allieve di Jenõ Hubay nella classe di violino dell'Accademia Liszt di Budapest. Bartók la conobbe nel 1907, in occasione di un concerto dell'Accademia, dove il giovane pianista e compositore aveva appena ottenuto una cattedra di pianoforte. Stefi, di diciotto anni, aveva una bellezza melanconica e languida, che unita a un talento musicale di prim'ordine provocò un contraccolpo immediato sull'animo del giovane e brillante docente. Bartók iniziò a corteggiare la giovane violinista a suon d'interminabili lettere, in cui riversava l'ardente flusso delle molteplici idee e riflessioni che ribollivano nella sua mente, spaziando dalla musica alla filosofia, alla religione, alla poesia, alla politica. In termini pratici, la strategia di Bartók si rivelò fallimentare, perché la veemenza e il radicalismo delle sue opinioni, soprattutto in materia di ateismo e di rifiuto della religione, finirono per spaventare la ragazza, che continuava a proclamarsi troppo giovane e inesperta per sostenere quel confronto intellettuale, fino a costringerla a chiudersi in un freddo silenzio, probabilmente penoso per entrambi. Per dare un esempio della mancanza di tatto dell'irruento corteggiatore, un passo di una lettera a Stefi del 27 luglio 1907, scritta durante un viaggio di ricerca sui monti della regione Csik per raccogliere canti popolari, recita: «Lavori il cui contenuto non si eleva oltre una certa altezza possono essere compresi da ragazzi tanto quanto da coloro che 'hanno sofferto molto'. In tali lavori, le emozioni espresse sono più generiche e molto meno complesse, sono emozioni che potrebbero essere appropriatamente espresse più o meno con una parola: dolore, furore, gentilezza, eccetera. Dal momento che un ragazzo ha già fatto esperienza di tali sentimenti, è in grado di provarli. Per esempio, il Concerto per violino di Mendelssohn è uno di questi lavori. Ho accompagnato molte volte questo lavoro quando avevo undici anni, e ricordo assai bene come mi sentivo; in effetti, molto meglio di adesso, perché al presente lo trovo noioso...». Non era probabilmente la frase più galante da dire a una giovane violinista, che sicuramente profondeva tutta l'anima suonando il Concerto di Mendelssohn. In conclusione, verso metà settembre Bartók riceve da Stefi un paio di lettere che mettono definitivamente in soffitta i suoi sogni sentimentali: «Appena ho finito di leggere la tua lettera, ero quasi in lacrime - e questo, come puoi immaginare, non è una cosa che mi accada ogni giorno». Più avanti, l'amareggiato compositore aggiunge una frase significativa, che illustra bene l'atteggiamento di Bartók anche per il resto della sua vita: «Dopo aver letto la tua lettera, mi sono seduto al pianoforte - avevo il triste presentimento che non troverò mai una consolazione nella vita tranne che nella musica».

Il dono d'addio per il suo bell'amore perduto, infatti, è un Concerto per violino, che Bartók invia a Stefi nel febbraio 1908, forse nella vaga speranza di riaccendere in lei la fiammella sentimentale. Anche questa volta andò male, perché come tutta risposta Stefi decise di interrompere i rapporti con l'ingombrante corteggiatore, pur conservando il manoscritto fino all'ultimo giorno. Stefi Geyer divenne poi una violinista di primo piano, ammirata da compositori come Alban Berg e Othmar Schoeck, ma non volle mai eseguire in pubblico né rendere noto il Concerto scritto per lei da Bartók, anche quando negli anni Trenta riallacciò in Svizzera i rapporti con il suo antico spasimante, aiutandolo tra l'altro a espatriare negli Stati Uniti.

Solo dopo la sua morte, avvenuta a Zurigo nel 1956, il lavoro è stato pubblicato e introdotto nel catalogo di Bartók come Primo Concerto. La prima esecuzione avvenne il 30 maggio 1958 a Basilea, con Hans-Heinz Schneeberger come solista e Paul Sacher come direttore. In effetti, più che un vero Concerto, si tratta di una fantasia concertante per violino e orchestra, divisa in due parti. L'intenzione di Bartók era di raffigurare musicalmente la personalità di Stefi, la donna amata nel primo movimento e la violinista ammirata nel secondo. Avrebbe dovuto esserci anche un terzo movimento, nel quale dipingere l'aspetto freddo e distante di Stefi, ma come scrisse l'autore ne sarebbe venuta fuori una musica troppo orribile. L'idea del ritratto è confermata, inoltre, dal fatto che il primo movimento fu poi trasformato nel primo dei Két portré (Due ritratti, BB 48b), eseguiti a Budapest nel 1909 con solista Imre Walbauer. Tuttavia, il Concerto non era soltanto il ritratto di Stefi, ma anche un autoritratto dell'autore, e del travaglio spirituale che stava attraversando in quella fase di transizione. La passione per Stefi, infatti, si tinge fin dall'inizio di un colore tristaniano, con accenti di dolorosa rinuncia all'amore e di piaga incurabile. Il tema stesso di Stefi, intonato in apertura dal violino solo, è una triade di re maggiore alla quale si aggiunge un do diesis, una settima maggiore irrisolta, che crea una tensione melodica spalancata sulla prospettiva dell'infinito.

Numerosi riferimenti musicali al Tristan, nascosti tra le pieghe della preziosa scrittura orchestrale, si mescolano a reminiscenze della musica contadina, scoperta più o meno negli stessi anni in cui si era risvegliata la passione per Stefi. Bartók s'immedesima nella figura di Tristano, che giace ferito a morte nella luce spenta dell'alba sui bastioni di Kareol. In una lettera a Stefi del 27 novembre parla del tema principale nato in 'un'ora grigia'. Questo lontano riferimento al Liebestod di Wagner s'infiltra in maniera sottile nella musica di Bartók, che trae dalla triade con la settima maggiore anche il materiale tematico dell'Allegro giocoso successivo, in una sorta di rovesciamento grottesco e deformato dell'accordo iniziale. Il significato tragico di questo grumo di relazioni è svelato dal contemporaneo Quartetto per archi n. 1, che nasce riprendendo il tema del secondo movimento del Concerto, indicato da Bartók come il suo 'lamento funebre'.

La musica come 'unica consolazione', tuttavia, non va intesa come un banale unguento per lenire le bruciature sentimentali, bensì come la cognizione sempre più chiara e precisa che solo l'arte è in grado di esprimere la complessità dell'esperienza umana, laddove le parole non riescono che a dipingerle in maniera ambigua. Questa rivelazione estetica e morale, legata in particolare alla contemporanea scoperta del pensiero di Nietzsche, e in particolare di Zarathustra, prende forma, paradossalmente, tanto nell'ascolto del Quartetto op. 131 di Beethoven quanto nell'esperienza esaltante della musica contadina. Bartók, forte della conoscenza diretta della realtà rurale, non aveva per niente una visione idealistica e rousseauniana della campagna, di cui aveva sperimentato in prima persona il lato degradante e violento. Eppure, la musica contadina aveva lasciato un'impronta indelebile in lui per la concisione e schiettezza dell'espressione musicale, capace di esprimere senza retorica ed effusione sentimentale la complessità dei sentimenti umani, che non possono essere compressi in una sola parola. Questa nuova convinzione estetica, che accompagnerà Bartók per tutto il resto della vita, si forma proprio a partire dal Concerto per violino nato sull'onda dell'incontenibile passione, o forse dell'immagine di amore e morte costruita inconsapevolmente dentro di sé, per Stefi Geyer. In una lettera del 7 dicembre 1907 a Stefi si scorge un indizio del valore di questo Concerto, che in parte è stato trasferito da Bartók in un altro lavoro, ma in parte era troppo legato alla figura di Stefi per trovare una collocazione per così dire esterna: «Sai che cosa significa questo lavoro per me? No, non lo sai. Ti risponderò così: tutto. E per te?».

Oreste Bossini

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Il Primo Concerto per violino e orchestra è un lavoro giovanile di Bartok riportato alla luce soltanto recentemente. Esso fu composto dal musicista fra il 1907 e il 1908 e fu dedicato alla violinista ungherese Sten Geyer, nelle cui mani il manoscritto rimase, mentre l'opera non veniva registrata né nel catalogo bartokiano compilato da Kodaly, né in quello compilato dal Dille e riveduto dallo stesso Bartok. Dopo la morte della Geyer, il Concerto è riemerso ed è stato eseguito per la prima volta il 30 maggio 1958 al Festival bartokiano di Basilea sotto la direzione di Paul Sacher e con la partecipazione solistica di Hans-Heinz Schneeberger. Oscillante fra un estremo cromaticismo e il caratteristico diatonismo a base modale di cui Bartok si varrà abbondantemente in seguito, il Concerto consta di due tempi: un monotematico Andante sostenuto di introduzione ed un esteso Allegro giocoso rapsodicamente intramezzato da episodi di andamento più lento (Meno allegro e rubato - Poco più sostenuto - Molto sostenuto).

Il materiale del primo tempo fu in seguito utilizzato da Bartok per il primo dei suoi Due Ritratti.

Alberto Pironti


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium parco della Musica, 9 maggio 2019
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 29 ottobre 1961


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Ultimo aggiornamento 22 giugno 2019