Szabadban (All'aria aperta), BB 89, SZ 81


Musica: Béla Bartók (1881 - 1945)
  1. Sippal, dobbal (Con tamburi e pifferi) - Pesante
  2. Barcarola - Andante
  3. Musettes - Moderato
  4. Az éjszaka zenéje (Musica della notte) - Lento
  5. Hajsza (La caccia) - Presto
Organico: pianoforte
Composizione: giugno - agosto 1926
Prima esecuzione: Budapest, 8 dicembre 1926
Edizione: Universal Edition, Vienna, 1927
Dedica: Il n. 4 è dedicato a Ditta Bartók

Guida all'ascolto (nota 1)

Composta nel 1926, l'anno della Sonata per pianoforte e del Primo Concerto per pianoforte e orchestra (che consolidarono la fama di Bartók negli ambienti musicali del tempo), la Suite "All'aria aperta" è forse il capolavoro pianistico del compositore ungherese.

I cinque brevi pezzi che la compongono (la cui durata totale è inferiore ai quindici minuti) sono di un virtuosismo trascendentale, basato su costruzioni timbriche da far tremare i più agguerriti pianisti, e costituiscono l'affermazione di un Bartók romantico, istintivo e visionario, liberamente ispirato dagli aspetti di quella Natura che costituì fondamentalmente il credo e la religione del musicista.

Infatti, il titolo "All'aria aperta", e il suo corrispettivo francese, non traducono fedelmente l'originale ungherese "Szabadban" ("In libertà"), che va inteso non soltanto ne! suo aspetto naturalistico ma anche come libertà formale di composizione.

Il primo brano "Con pifferi e tamburi" alterna le percussioni sul registro basso del pianoforte (ad imitazione dei tamburi) con frasi più distese (di pifferi). La "Barcarola" che segue, nel continuo movimento ondeggiante dei bassi, volutamente asimmetrici, suscita una sensazione di accorata, nostalgica poesia. Il terzo brano, "Musettes", ha un particolare sapore popolare, arricchito da geniali ornamenti melodici e caratterizzato dall'uso di un pedale continuo. "Musiche notturne" è una delle pagine più straordinarie di Bartók, piena di poetiche evocazioni, in un'atmosfera rarefatta e misteriosa, percorsa da sottili fremiti di foglie e lontane grida di sconosciuti uccelli. Sembra un drammatico ricordo, al limite fra l'umano e il surreale, fra la musica e il rumore. L'ultimo brano, ¡l cui titolo più appropriato sarebbe "agitazione" o "palpitazione" piuttosto che "caccia" o "inseguimento", suscita una tensione continua, ossessiva, con l'uso di un mi ostinato del basso contro cui vanno ad infrangersi i deliranti ritmi della mano destra.

Salvatore Caprì


(1)  Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana;
Roma, Teatro Olimpico, 4 maggio 1981


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Ultimo aggiornamento 5 maggio 2016