Suite n. 5 in do minore (con scordatura) per violoncello solo, BWV 1011


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Prélude
  2. Allemande
  3. Courante
  4. Sarabande
  5. Gavotte I
  6. Gavotte II
  7. Gigue
Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825

Trascrizione della Fuga per clavicembalo BWV 955
Introduzione di Segio Sablich alle sei suites per violoncello solo (nota 1)

L'esecuzione integrale delle sei Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750) non è più una rarità nelle consuetudini della vita concertistica, ma costituisce sempre un'esperienza di significato e valore eccezionali. E non soltanto per il violoncellista che è chiamato a compierla, ben sapendo i rischi e le gratificazioni che l'impresa comporta, ma anche per l'ascoltatore che ha la fortuna di beneficiarne. Si mescolano ogni volta, all'ascolto, stupore, ammirazione, smarrimento, perfino sgomento: per come sia possibile concentrare in un solo strumento, per di più prima di Bach estraneo al solismo, tale qualità e varietà di tecnica e di invenzione, di gioco e di spirito, di razionalità e di poesia. Se nelle gemelle Sonate e Partite per violino solo è la natura stessa dello strumento a rendere quasi comprensibile il virtuosismo trascendentale (forse anche grazie alle vicende che ne seguirono nella storia del violino), nelle sei Suites per violoncello, rimaste isolate e irraggiungibili nella loro altezza strumentale e concettuale, si resta ogni volta sbalorditi di fronte all'ardire, a tratti quasi irreale, a cui viene piegata la mole massiccia del violoncello, la sua ombrosa voluminosità. Ma ancor più a colpire sono la profondità, la severità e l'austerità intellettuale unite alla cordialità e all'effusione del sentire, scaturendo dalla medesima tensione verso i confini del possibile strumentale.

Si è soliti collocare queste opere di datazione incerta negli anni di Köthen (1717-1723), durante il periodo di servizio di Bach come Kapellmeister del principe Leopold di Anhalt. Qui, potendo disporre di una cappella di corte che contava eccellenti strumentisti, fra i quali un brillante primo violino come Johann Spiess (probabile destinatario delle Sonate e Partite per violino solo, del 1720) e un virtuoso di violoncello come Christian Bernhard Linigke (probabile primo interprete dei soli per violoncello), Bach potè acquisire nuove esperienze in materia di musica strumentale, e soprattutto coltivare con regolarità una vocazione a lungo ostacolata dagli impegni nella musica di chiesa. Poco sappiamo dei modelli a cui Bach potrebbe essersi ispirato: la forma e lo stile da lui adottati non si agganciano a esempi storici come il ricercare o il canone, ma si orientano invece verso la trasformazione dei movimenti di danza propri della Suite per strumenti a tastiera in strutture libere e in concezioni organizzative e architettoniche nelle quali a prevalere sono i principi del contrappunto, del flusso melodico lineare o polifonico, dell'armonia latente, del timbro cangiante, del ritmo risolto in figurazioni continuamente variate. Ogni stile e maniera, dal patetismo brillante della scuola italiana al funambolismo bizzarro dei virtuosi tedeschi, dal gusto delicato della scuola francese all'essenza figurativa del barocco internazionale, è assimilato e trasfuso da Bach in un compendio d'arte totale, la cui destinazione, viola da gamba o violoncello moderno, sconfina nella pura visione immaginaria.

Della raccolta non ci è pervenuto l'autografo bensì una copia (un tempo ritenuta erroneamente autografa) della moglie di Bach, Anna Magdalena. La prima pubblicazione avvenne solo settantacinque anni dopo la morte dell'autore (Vienna 1825), con il titolo Six Sonates ou Etudes pour le Violoncello solo. Le numerose riedizioni seguite nell'Ottocento le conquistarono il posto d'onore, mai smentito nella letteratura per lo strumento, quale opera essenzialmente didattica, se non precisamente "scolastica": ben più tarda fu la loro acquisizione nelle sale da concerto. Non occorre ribadire che tale destinazione non contraddice affatto la natura della silloge, se intesa nel senso più autenticamente bachiano di opera pedagogica e formativa al tempo stesso di tecnica strumentale e di suprema spiritualità.

Per quanto non sia possibile parlare di un'organizzazione del ciclo secondo corrispondenze simmetriche (tonalmente la disposizione prevede due brani in minore collocati al secondo e al quinto posto tra quattro in maggiore: immagine rovesciata dei soli per violino, quattro in minore e due in maggiore), ciò che accomuna le sei Suites è l'aggiunta ai quattro tempi fondamentali di rito (Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga) di un esteso e caratterizzante (e dunque ogni volta diverso nello stile) Preludio all'inizio e di una coppia di danze (rispettivamente, in quest'ordine, Minuetto I e II nella prima e seconda Suite, Bourrée I e II nella terza e quarta, Gavotta I e II nella quinta e sesta: sempre con da capo, ossia con ripetizione della prima) tra la Sarabanda e la Giga, Ne risulta una costruzione in due grandi sezioni, tra loro speculari, di tre pezzi ciascuna, con al centro la Sarabanda : Preludio - Allemanda - Corrente/ Sarabanda/Danza I - Danza II - Giga.

La Sarabanda, in tempo lento e intesa invariabilmente come momento di massima concentrazione espressiva, finisce così per assumere la funzione di pilastro portante della duplice arcata dell'intera struttura unitariamente concepita: da un lato punto di scarico delle tensioni accumulate dai primi tre brani, dall'altro impulso capace di rilanciare, dopo una pausa di meditazione, la dinamica degli ultimi tre movimenti.

Guida all'ascolto 1 (nota 2)

Le sei Suites per violoncello solo di Bach rivestono notevole importanza per la storia di questo strumento, perché con esse ha inizio la letteratura tedesca per il violoncello visto in tutti i suoi risvolti tecnici ed artistici. Infatti fino al XVII secolo la funzione del violoncello era stata quella di un semplice strumento di accompagnamento che, eseguendo la parte del basso, sosteneva il canto nel corso delle cerimonie religiose e durante le esecuzioni di piccoli complessi cameristici. La sua evoluzione e la sua affermazione in campo solistico furono in un certo senso ostacolate sia dal predominio allora incontrastato della viola da gamba nell'orchestra e sia dalle difficoltà tecniche, in quanto richiedeva all'esecutore una non comune forza digitale per la formazione dei suoni, a causa dello spessore delle corde e delle sue notevoli dimensioni. Fu attraverso i Ricercari per violoncello solo, con un Canone e due violoncelli et alcuni Ricercari per violoncello e basso continuo di Domenico Gabrielli (1689), i Ricercari sopra il violoncello o clavicembalo op. 1 di Giovanni Battista degli Antonii (1687) e le Sonate per violoncello solo op. 1 di Giuseppe Maria Jacchini (1694) che il violoncello acquisì in Italia una sua precisa dimensione solistica, anche per merito dei nostri maestri liutai che contribuirono a costruire strumenti ad arco sempre più perfetti. Non c'è dubbio che le Suites di Bach si collocano in questo alveo storico e rientrano nel processo di affrancamento del violoncello dai compiti modesti ai quali la tradizione l'aveva relegato, per assumere un ruolo autonomo sempre più significativo nello sviluppo della musica strumentale.

Le sei Suites per violoncello (BWV 1007 - BWV 1012) furono composte verso il 1720 a Köthen, dove Bach ricoprì l'incarico di Kapellmeister nel periodo tra il 1717 e il 1722 e alle dipendenze del principe Leopold di Anhalt. Periodo fecondo per il musicista che scrisse lavori come il Klavierbuchlein contenente le Invenzioni a due e a tre voci e alcuni preludi del Clavicembalo ben temperato, i Concerti brandeburghesi e le Partite per violino solo. Del resto l'ambiente di corte del principe Leopold offriva occasioni favorevoli alla pratica strumentale di Bach, che aveva a disposizione una buona orchestra e non era assillato dalla composizione di pezzi religiosi, dato il culto calvinista preponderante in questa città che riduceva al minimo l'uso delle forme rituali. In tal modo Bach potè approfondire la conoscenza degli strumenti ad arco e scrivere diverse suites, sonate e partite dedicate al violino, al violoncello e alla viola da gamba. Sotto le sue mani tali strumenti acquistarono una fisionomia polifonica, oltre ad un rigoroso impianto contrappuntistico, che è una delle componenti fondamentali dell'arte bachiana. Nelle Suites per violoncello Bach si richiamò ad una delle forme strumentali più diffuse del periodo barocco, appunto la suite, coltivata dai maestri italiani, francesi e tedeschi, cercando di rendere più varia e articolata la tessitura linguistica di tali composizioni, sia nei pezzi clavicembalistici che in quelli orchestrali. La suite, che risale al primo Medioevo, era una successione di movimenti ispirati ad arie di danze, secondo lo schema allemanda-corrente-sarabanda-giga, improntato al principio dell'unità tonale. Tra la sarabanda e la giga, parti fisse della suite, si collocano abitualmente gli intermezzi, brevi danze di stile più libero, come il minuetto, la gavotta, la bourrée e la loure, allo scopo di dare a questa forma musicale un carattere più diversificato nella melodia e nel ritmo. Ogni suite è preceduta da un preludio in cui praticamente viene impostato da Bach il discorso armonico e contrappuntistico, prima dello svolgimento delle danze vere e proprie elaborate su distinte e contrastanti tonalità.

Le sei Suites per violoncello (il titolo preciso è Six Sonates ou Études pour le violoncello solo, secondo la prima edizione a stampa apparsa nel 1825 a Vienna) sono dedicate a Christian Ferdinand Abel, un esperto violoncellista dell'orchestra di corte di Köthen e racchiudono un campionario di difficoltà tecniche che richiedono la presenza di un solista di straordinaria sicurezza e bravura virtuosistica.

La Suite n. 5 in do minore, detta anche "suite discordable", perché accordata un tono sotto (sol invece del la) si apre con un Preludio dalle caratteristiche della ouverture dei pezzi orchestrali dell'epoca, cioè un brano dai ritmi puntati seguito da una fuga in 3/8. L'adagio introduttivo, infatti, dalla melodia fortemente espressiva è interrotto da un tema di fuga, rapido e veloce. L'Allemanda non presenta annotazioni rilevanti nel suo ritmo di danza di largo respiro. La successiva Corrente è una danza di tipo francese, uguale a quelle scritte da Bach per la musica clavicembalistica: le battute conclusive di ogni sezione presentano uno spostamento di accento da un tempo di 3/2 ad un tempo in 6/4. La Sarabanda si snoda con semplicità e piacevolezza musicale e, prima di giungere alla Giga finale dalle figurazioni ritmiche puntate, si possono apprezzare due gavotte, pervase da un senso gioiosamente vitalistico della musica, espresso con brillantezza di arcate dal violoncello. La Gavotta II ha uno svolgimento più rapido rispetto alla prima per la presenza di un ritmo di terzine.

Guida all'ascolto 2 (nota 3)

Nel 1717 Bach fu chiamato alla corte di Cöthen con la qualifica di maestro di cappella e direttore della musica da camera del Principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen. Il principe era un musicista provetto, e Bach lo ricorderà come un amico ed un vero conoscitore della sua arte. A prescindere da alcuni viaggi Bach trascorse gli anni di Cöthen senza contatti col pubblico. La città provinciale non aveva vita musicale al di fuori della corte, e per quel cenacolo di professionisti, con alla testa il principe Leopoldo, Bach compose la maggior parte della propria musica strumentale. Fra i componenti dell'orchestra il più rinomato era la viola da gamba Christoph Ferdinand Abel. E' facile arguire che Abel sia stato il destinatario delle suites per violoncello solo, o almeno delle prime cinque. La sesta è scritta per la viola pomposa, una grande viola da braccio, ideata e suonata dallo stesso Bach. A differenza delle suites e delle sonate per violino solo, sovente appassionate e tanto più varie, le suites per violoncello si attengono ad una sobrietà costante, che infonde allo strumento, adoprato soprattutto nel registro medio grave, un tono appena solenne. Sono tutte in sei parti, e la quinta (bourrée, minuetto o gavotta) ha funzione di diversivo, in quanto la stroficità del metro la ricollega più direttamente alla danza.

Il Preludio della Suite in do minore ha la forma di una ouverture francese (adagio-allegro). Anche l'Allemanda resta nello spirito barocco, e indugia nelle caratteristiche figurazioni puntate; così pure la Corrente, ridondante nelle sue corde doppie, rinvia alla musica di corte francese. La Sarabanda è una lirica monodia arpeggiata a note eguali. La Gavotta I, con le sue frequenti appoggiature, ha certo carattere bizzoso, la Gavotta II scorre placida in terzine. La Giga torna al ritmo puntato del barocco francese.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 4)

Detta Suite discordable perché per essa Bach aveva prescritto la «scordatura» della corda più alta dello strumento, il «la», abbassandone all'intonazione al sol, secondo una prassi abbastanza frequente nelle stesse scuole violinistiche italiane, e ripresa ancora da Paganini, la quinta Suite si distingue segnatamente dalle altre sorelle per la straordinaria importanza che in essa viene ad assumere il Preludio. Si tratta di una vera e propria Ouverture alla francese, bipartita: dapprima una intensa, meditazione in tempo lento, d'impianto largamente polifonico; poi una lunga parte più mossa, caratterizzata da un movimento tipicamente contrappuntistico. Tutta la Suite, parallelamente a quanto avviene per la seconda nell'ambito complessivo delle prime tre, si propone come un momento di ripiegamento e di concentrazione espressiva frammezzo alla ben diversa vitalità di quella che la precede e di quella che la segue. Il carattere del Preludio si riverbera su tutti i brani successivi, trasfigurandoli fino ad annullare ogni ricordo di danza: una tendenza ben presente nell'Allemande e nella Courante, e spinta all'estremo nel trasumanato soliloquio della Sarabande. Il penultimo movimento della Suite è costituito da una coppia di Gavotte: ancora una volta una struttura accordale (Gavotte I) interrotta da un brano di struttura puramente lineare (Gavotte II), articolato in un ininterrotto fluire di terzine. La Gigue è vivacizzata dalla presenza, di un ritmo puntato che la percorre nervosamente dal principio alla fine.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 marzo 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 aprile 1986
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 10 dicembre 2015
(4) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro della Pergola, 18 giugno 1980


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Ultimo aggiornamento 23 novembre 2017