Suite n. 2 in re minore per violoncello solo, BWV 1008


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Prélude
  2. Allemande
  3. Courante
  4. Sarabande
  5. Menuet I
  6. Menuet II (sol minore)
  7. Gigue
Organico: violoncello
Composizione: 1720
Edizione: H. A. Probst, Vienna, 1825
Introduzione di Segio Sablich alle sei suites per violoncello solo

L'esecuzione integrale delle sei Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750) non è più una rarità nelle consuetudini della vita concertistica, ma costituisce sempre un'esperienza di significato e valore eccezionali. E non soltanto per il violoncellista che è chiamato a compierla, ben sapendo i rischi e le gratificazioni che l'impresa comporta, ma anche per l'ascoltatore che ha la fortuna di beneficiarne. Si mescolano ogni volta, all'ascolto, stupore, ammirazione, smarrimento, perfino sgomento: per come sia possibile concentrare in un solo strumento, per di più prima di Bach estraneo al solismo, tale qualità e varietà di tecnica e di invenzione, di gioco e di spirito, di razionalità e di poesia. Se nelle gemelle Sonate e Partite per violino solo è la natura stessa dello strumento a rendere quasi comprensibile il virtuosismo trascendentale (forse anche grazie alle vicende che ne seguirono nella storia del violino), nelle sei Suites per violoncello, rimaste isolate e irraggiungibili nella loro altezza strumentale e concettuale, si resta ogni volta sbalorditi di fronte all'ardire, a tratti quasi irreale, a cui viene piegata la mole massiccia del violoncello, la sua ombrosa voluminosità. Ma ancor più a colpire sono la profondità, la severità e l'austerità intellettuale unite alla cordialità e all'effusione del sentire, scaturendo dalla medesima tensione verso i confini del possibile strumentale.

Si è soliti collocare queste opere di datazione incerta negli anni di Köthen (1717-1723), durante il periodo di servizio di Bach come Kapellmeister del principe Leopold di Anhalt. Qui, potendo disporre di una cappella di corte che contava eccellenti strumentisti, fra i quali un brillante primo violino come Johann Spiess (probabile destinatario delle Sonate e Partite per violino solo, del 1720) e un virtuoso di violoncello come Christian Bernhard Linigke (probabile primo interprete dei soli per violoncello), Bach potè acquisire nuove esperienze in materia di musica strumentale, e soprattutto coltivare con regolarità una vocazione a lungo ostacolata dagli impegni nella musica di chiesa. Poco sappiamo dei modelli a cui Bach potrebbe essersi ispirato: la forma e lo stile da lui adottati non si agganciano a esempi storici come il ricercare o il canone, ma si orientano invece verso la trasformazione dei movimenti di danza propri della Suite per strumenti a tastiera in strutture libere e in concezioni organizzative e architettoniche nelle quali a prevalere sono i principi del contrappunto, del flusso melodico lineare o polifonico, dell'armonia latente, del timbro cangiante, del ritmo risolto in figurazioni continuamente variate. Ogni stile e maniera, dal patetismo brillante della scuola italiana al funambolismo bizzarro dei virtuosi tedeschi, dal gusto delicato della scuola francese all'essenza figurativa del barocco internazionale, è assimilato e trasfuso da Bach in un compendio d'arte totale, la cui destinazione, viola da gamba o violoncello moderno, sconfina nella pura visione immaginaria.

Della raccolta non ci è pervenuto l'autografo bensì una copia (un tempo ritenuta erroneamente autografa) della moglie di Bach, Anna Magdalena. La prima pubblicazione avvenne solo settantacinque anni dopo la morte dell'autore (Vienna 1825), con il titolo Six Sonates ou Etudes pour le Violoncello solo. Le numerose riedizioni seguite nell'Ottocento le conquistarono il posto d'onore, mai smentito nella letteratura per lo strumento, quale opera essenzialmente didattica, se non precisamente "scolastica": ben più tarda fu la loro acquisizione nelle sale da concerto. Non occorre ribadire che tale destinazione non contraddice affatto la natura della silloge, se intesa nel senso più autenticamente bachiano di opera pedagogica e formativa al tempo stesso di tecnica strumentale e di suprema spiritualità.

Per quanto non sia possibile parlare di un'organizzazione del ciclo secondo corrispondenze simmetriche (tonalmente la disposizione prevede due brani in minore collocati al secondo e al quinto posto tra quattro in maggiore: immagine rovesciata dei soli per violino, quattro in minore e due in maggiore), ciò che accomuna le sei Suites è l'aggiunta ai quattro tempi fondamentali di rito (Allemanda, Corrente, Sarabanda e Giga) di un esteso e caratterizzante (e dunque ogni volta diverso nello stile) Preludio all'inizio e di una coppia di danze (rispettivamente, in quest'ordine, Minuetto I e II nella prima e seconda Suite, Bourrée I e II nella terza e quarta, Gavotta I e II nella quinta e sesta: sempre con da capo, ossia con ripetizione della prima) tra la Sarabanda e la Giga, Ne risulta una costruzione in due grandi sezioni, tra loro speculari, di tre pezzi ciascuna, con al centro la Sarabanda: Preludio - Allemanda - Corrente/Sarabanda/Danza I - Danza II - Giga.

La Sarabanda, in tempo lento e intesa invariabilmente come momento di massima concentrazione espressiva, finisce così per assumere la funzione di pilastro portante della duplice arcata dell'intera struttura unitariamente concepita: da un lato punto di scarico delle tensioni accumulate dai primi tre brani, dall'altro impulso capace di rilanciare, dopo una pausa di meditazione, la dinamica degli ultimi tre movimenti.

Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Il carattere austero della Suite n. 2 è affermata fin dal Preludio dalla sua tonalità, re minore. Come ha scritto Alberto Basso nella sua monografia bachiana intitolata Frau Musika, le pagine introduttive delle Suites per violoncello «non soltanto presentano un campionario di difficoltà tecniche colte con il ricorso costante ad un pensiero "lineare", dilatato in figure ostinate e ripetitive, sostenuto da pedali al limite dell'ossessione, da mutazioni armoniche in progressione, da figure ritmiche ricorrenti, dalla regolare pulsazione alternata di gruppi di note "sciolte" e "legate", da insistenti passaggi in scala, ma obbediscono anche ad una concezione musicale in cui l'esercitazione, l'exercitium è il solo terreno sul quale si conquista e acquisisce il significato della musica». In questo brano il contrappunto lineare trova la sua più coerente applicazione nella continuità dell'elaborazione: unica concessione al virtuosismo improvvisativo sono le ultime quattro battute con l'arpeggio cadenzante su tre corde. Lo spirito decisamente compunto di questo Preludio informa anche l'Allemanda che segue, tutta disposta su arcate ampie e luminose, mentre nella Corrente prende maggiore spicco l'elemento giocoso. La Sarabanda, con il suo rilevante peso accordale, evoca un'atmosfera arcana e notturna, di misteriosa, profonda suggestione. Qui l'arte del "cantabile" emerge con particolare intensità soprattutto nelle progressioni della seconda sezione (16 battute, contro le 12 della prima parte), unendo lo slancio al ripiegamento. Il Minuetto I è orientato in senso armonico, mentre il secondo, nel tono maggiore, si sviluppa in direzione melodica. La Giga scioglie finalmente la tensione accumulata in un brano di grande brio strumentale, con passi polifonici insistiti e ritmi via via sempre più serrati.

Sergio Sablich

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nel 1717 Bach fu chiamato alla corte di Cöthen con la qualifica di maestro di cappella e direttore della musica da camera del Principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen. Il principe era un musicista provetto, e Bach lo ricorderà come un amico ed un vero conoscitore della sua arte. A prescindere da alcuni viaggi Bach trascorse gli anni di Cöthen senza contatti col pubblico. La città provinciale non aveva vita musicale al di fuori della corte, e per quel cenacolo di professionisti, con alla testa il principe Leopoldo, Bach compose la maggior parte della propria musica strumentale. Fra i componenti dell'orchestra il più rinomato era la viola da gamba Christoph Ferdinand Abel. E' facile arguire che Abel sia stato il destinatario delle suites per violoncello solo, o almeno delle prime cinque. La sesta è scritta per la viola pomposa, una grande viola da braccio, ideata e suonata dallo stesso Bach. A differenza delle suites e delle sonate per violino solo, sovente appassionate e tanto più varie, le suites per violoncello si attengono ad una sobrietà costante, che infonde allo strumento, adoprato soprattutto nel registro medio grave, un tono appena solenne. Sono tutte in sei parti, e la quinta (bourrée, minuetto o gavotta) ha funzione di diversivo, in quanto la stroficità del metro la ricollega più direttamente alla danza.

La Suite in re minore è fra tutte la più breve. Il Preludio e l'Allemanda hanno andatura moderata. La Corrente è vivace. Bellissima la Sarabanda, giocata nella mossa d'apertura sulle risonanze gravi del violoncello. Il I Minuettto è pomposo ed il II lirico. La Giga è bizzarra ed irascibile.

Gioacchino Lanza Tomasi

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

Il carattere più patetico della seconda Suite è affermato fin dal lungo Preludio, dove il discorso si frammenta in brevi incisi, spesso coronati, dopo un moto ascendente, da cesure e sospensioni sulla nota più alta: una lunga sospensione prepara la parte conclusiva, che sfocia in una cadenza ampia e solenne. Ugualmente venata di drammaticità è l'Allemande, caratterizzata dal ricorso a corde triple e quadruple e da una inquieta articolazione ritmica; viceversa la Courante, pur non alterando la fisionomia espressiva dell'opera, si svolge secondo un'andatura scorrevole, in una più tranquilla scansione metrica. Nella Sarabanda si affacciano più dichiarate ambizioni polifoniche, a sottolineare la straordinaria concentrazione espressiva realizzata dalle tormentate articolazioni ritmiche e melodiche. Nella coppia dei Minuetti, tocca stavolta al secondo - l'unico brano in maggiore di tutta la Suite - rappresentare il momento della distensione, nel quadro complessivo di un'opera dalle tinte oscure e dolorose: un carattere cui la rapida Giga finale riesce in parte a sottrarsi, grazie anche a una certa bizzarria accennata da alcune proposte ritmiche.

Daniele Spini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 16 marzo 2001
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 10 dicembre 1974
(3) Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Maggio Musicale Fiorentino,
Firenze, Teatro Comunale, 15 giugno 1980


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Ultimo aggiornamento 22 novembre 2017