Sonata n. 2 in la maggiore per violino e clavicembalo, BWV 1015


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Allegro assai
  2. Andante un poco (fa diesis minore)
  3. Presto
Organico: violino, clavicembalo
Composizione: 1720
Edizione: Nägeli, Zurigo, 1802
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Era nelle legittime aspettative di Bach, Konzertmeister nella cappella ducale di Weimar, la chiamata al posto di Kapellmeister quando si fosse dovuto provvedere alla sostituzione del titolare di quella carica. Circostanze non chiare, ma che comunque portarono ad una "caduta in disgrazia" del grande organista, non consentirono che alla morte di Johann Samuel Drese - il 1° dicembre 1716 - Bach fosse nominato al posto da lui tanto ambito. Sta di fatto che in quel 1716 la produzione bachiana, prima intensa e continuativa, subì per quanto riguarda il settore "ufficiale" - quella, cioè, legata al culto ed alle manifestazioni solenni - una notevole diminuzione: unicamente quattro cantate, mentre nel successivo 1717 tale produzione si ridusse addirittura allo zero assoluto, a testimonianza d'una definitiva emarginazione del musicista dalla vita pubblica.

La nuova situazione dovette costringere Bach a cercarsi un nuovo impiego; fu naturale che egli tentasse di ottenere qualcosa attraverso la mediazione della sposa del duca Ernst August di Sassonia-Weimar (nipote del duca Wilhelm Ernst, col quale Bach era entrato in conflitto): Eleonore Wilhelmine di Sassonia-Merseburg (questo il nome della duchessa) era sorella del principe Leopold di Anhalt-Coethen, il quale non solo teneva al proprio servizio un'eccellente cappella musicale, ma era egli stesso buon musicista. Fu lo stesso principe Leopold ad offrire a Bach il posto di Kapellmeister a Coethen, resosi vacante col trasferimento a Berlino del titolare, Augustinus Reinhard Stricker. Bach accettò l'incarico e la nomina gli fu notificata il 5 agosto 1717; il duca Wilhelm Ernst di Sassonia-Weimar, tuttavia, rifiutò il permesso al suo Konzertmeister. Qualche mese dopo Bach tornò alla carica e, per tutta risposta, il duca lo fece porre agli arresti: incarcerato il 6 novembre, Bach fu dimesso il 2 dicembre e potè finalmente lasciare Weimar, raggiungendo con la la moglie e i quattro figli la non lontana Coethen. Ora gli si aprivano nuove prospettive artistiche ed economiche: la carica di Kapellmeister, raggiunta all'età di 32 anni, lo collocava in una posizione privilegiata, al vertice della scala dei valori, tanto più che la cappella di Coethen in quel tempo godeva d'un considerevole prestigio.

Gli avvenimenti qui sommariamente riportati portarono in effetti ad un cambiamento radicale nella vita privata e nella vita artistica di Bach. La corte di Coethen era di confessione calvinista: ora, è noto che quella confessione - la cosiddetta Chiesa Riformata - non consentiva l'impiego della musica in chiesa, al di fuori del canto puro e semplice dei corali liturgici; escluso era pure l'uso dell'organo. Bach, che sino a quel momento aveva legato la propria professione alla chiesa, si trovò improvvisamente costretto a cambiare direzione e a dedicarsi alla camera, ad una produzione esclusivamente strumentale e destinata ad un consumo, diciamo così, "mondano".

Il repertorio di musiche affrontato da Bach a Coethen prevede da un lato una serie di musiche per l'orchestra (il Collegium musicum di corte) e dall'altro lato opere per strumenti solisti, scritte verosimilmente per i «virtuosi della camera del principe» o, nel caso delle musiche clavicembalistiche, per i propri famigliari ed allievi; ouvertures e concerti da un lato, sonate e suites o partite dall'altro. Al violino Bach riservò un trattamento particolare, testimoniato oltre che dall'impiego solistico in taluni dei sei "concerti brandeburghesi" (il primo, il secondo, il quarto e il quinto), da alcuni concerti, tre dei quali soltanto sono a noi pervenuti nella veste originale: due per violino e uno per due violini, mentre quello notissimo per violino ed oboe è una ricostruzione fatta sulla base della trascrizione bachiana per due clavicembali. Ma la parte più significativa della produzione violinistica di quegli anni intorno al 1718-22 è data da due raccolte contenenti l'una tre sonate e tre partite per violino solo, l'altra sei sonate per violino e cembalo obbligato; a quest'ultima raccolta si devono poi aggiungere altre due sonate pervenute in due distinti manoscritti. Si può ragionevolmente supporre, tuttavia, che queste quattordici, composizioni violinistiche rappresentino soltanto una parte d'una attività creativa che dovette essere ben più corposa.

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La raccolta delle sei sonate per violino e cembalo, secondo l'inesatta dizione universalmente accettata, si può dunque collocare negli anni 1718-1722. Sul destino di simili opere potrebbero essere ugualmente validi i nomi di Pisendel e di Spiess, ma a questi potrebbe aggiungersi anche quello di un altro violinista, membro della cappella di Coethen, Martin Friedrich Marcus il quale con molta probabilità condivise con lo Spiess, e forse anche con Bach stesso, la responsabilità di eseguire i concerti per due e per tre violini che il Kapellmeister apprestò in quegli anni. La raccolta in questione non ci è pervenuta attraverso un manoscritto autografo, ma attraverso alcune copie, due delle quali particolarmente importanti. La prima (databile fra il 1748 e il 1758) è dovuta a Johann Cristoph Altinkol, genero di Bach, e contiene oltre alle sei sonate (che il copista indica come Sechs Trios für Clavier und die Violine) anche la Sonata in si minore (BWV 1030) per flauto e cembalo e un Trio di Carl Philipp Emmanuel Bach. Il secondo manoscritto (copiato da tre diverse «mani») porta il titolo Sei Suonate (sic!) / à / Cembalo certato è / violino Solo, col / Basso per Viola da Gamba accompagnata / se piace / composte / da / Giov: Sebast: Bach e congloba le parti autografe del cembalo per i tempi 3-5 della Sesta Sonata. La prima edizione di tali opere è contemporanea a quella delle tre sonate e partite: il 1802, presso H. G. Nägeli di Zurigo.

La raccolta reca evidenti i segni d'una derivazione dalla sonata a tre secentesca, che Bach fra l'altro coltivò ancora - con caparbia ostinazione e quasi per ribadire il suo dissenso dalla nuova musica - durante gli ultimi anni di Lipsia. A parte la presenza del basso continuo che può essere affidato ad libitum alla viola da gamba, raddoppiando la funzione svolta dalla mano sinistra del clavicembalo, v'è da notare che la mano destra dello strumento a tastiera è concepita come la parte di un secondo violino. Il precedente storico che Bach sembra invocare con maggiore chiarezza è la sonata di tipo corelliano, qui modificata secondo una prospettiva di musica concertante più slanciata e completa. Come talune altre opere contemporanee (le tre sonate per viola da gamba e cembalo, le quattro sonate per flauto traverso e cembalo), anche queste sei sonate risentono di vari apporti tradizionali e paiono germinate almeno dalla confluenza di due diversi tipi di impostazione stilistica: quello della scuola italiana, che è prevalente, e quello della scuola nordica. Su questo duplice aspetto sapientemente dosato Bach costruisce la sua opera con un'ariosità di concezione che ancora una volta pone queste sonate fra le migliori che quell'epoca abbia prodotto.

La Sonata in la maggiore BWV 1015 è la più nota del gruppo e si distingue per varietà di espressione nei tre movimenti. Un Andante delicatamente cantabile è collocato tra un Allegro di stile concertante, con un singolare arpeggio su un lungo pedale del basso (mano sinistra del pianoforte) e un Presto bipartito in fa diesis minore, che si sviluppa in forma di canone.

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Nulla si sa sulle circostanze che indussero Johann Sebastian Bach a comporre le Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo BWV 1014-1019; tuttavia è generalmente accettata l'ipotesi che risalgano anch'esse, come buona parte della produzione strumentale bachiana, agli anni trascorsi dal musicista al servizio del principe Leopold di Anhalt-Köthen (1717-23). Da notare è che le sei Suonate furono verosimilmente composte, o quanto meno assemblate, dall'autore come raccolta, forse in origine destinata alla pubblicazione; a testimoniare l'organicità del ciclo concorre, oltre alla tradizione testuale, la concezione unitaria, riscontrabile soprattutto nelle prime cinque sonate. Per ciò che riguarda lo stile, la particolare novità della raccolta è posta in evidenza già dal titolo: Sei Suonate a cembalo concertato e violino solo, col basso per viola da gamba accompagnata se piace. L'indicazione del cembalo prima dello strumento melodico, il violino, contraddice la consuetudine dell'epoca e sottolinea il ruolo obbligato e concertante dello strumento a tastiera, mentre il raddoppio di rinforzo del basso con una viola da gamba è opzionale («se piace»). In altri termini, si tratta di autentiche sonate a tre in cui la mano destra del cembalo interagisce con il violino come parte melodica di pari dignità e importanza (o addirittura preponderante), in un costante intreccio dialogico; se si considera inoltre che il basso (cioè la mano sinistra del cembalo) tende spesso ad assumere un'attiva rilevanza contrappuntistica nell'insieme si comprende la complessità e l'integrazione dell'ordito compositivo che caratterizza queste composizioni. Complessità e integrazione che, tra l'altro, rendono irrilevante il fatto che le Sonate, o per lo meno alcuni loro movimenti, possano essere trascrizioni di più antiche sonate a tre per due strumenti melodici e basso.

Dal punto di vista formale, le prime cinque sonate della raccolta sono improntate al modello della sonata da chiesa in quattro movimenti (Adagio - Allegro - Adagio - Allegro) mentre la sesta, che fa corpo a sé per diverse ragioni, è riconducibile piuttosto all'archetipo della sonata da camera e conta cinque movimenti. In tutte le Sonate appare comunque decisivo, sul piano tanto della forma quanto della scrittura, il ricorso alle opzioni offerte dallo stile concertante. A tale proposito si nota che, al di là delle diverse configurazioni formali assunte, i movimenti mossi sono autentiche fughe o fugati, dove l'articolazione strutturale tra le sezioni con funzione di esposizione tematica (ritornelli) e quelle che valgono come divertimenti (episodi) è sottolineata da differenze tematiche, di tessitura e sonorità. E un ulteriore aspetto della raccolta si coglie nel riferimento, tanto formale quanto espressivo, ai tempi di danza stilizzata propri della suite e della partita. Con l'eccezione della Siciliana con cui s'apre la Sonata n. 4, i movimenti lenti denotano una forma unitaria, ma di volta in volta realizzata da Bach con fantasia tale da delineare variazioni su basso ostinato, canoni e altre soluzioni compositive nel segno di una straordinaria intensità espressiva. Oltre alla molteplicità delle risorse offerte dalla fuga e dal canone, nonché dalle tecniche concertanti, il rapporto tra i due strumenti prospetta due ulteriori essenziali modalità d'interazione: il cembalo suona una realizzazione obbligata, e per così formalizzata, del basso continuo oppure si propone rispetto al violino come controparte indipendente a tutti gli effetti.

L'indicazione dolce connota l'affettuosa cifra espressiva e l'intonazione pastorale del primo movimento della Sonata n. 2 in la maggiore BWV 1015. Il periodo iniziale è condotto come un libero canone tra le tre parti, che prosegue anche nel secondo periodo sino all'ultima sezione del movimento, dove i motivi tematici del canone ispirano un vario intreccio contrappuntistico a coinvolgere sempre tutte e tre le parti. La fuga dell'Allegro successivo è tra i movimenti della raccolta di più marcato stampo concertante. Anche qui, come nel secondo movimento della Sonata n. 1, si delinea una forma ternaria. La prima parte coincide con l'esposizione della fuga. Al centro della forma si collocano un episodio modulante, basato su motivi tematici del soggetto e nuovi elementi figurali, quindi la sua prosecuzione con un vivace gioco di dinamiche contrastanti (forte/piano). Oltre che nella natura squillante del soggetto stesso della fuga, è proprio in questa sezione e nella conclusione dell'episodio su pedale di dominante, dove motivi tematici interagiscono con arpeggi del violino, che emerge nitidissimo lo spirito concertante del movimento. La conclusione spetta alla ripresa dell'esposizione. Pezzo di particolare virtuosismo compositivo, il terzo movimento, Andante un poco, è un malinconico e introverso canone all'unisono per il violino e la mano destra del cembalo sugli arpeggi staccati del basso. Alla prima arcata seguono la seconda e una ripresa abbreviata della prima arcata; il movimento si conclude con una sospensione sulla dominante di fa diesis minore. Il Presto finale, in danzante tempo di Gavotte, è una fuga inscritta entro una forma binaria, le cui parti sono replicate. La prima coincide con un'articolata esposizione seguita da un breve episodio; la seconda incomincia con un episodio basato su un tema derivato dal soggetto e si chiude con una ripresa abbreviata dell'esposizione.

Cesare Fertonani


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 aprile 1986
(2) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 185 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 21 aprile 2017