L'odierna filologia bachiana esclude categoricamente che la Suite in sol minore, tradizionalmente annoverata come «quinta» tra quelle di sicura paternità e contrassegnata col numero di catalogo BWV 1070, sia opera del Cantor di Lipsia. Varie sono le ipotesi di attribuzione, proposte dagli studiosi, ma la più probabile è quella che ne indicherebbe come autore un altro Bach, Wilhelm Friedmann, il figlio maggiore di Johann Sebastian, nonché pecora nera della famiglia. E' accertato che speculò sul nome del padre, vuoi spacciando come proprie composizioni inedite di lui, vuoi fregiando di un nome illustre (e Bach fu sempre tale, almeno nella stima dell'elite musicale del tempo) le partiture proprie. Questo sarebbe proprio il caso delia Suite in sol minore anche se si tratta pur sempre di opera pregevolissima, degna, del resto, di quel musicista di grande talento che era Wilhelm Friedmann, non a caso prediletto dai padre. La vecchia Suite barocca di matrice francese vi celebra i suoi ultimi fasti in un linguaggio ormai profondamente segnato dalla crisi galante esplosa in Europa verso la metà del secolo.
L'innervatura polifonica che ancora sussiste nell'Ouverture e nel «Capriccio» conclusivo è struttura di puro apparato, e dissimula la sostanziale concezione verticale di un discorso che procede mediante convenzionali progressioni armoniche e un'invenzione melodica la cui flessuosa morbidezza, già aperta alla sensiblerie, spalanca un abisso tra sé e il nerboruto tematismo di Johann Sebastian, così carico d'intensa potenzialità costruttiva. Anche il colore neutro della partitura, che esclude, per i soli archi, lo smagliante cromatismo e gli elementi concertanti delle altre quattro suites sicuramente bachiane, è tratto non ultimo che induce ad espungere ia composizione dal catalogo di Bach, ma insieme a caratterizzarla con un volto suo proprio.
Giovanni Carli Ballola