Ouverture n. 4 in re maggiore per orchestra, BWV 1069


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Ouverture
    Utilizza il Coro n. 1 della Cantata BWV 110
  2. Bourrée I
  3. Bourrée II (si minore)
  4. Gavotte
  5. Menuet I
  6. Menuet II
  7. Réjouissance
Organico: 3 trombe, timpani, 3 oboi, fagotto, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1725
Edizione: Sieber, Parigi, 1816 circa
Guida all'ascolto 1 (nota 1)

Delle quattro Suites per orchestra, le prime due (in do e in si minore) furono composte a Köthen, le altre (in re) a Lipsia fra il 1729 e il 1736. La denominatone bachiana di Ouvertures deriva dal fatto che il pezzo di apertura assume nelle intenzioni del musicista una importanza assai maggiore di quella dei pezzi di danza successivi. L'ouverture della Suite IV non ha nulla da invidiare, infatti, agli stessi Concerti brandeburghesi sia per la vastità di concezione architettonica, sia per l'invenzione timbrica, che qui scaturisce oltretutto da uno stuolo di strumenti a fiato superiore alle altre Suites (l'organico è di 3 trombe, timpani, 3 oboi, fagotto, violini, viola, violoncello, contrabbasso e continuo, cioè clavicembalo). L'ouverture incornicia un lungo Vivace tra un Grave iniziale e una sua ripresa finale.

E' interessante ricordare che tale ouverture passò nella Cantata n. 110, «Unser Mund sei voll Lachens»: cioè alla stesura orchestrale così come l'ascoltiamo, Bach aggiunse un coro a quattro voci. Si resta confusi, scrive lo Schweitzer, al cospetto di un simile tour de force, che mostra con quale sovrana disinvoltura Bach inventasse e superasse le difficoltà. Considerando che la cantata e l'ouverture sono stati con ogni probabilità concepiti simultaneamente, lo Schweitzer non esita a riconoscere nel Grave e nel Vivace temi «destinati a imitare il riso».

Nelle danze che succedono all'ouverture si può notare, tra l'altro, la varia gamma timbrica entro cui suona la loro grazia stilizzata: impasto di oboi e archi prevale nella Bourrée I, di oboi e fagotto nella Bourrée II. La Gavotta registra un intervento assai limitato ma determinante delle trombe; le quali invece tacciono sia nel Minuetto I, riservato a oboi, fagotto, archi, sia nel Minuetto II che si raccoglie esclusivamente attorno ad archi (e cembalo). Schieramento completo e frizzante, infine, nella Réjouissance.

Giorgio Graziosi

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

Di Bach sono conosciute soltanto quattro Ouvertures o Suites per orchestra (è in dubbio l'autenticità di una quinta), un numero piuttosto esiguo se si pensa alla larga diffusione di questa forma musicale nella tradizione barocca. Ma va tenuto presente che Bach utilizzò questa struttura compositiva nelle Suites francesi e inglesi e nelle Partite per cembalo, per violino, per violoncello e per liuto. È incerta anche la data di nascita delle Ouvertures o Suites per orchestra. Secondo Friedrich Blume esse sarebbero state composte nel periodo di Köthen, negli anni compresi tra il 1717 e il 1723, mentre secondo Wolfgang Schraieder le prime due sarebbero state scritte a Köthen intorno al 1721 e le ultime due a Lipsia tra il 1727 e il 1736 per il Collegium Musicum dell'Università. In realtà non si hanno notizie sicure per fissare sotto il profilo cronologico le date di queste composizioni, anche se non è azzardato supporre che le Suites n. 3 e n. 4, date le loro affinità strutturali, potrebbero essere state scritte in stretta successione temporale.

Non esiste una norma precisa che regola in modo uniforme il procedimento delle Suites, in quanto la successione dei brani è liberamente sollecitata da esigenze formali dettate di volta in volta da spontanee disposizioni di gusto. I caratteri comuni alle quattro composizioni si possono indicare nel fatto che ognuna di esse si apre con una Ouverture in stile francese, in cui due sezioni in tempo grave inquadrano un allegro in forma di fuga e che tutti i movimenti sono scritti nella stessa tonalità. Ogni Suite ha una propria caratteristica strumentale: la prima è concepita per due oboi, fagotto, archi e cembalo; la seconda si avvale del flauto solo, degli archi e del cembalo; la terza è per due oboi, tre trombe, timpani, archi e cembalo; la quarta è per tre oboi, tre trombe, timpani, archi e cembalo.

A provocare la fioritura in terra tedesca delle Ouvertures - sostiene Alberto Basso nel suo prezioso e monumentale libro sulla vita e le opere di Bach intitolato "Frau Musika" - era stata l'immissione massiccia delle maniere francesi in tutta la cultura germanica: ogni corte, grande o piccola che fosse, voleva dimostrare in qualche modo di volersi rispecchiare nel fastoso modello francese di Versailles. Ai musicisti tedeschi e a quelli che le corti tedesche avevano chiamato dalla Francia era fatto obbligo, come un onere professionale, di adeguarsi ai modelli strumentali che erano stati forniti da Lully; lo imponeva la moda, e lo spirito della danza, che di quella moda era il riflesso più immediato e spontaneo, era divenuto un punto obbligato del discorso musicale, tanto da "contaminare" anche l'incipiente forma del concerto e indurre poi Bach a creare con il primo dei Concerti brandeburghesi una "ingegnosa mescolanza", uno "stile mischiato", come avrebbe potuto dire Georg Muffat, che del goût francese era stato profondo conoscitore; le giubilanti manifestazioni della suite francese e la galanteria in essa più che latente avevano affascinato ogni tedesco e non è certo contro voglia che Bach affrontò l'argomento e lo sviluppò sino al punto di elevarsi al di sopra di ogni esempio passato, presente e futuro.

Dimenticate dopo la morte del loro autore, le Ouvertures furono risuscitate alla vita per iniziativa di Mendelssohn, che diresse la terza Ouverture al Gewandhaus di Lipsia il 15 febbraio 1838, e di Siegfried Wilhelm Dehn, il quale pubblicò le prime tre presso l'editore Peters di Lipsia nel 1853-'54. La quarta Ouverture fu pubblicata più tardi, sempre da Peters, nel 1881 e per merito di Ferdinand August Roitzsch. Le Ouvertures ubbidiscono ad uno stile pomposo e solenne e di gusto decorativo, temperato però da episodi concertanti, realizzati da Bach con organici diversi. Sembra che Bach abbia scritto tre versioni della Ouverture in re maggiore BWV1069. La prima versione è scomparsa; della seconda è stato utilizzato il primo pezzo introduttivo nella Cantata BWV 110 "Unser Mund sei voll Lachens" (La nostra bocca sia colma di sorriso); la terza è quella abitualmente eseguita e conclusa da un movimento chiamato Réjouissance perché è un pezzo gaio e brillante, a volte usato in composizioni del genere, così come sostiene Johann Gottfried Walther nel suo "Musicalisches Lexicon" apparso nel 1732. In questa Ouverture i movimenti estremi in tempo grave si snodano su ritmi puntati alla francese, in contrapposizione ai tempi allegri, gioiosi e vivaci, intercalati a sezioni fugate, miranti a caratterizzare il discorso in maniera più varia e piacevole. Il tutto si snoda secondo un intelligente gioco musicale in cui ogni tassello è incastonato perfettamente nel pregevole mosaico, comprendente la sanguigna popolarità tedesca, la raffinata eleganza francese e la chiarezza vocalistica italiana.

Guida all'ascolto 3 (nota 3)

L'Ouverture n. 4 BWV 1069 - forse la più antica nella versione originaria, ma rielaborata a Lipsia attorno al 1725 - presenta tonalità e organico della n. 3, ovvero le veste celebrativa completa di trombe e timpani. Aperta con la consueta magnificenza sonora del movimento lento, dal puro splendore fonico dell'organico pieno, l'Ouverture prosegue cor una vasta e gioiosa pagina concertante fondata sul ritmo di terzina, da carattere di giga e dall'orchestrazione assai varia e sofisticata. Lo slancio caratteristico della Bourrée I viene attenuato dalla sonorità dominante dei legni nella Bourrée II, peraltro elettrizzata dalie nervose figurazioni di violini e viole all'unisono. Una breve Gavotta, priva di danza gemella e dalla contenuta espressività cortigiana, conduce ai deliziosi Menuet I e II, sorprendentemente omogenei nel tono, pervaso da un aggraziato lirismo. Un brusco risveglio è assicurato dalla perentorietà della Réjouissance, aperta dalla fanfara di trombe e timpani, riapparsa a asseverare con il loro piglio volitivo la grinta benevola di un finale scoppiettante.

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 17 marzo 1960
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 30 marzo 1985
(3) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 161 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 7 gennaio 2015