Fürchte dich nicht, ich bin bei dir, BWV 228

Mottetto in la maggiore per due cori a cappella

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: Paul Gerhardt da Bibbia, Isaia 41:10 e 43:1
Occasione: probabilmente per la commemorazione funebre di Susanna Sophia Winckler Organico: 2 cori misti senza accompagnamento
Composizione: Lipsia, 1726
Prima esecuzione: Lipsia, Nikolaikirche, 4 febbraio 1726
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1802
Guida all'ascolto (nota 1)

Dopo la morte di Johann Sebastian Bach (1685-1750), la maggior parte delle sue opere sacre fu pressoché dimenticata e dovette attendere l'avvento del romanticismo per essere almeno in parte riscoperta. Solo i Mottetti continuarono ad essere eseguiti e conosciuti, durante tutto il Settecento, in forza di una tradizione che assegnava ancora un ruolo importante alla pratica dei cosiddetti Sonnabend-Motetten, ovvero ai mottetti che si intonavano nei Vespri del sabato, ma anche in virtù della particolare concezione stilistica che unisce in quelli composti da Bach la più rigorosa disciplina contrappuntistica a una spiccata cura per la melodia, generando una straordinaria fusione di stile antico e gusto "moderno". Nel Settecento, i Mottetti divennero così uno dei pochi punti di riferimento per coloro che intendessero studiare l'opera vocale di Bach, e non sorprende il fatto che all'inizio dell'Ottocento, in coincidenza con la sistematica rinascita dell'interesse per Bach, i Mottetti figurassero come la prima serie di opere vocali ad essere pubblicata in partitura, nel 1803, a cura di Johann Gottfried Schicht, per l'editore Breitkopf & Härtel di Lipsia.

Durante la sua vita Bach non si era dedicato con particolare assiduità a questo genere musicale, in quel tempo l'eredità più importante dell'antica tradizione sacra. Secondo una prassi ormai ben consolidata, infatti, gli usi correnti della liturgia venivano soddisfatti facendo ricorso a una serie di antichi repertori, dai quali si traevano i brani che dovevano essere eseguiti tutte le domeniche, all'Introito e alla Comunione, nei Vespri e in alcune delle occasioni celebrative minori. A Bach, che in qualità di Kantor della chiesa di San Tommaso era responsabile delle esecuzioni musicali in ciascuna di queste occasioni, non restava di norma che scegliere fra gli antichi mottetti riportati nel Florilegium Portense, un repertorio del 1618 compilato da Erhard Bodenschatz, oppure nel Neu Leipziger Gesangbuch realizzato nel 1682 da Gottfried Vopelius, al quale Bach avrebbe attinto anche per i temi di numerosi corali. Da queste raccolte venivano tratte opere di antichi maestri italiani e tedeschi, con la tendenza a favorire sempre più nella scelta i mottetti che questi ultimi avevano composto su testi in tedesco, ricavati a loro volta dai salmi, da passi biblici in genere o dalla poesia sacra originale, quella dei cosiddetti Kirchenlieder. Il dovere di comporre brani originali si limitava dunque per Bach a poche occasioni, nelle quali egli poteva disporre oltretutto di un coro molto più ampio di quello corrente. E' dunque comprensibile che il catalogo delle opere bachiahe si riveli piuttosto avaro nel caso dei Mottetti. Le prime testimonianze storiche riferiscono di un corpus costituito complessivamente da undici lavori soltanto, alcuni dei quali a doppio coro. Gli studi più aggiornati limitano invece ad otto il numero complessivo dei mottetti giudicati autentici, sei dei quali fanno parte della serie pubblicata da Schicht nel 1803.

Nonostante il numero relativamente esiguo dei mottetti effettivamente composti da Bach, l'interesse del musicista per questo genere musicale si riflette in molte altre sue opere, nelle quali o si trovano impiegati gli stessi principi di organizzazione del materiale musicale che sono tipici del mottetto, o viceversa si rintracciano esempi di scrittura che Bach avrebbe poi riutilizzato nei Mottetti. Si può dire anzi che l'intima unità e l'originalità della concezione di questi brani dipendano in gran parte proprio dallo stretto legame con il resto della produzione vocale, bachiana. Se si pensa infatti ai modelli del cosiddetto Stylus antiquus di ascendenza palestriniana, ai florilegi del contrappunto fiammingo o al ricco interscambio delle masse corali proveniente dall'antica scuola veneziana, l'influenza dello stile mottettistico si può riscontrare nella grande Messa in si minore BWV 232 e in numerosi altri brani minori. Se però si considera la struttura interna dei mottetti bachiani, la loro articolazione formale spesso simile a quella di una successione di "movimenti", talvolta realizzati con opzioni linguistiche ed espressive differenti, allora non si può disconoscere neppure l'influenza esercitata su queste opere dal grande lavoro di ricerca compiuto da Bach nelle sue Cantate. Qui la fusione di una logica compositiva arcaica e di uno spirito drammatico piuttosto accentuato aveva portato Bach alla creazione di un organismo sonoro complesso, capace di accogliere in sé spinte e motivazioni diverse, senza nulla perdere della propria coesione costruttiva. Ora lo stesso avviene nei Mottetti, nei quali anzi la più chiara riconoscibilità di un'impostazione stilistica rivolta verso un modello antico, consente all'autore un uso particolarmente intenso del contrappunto, coniugato con quella «impressionante invenzione di figure» che - secondo il parere del musicologo Alberto Basso - ha reso i Mottetti di Bach «le più stupefacenti creazioni nel campo della polifonia vocale» del suo tempo. Il profondo rapporto con il genere della cantata, sottolineato già dai primi studiosi dell'opera di Bach, ha impresso alla pratica del Mottetto una svolta dinamica: il corso di queste composizioni è diventato infatti con Bach più vario e accidentato, trasformando anche la semplice variazione dei movimenti e della struttura ritmica in un elemento portante dell'intero edificio musicale.

Fino a poco tempo fa, sulla scorta di una visione fortemente idealizzata della musica vocale sei e settecentesca, era comune l'esecuzione dei Mottetti di Bach con il solo coro a cappella, cioè privo di accompagnamento strumentale. Oggi è invece attestata la più verosimile pratica di accompagnare l'esecuzione con uno strumento che realizzi il basso continuo (organo o clavicembalo, eventualmente sostenuti dal violone) e con strumenti ad arco che raddoppiano la linea delle voci procedendo, come si suol dire, «colla parte». Le partiture autografe e le più antiche testimonianze a riguardo attestano esplicitamente l'uso degli strumenti solo nel caso dei Mottetti Ber Geist hilft BWV 226 e Fürchte dich nicht BWV 228, anche se in questo è possibile che gli archi siano stati aggiunti da uno dei figli di Bach, Carl Philipp Emanuel. Anche negli altri casi, tuttavia, è attendibile l'ipotesi che stabilisce comunque l'intervento di un accompagnamento che all'epoca di Bach poteva anche non essere esplicitamente indicato, poiché dipendeva più dalle circostanze dell'esecuzione e dagli organici che si avevano effettivamente a disposizione, che non da una rigida regola di comportamento.

Fürchte dich nicht, ich bin bei dir BWV 228 è un mottetto a otto voci, composto da Bach probabilmente nel 1726, in occasione di una cerimonia commemorativa per Susanna Sonia Pakbusch, vedova di Christoph Georg Winckler, allora «capitano della città» (Stadthauptmann) di Lipsia. Il testo unisce due versetti dal decimo libro di Isaia (41, verso 10; 43, verso 1) ed è trattato da Bach in base a un'articolazione formale piuttosto singolare: se infatti il primo versetto viene eseguito in forma di doppio coro, con le risposte antifoniche e le spezzature tipiche di questa soluzione di scrittura, il secondo vede la riunione dei due cori in uno stile imitativo libero, sormontato però dalla voce più acuta che inserisce nella composizione un cantus firmus tratto dalla tradizione luterana. Nel finale, il mottetto riprende l'andamento iniziale. L'uso della melodia come elemento unificatore rivela la contaminazione operata da Bach con un tratto tipico della scrittura strumentale.

Stefano Catucci

Testo

Fürchte dich nicht

Fürchte dich nicht, ich bin bei dir;
weiche nicht, denn ich bin dein Gott;
ich stärke dich, ich helfe dir auch,
ich erhalte dich durch die rechte Hand
meiner Gerechtigkeit.

Fürchte dich nicht, denn ich habe dich erlöset; ich habe
dich bei deinem Namen gerufen, du bist mein.

Herr, mein Hirt, Brunn aller Freuden!
Du bist mein,
ich bin dein,
niemand kann uns scheiden.
Ich bin dein, weil du dein Leben
und dein Blut,
mir zu gut,
in den Tod gegeben.
Du bist mein, weil ich dich fasse
und dich nicht
o mein Licht,
aus dem Herzen lasse!
Lass mich, lass mich hingelangen,
wo du mich
und ich dich
lieblich werd umfangen
Fürchte dich nicht, du bist mein,
Non temere, sono con te

Non temere, sono con te;
non esitare perché sono il tuo Dio;
io ti fortifico e ti aiuto,
ti sostengo con la mano destra
della mia giustizia. Non temere.

Non temere, poiché io ti ho salvato, ti ho chiamato
col tuo nome, tu sei mio.

Signore, mio pastore, fonte di tutte le gioie!
Tu sei mio,
io sono tuo,
nessuno ci può dividere.
Sono tuo perché, per amor mio,
hai dato la tua vita e il tuo sangue
incontrando la morte.
Sei mio perché io ti abbraccio
e non voglio,
o mia luce,
che tu lasci il mio cuore.
Fammi giungere là
dove ci abbracceremo eternamente.
Non temere, tu sei mio.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 10 dicembre 1992


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Ultimo aggiornamento 25 aprile 2016