È l'elaborazione cembalistica del Concerto per quattro violini, violoncello e archi in si minore dall' Estro armonico di Antonio Vivaldi (op. 3, n. 10). L'interesse principale della composizione risiede essenzialmente nell'effetto fonico dato dalla inconsueta moltiplicazione degli strumenti a tastiera e nelle peculiarità della scrittura cembalistica rispetto all'originale. La sostanza della partitura vivaldiana è seguita alla lettera, ma nella nuova veste strumentale ne risulta alterato l'equilibrio costruttivo. Le linee concertanti sono affidate alla mano destra dei quattro clavicembali, mentre la mano sinistra riversa sulla tastiera alcuni elementi del ripieno, assorbendo così una parte delle funzioni originariamente assegnate all'orchestra e relegando sullo sfondo la compagine degli archi. Ne risulta una maggiore uniformità timbrica, con più scarso rilievo di contrasti dinamici e di effetti a dialogo.
Una delle problematiche più discusse e approfondite nell'approccio al repertorio tastieristico di Johann Sebastian Bach è l'esecuzione al pianoforte di opere scritte per tastiera. È noto come il Maestro di Lipsia prediligesse il clavicembalo e l'organo, con alcune sortite al clavicordo. Nei confronti del pianoforte, Bach non nutriva particolare simpatia. Oggi la prassi esecutiva del suo repertorio su questo strumento ha raggiunto livelli interessanti e artisticamente di valore, pur non essendoci unanimità tra gli esecutori. Si pensi, solo per fare un esempio, alle interpretazioni di Glenn Gould che suscitano lunghe dispute tra fan e detrattori. Dopo questa premessa si può cogliere come sia complicato approcciarsi al Concerto BWV 1065 per quattro clavicembali e orchestra (qui eseguito con quattro pianoforti), trascrizione del Concerto in si minore RV 580 per quattro violini, archi e basso continuo, decimo delle dodici composizioni dell'Estro armonico di Antonio Vivaldi. Sulla genesi di questa trascrizione si rincorrono molte storie. La più attendibile fa risalire al 1713 il viaggio nei Paesi Bassi del duca Giovanni Ernesto di Sassonia-Weimar, presso il quale Bach si trovava a servizio. Il Duca tornò con una grande collezione di spartiti di musica italiana tra i quali c'era il concerto vivaldiano. Bach sostituisce i quattro violini solisti dell'originale con quattro clavicembali ed è costretto a rimettere mano alla partitura orchestrale che viene ridotta per dare spazio, in maniera eguale, ai quattro solisti. Così un po' si perde l'idea del "concerto grosso all'italiana" contraddistinto da contrasti tra ripieni orchestrali e concertino dei solisti, alterando l'equilibrio costruttivo pur preservandone la sostanza.
Il primo movimento - Allegro - si apre con i pianoforti I e II da soli che presentano il tema; solo quattro battute e l'intera orchestra con tutti i solisti riprende insieme il tema. La tonalità è in la minore e non ci si allontana più di tanto se non nei momenti progressivi che comunque ritornano alla tonalità d'impianto. Nella parte centrale del movimento una lunga serie di trilli si scambiano tra i primi tre solisti. Il movimento si chiude con la testuale ripresa del tema da parte dell'orchestra e dei pianoforti.
Il secondo movimento - Largo - è contraddistinto dal ritmo puntato. Il ripieno orchestrale risponde con ampi accordi (siamo passati al modo maggiore di la) alla semplice linea fatta da due pianoforti (che man mano diventano quattro). C'è una seconda sezione di questo Largo che vede protagonisti i soli pianoforti. L'orchestra è ferma e i solisti effettuano arpeggi privi di melodia con le variazioni armoniche date dal basso. L'effetto che si produce (assolutamente originale per l'epoca) è una completa smaterializzazione del tempo e dello spazio musicale.
L'Allegro finale riprende il modo del primo, non solo dal punto di visla tonale. È in 6/8, contraddistinto da un'impegnativa tecnica clavicembalistica applicata al pianoforte. L'orchestra dialoga con i solisti, in particolar modo con il primo pianoforte, che in questo movimento assume un ruolo preminente rispetto agli altri.
Mario Leone