Concerto in do minore per 2 clavicembali e orchestra, BWV 1062


Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
  1. Allegro
  2. Andante (mi bemolle maggiore)
  3. Allegro assai
Organico: 2 clavicembali, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1735 - 1736 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1874

Trascrizione del Concerto per 2 violini BWV 1043
Guida all'ascolto (nota 1)

Se la tastiera del clavicembalo fu il campo di battaglia primario del Musizieren del primo Settecento - la palestra di compositori in erba e maestri illustri, il vivaio da cui germina un microcosmo ideale - non stupirà la centralità dello strumento nell'officina creativa della personalità più cospicua di quella stagione, Johann Sebastian Bach, e del suo entourage. A casa Bach, nella girandola di allievi e collaboratori che prendono lezione e preparano materiali per produzioni musicali incalzanti, lo strumento rappresenta da un lato un ausilio didattico fondamentale, dall'altro la frontiera dell'inesausta ricerca del compositore, che per primo l'impiegherà in funzione concertante.

I tre concerti bachiani per due clavicembali rappresentano un capitolo singolarmente compatto nella produzione del compositore, e al tempo stesso una sintesi meravigliosa delle diverse stagioni della sua attività. Fondamentale il contesto professionale in cui essi videro la luce, nel breve torno d'anni tra il 1730 e il '36, anni critici nella parabola del loro autore. Il quarto decennio del secolo è per il Bach maturo, prossimo al suo cinquantesimo compleanno, una stagione d'inquietudine e ricerca, mentre ne è messa in discussione l'autorevolezza di Kantor a Lipsia e i rapporti con le istituzioni vanno deteriorandosi. In tale clima burrascoso, pur rimanendo faute de mieux a Lipsia, Bach intraprende nuove vie per la sua creatività, spaziando su una vastità di generi e forme musicali forse sino ad allora inedita: forse mai tanti interessi diversi si erano assiepati insieme sul tavolo del compositore. Legata a questa ricerca è nel 1729 la nomina a direttore del Collegium Musicum, che lo portò a coltivare il genere del concerto come non mai dai tempi di Köthen, e a sviluppare in particolare la formula allora innovativa, e dal luminoso futuro, del concerto per uno o più clavicembali (forse anche fortepiani?), di cui ben quattordici giunti fino a noi. L'operazione consisteva nella rielaborazione di pagine già scritte per altra occasione e altro organico (con strumenti melodici come solisti), lungo le tappe più illustri (Weimar, Köthen e Lipsia) della carriera bachiana. Vivono così di vita nuova le serrate frequentazioni bachiane col genere italiano del concerto solistico, inaugurate a Weimar attorno al 1712 sulla scorta dei lavori allora recentissimi e di punta di Vivaldi, Torelli, Albinoni, Alessandro Marcello, cui Bach portò il contributo solum suum d'una densità contrappuntistica che ben s'attaglierà, vent'anni più tardi, al clavicembalo.

Il Concerto in do minore BWV 1062 di Johann Sebastian Bach, l'unico per il quale ci è pervenuto l'autografo, datato 1736, è più noto nella versione originaria per due violini BWV 1043, composta probabilmente già a Lipsia e solo all'inizio di quel decennio (1730/31 ca., datazione delle fonti più antiche, secondo Christoph Wolff), ma sulla base di una sonata a tre, sempre plausibilmente per due violini, del primo periodo di Köthen. Anche in questo caso la trascrizione ha comportato un importante lavoro di tessitura delle parti solistiche, soprattutto nello sviluppo della mano sinistra di entrambi i clavicembali. Il risultato è una partitura ancora più tesa e concentrata dell'originale, già assai denso a cominciare dall'attacco contrappuntistico del I tempo, mentre l'Allegro assai conclusivo guadagna la specifica brillantezza degli strumenti a tastiera. Il primo tempo si propone con la sofisticata densità polifonica del citato ritornello dalle tentazioni contrappuntistiche, in cui s'inseriscono come partner paritari i due solisti, che attraverso una varia galleria di episodi costringono l'orchestra a un ruolo invero modesto, relegandola a pochi ritornelli di norma di solo quattro misure ciascuno. Una pagina celeberrima, vera polla di delizie sonore, occupa la seconda posizione nel concerto: il vasto Andante (e piano) (Largo ma non tanto nell'originale) offre infatti uno di quei miracoli di semplicità incantata che costellano il catalogo bachiano. Nel metro cullante da siciliana, sul pulsare regolare degli archi, i due cembali attaccano come in medias res, esprimendo l'urgenza di un canto che si snoda per ampie volute melodiche, delicati ricami di semicrome e slanci protesi all'infinito. Si badi al carattere elementare del tema, che trasforma una semplice scala discendente in un avvio di grande pregnanza espressiva; oppure al procedere per imitazione dei due solisti, dilatazione senza fine delle intime risonanze della melodia. L'essenzialità di tali gesti realizza un lirismo di tale purezza da risolversi senza residui in primigenia, immediata eloquenza di valore universale. Con eccezionale contrasto, l'Allegro assai, ripristinato il modo minore, mostra sin dall'attacco una natura feroce, cupa e violenta, animata da un implacabile moto meccanico. Esposto il ritornello d'apertura, i solisti prendono energicamente il sopravvento grazie a una figura di rapide terzine, condensazione rappresa d'un temperamento acceso e volitivo, mentre sarà compito dell'onnipresente ritmo anapestico assicurare quell'energia inesauribile che anima molte pagine bachiane, Brandeburghesi inclusi.

Raffaele Mellace


(1) Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 245 della rivista Amadeus


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Ultimo aggiornamento 3 luglio 2014