Non sa che sia dolore, BWV 209

Cantata in si minore per soprano e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: autore ignoto
Occasione: non precisata
  1. Sinfonia (si minore)
    per tutti gli strumenti
  2. Non sa che sia dolore
    Recitativo in si minore/la maggiore per soprano, archi e continuo
  3. Parti pur, e con dolore
    Aria in mi minore per soprano e tutti gli strumenti
  4. Tuo saver al tempo e l'eta contrasta
    Recitativo in si minore/mi minore per soprano e continuo
  5. Ricetti gramezza e pavento
    Aria in sol maggiore per soprano e tutti gli strumenti
Organico: soprano, flauto traverso, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1729 circa
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1862
Dedica: Johann Matthias Gesner

Attribuzione incerta
Guida all'ascolto (nota 1)

Nel catalogo bachiano si contano due cantate profane su testo italiano, entrambe di dubbia autenticità e pervenuteci in manoscritti piuttosto tardivi: Amor traditore, BWV 203, per basso e clavicembalo e Non sa che sia dolore, BWV 209, per soprano, flauto, archi e continuo. Una terza composizione, Andrò dal colle al prato, BWV Anh. 158, ritenuta in passato opera perduta di Bach, è invece un'aria di un melodramma del figlio Johann Christian, Orione ossia Diana vendicata, rappresentato a Londra nel 1763.

Non sa che sia dolore è stata interpretata come una cantata scritta nel 1729 in occasione del ritorno in patria, ad Ansbach, di un dotto personaggio, solitamente identificato nel professor Johann Matthias Gesner. Amico di Bach fin dagli anni di Weimar, egli fu uno dei più appassionati ammiratori della sua musica, tanto che in una nota contenuta nella sua edizione delle Institutiones oratoriae di Quintiliano, pubblicate nel 1738, immagina, a proposito di un musicista dell'antichità, di rivolgersi direttamente al grande retore latino dicendogli: «Tutto ciò o Fabio lo qualificheresti come poca cosa, se ti capitasse, resuscitato dall'Averno, di vedere Bach [...] Io in altre occasioni sono un grandissimo partigiano dell'antichità, ma credo fermamente che il mio amico Bach da solo (...) comprenda in sé molti Orfei e venti cantanti come Arione». Gesner, già conrettore del ginnasio di Weimar dal 1715, nel 1729 fece ritorno nella natia Ansbach - cittadina bavarese non lontana da Norimberga, capitale allora di un piccolo margraviato - come direttore del ginnasio locale. Dopo pochi mesi, comunque, Gesner lasciò quell'incarico per assumere la più prestigiosa guida della Thomasschule di Lipsia (dove ritrovò come Kantor ìl vecchio amico di Weimar), accettando dopo altri quattro anni una cattedra all'Università di Gottinga, città nella quale morì nel 1761.

La sincera amicizia tra il brillante erudito e Bach ha spinto qualche studioso ad attribuire a quest'ultimo, oltre alla musica, anche la stesura del testo poetico della cantata, da Albert Schweitzer giudicato "addirittura pietoso" e "scritto da un tedesco che non sapeva l'italiano". Tuttavia la scelta da parte del compositore di adoperare per quell'occasione - o di scrivere di suo pugno - dei versi in lingua italiana risulta quantomeno sorprendente. L'ipotesi sostenuta da Ansbacher che "l'aulico o sacro latino" sarebbe stato inopportuno e che il tedesco era già molto usato per le Kirchenmusiken è poco convincente, tanto più se si considera che le altre cantate profane di Bach a noi pervenute sono in lingua tedesca. Maggiori perplessità ha suscitato lo spiccato contrasto stilistico esistente tra i primi due brani della cantata, di impronta decisamente bachiana, e l'aria conclusiva della composizione, orientata ad un linguaggio operistico di chiara derivazione italiana, il che ha spinto non pochi commentatori a dubitare dell'autenticità stessa della partitura. Ultimamente il Marshall, il quale si dimostra assai cauto nel depennare del tutto il lavoro dal corpus delle opere bachiane, ha proposto un possibile collegamento con Dresda, puntualizzando che l'estensione vocale della parte del soprano si adatterebbe con precisione a quella della Faustina-Bordoni, che aveva debuttato nella capitale sassone (presente Bach) nel settembre 1731 nella Cleofide del marito Johann Adolph Hasse, e ipotizzando che la scelta del flauto come strumento obbligato sarebbe dovuta alla presenza nell'orchestra di corte di un celebre virtuoso qual era Pierre Gabriel Buffardin. Sulla base di queste supposizioni e in considerazione anche della grande apertura nei confronti della cultura italiana propria della capitale sassone, Alberto Basso è propenso ad individuare l'autore di questa cantata nella cerchia di quei compositori attivi allora a Dresda, tra cui anche «un musicista della tempra ... di un Wilhelm Friedemann Bach», organista dal 1733 al 1746 nella chiesa di Santa Sofia, la più antica della città.

Non sa che sia dolore presenta la struttura tipica della cantata da camera italiana nella doppia successione di recitativo secco e aria con il da capo ed è introdotta da una pregevolissima Sinfonia in si minore, collegata di volta in volta - per reminiscenze tematiche o per concezione generale - al Concerto in re minore per due violini BWV 1043, o alla Seconda Suite per orchestra BWV 1067 (all'Allegro iniziale o al Minuetto). Il brano costituisce un vero e proprio tempo di concerto dal carattere tipicamente bachiano tanto nella tematica, essenziale ed incisiva ma nello stesso tempo suscettibile di ampi sviluppi armonico-melodici, quanto nell'arte stessa del concertare, costruita su un fitto scambio di spunti motivici (tra cui, bellissimo, quello cromaticamente circolare, il cui sapore quasi inquietante acquista maggior risalto nelle sonorità vitree del flauto) tra solista ed orchestra, i cui ruoli non sono mai rigidamente separati ma al contrario tendono a sovrapporsi continuamente l'un l'altro. Dopo il primo recitativo, nel quale si invita il destinatario della composizione a superare il dispiacere della partenza per adempiere "di Minerva il zelo" (egli era dunque un dotto), la cantata continua con un'aria, Parti pur, e con dolore, in cui i due temi offerti dal testo, le pene per il distacco e la gioia per il ritorno in patria, corrispondono alle due sezioni iniziali di una struttura con il da capo, definita dalle modulazioni mi minore - sol maggiore - mi minore. Il brano, armonicamente fluente, è percorso dal serrato dialogo concertante tra la voce, che riprende il dolente motivo presentato dal flauto sviluppandolo in una scrittura moderatamente melismatica, e lo strumento obbligato, che si distende in avvolgenti e scorrevoli figurazioni di semicrome. Poche battute in recitativo, in cui gli elogi al dotto personaggio si uniscono a quelli per la città di Ansbach, "piena di tanti Augusti", ci separano dall'aria conclusiva, Ricetti gramezza e pavento (meglio sarebbe leggere Rigetti), basata su un'estesa immagine dell'esito felice di una tormentata navigazione, da intendersi non in senso stretto - come accenno cioè ad un concreto viaggio in mare fatto dal dedicatario della cantata - bensì in quello figurato, ossia come allusione al successo della sua brillante carriera. Il danzante ritmo ternario, il carattere triadico della melodia, la regolarità del fraseggio e la chiarezza delle armonie allontanano stilisticamente il brano da quelli che lo hanno preceduto, sollevando legittimi dubbi sulla sua autenticità, a meno di non interpretare quest'aria come un'imitazione esplicitamente stretta da parte del Kantor di Lipsia del linguaggio musicale della cantata da camera italiana.

Marco Carnevali

Guida all'ascolto 2 (nota 2)

La Cantata BWV 209 "Non sa che sia dolore" è una delle due sole del catalogo bachiano che utilizzi un testo non tedesco (l'altra, pure su testo italiano, è "Amore traditore" BWV 203 per basso e continuo). Per la verità non è certo che questi due lavori siano frutto dell'arte di Bach; la critica odierna è concorde nel sollevare seri dubbi circa la paternità bachiana di "Amore traditore" e nell'esprimere quantomeno cautela a riguardo di "Non sa che sia dolore". Quest'ultima si vuole sia stata scritta in omaggio ad un amico di Bach, Johann Matthias Gessner rettore della Thomasschule di Lipsia dal 1730 al 1734, in occasione di una sua partenza (il testo è un commiato), ma non è dato sapere perché Bach avrebbe dovuto utilizzare proprio per questa occasione un testo italiano (oltretutto un pessimo testo, steso senza dubbio non da un italofono) piuttosto che un più giustificabile testo tedesco; inoltre la società lipsiense non inclinava affatto verso la cultura e la lingua italiane (molto apprezzate, invece, nella vicina Dresda) ma semmai verso quelle francesi. In mancanza di certezze la questione resta sospesa anche se recentemente e con fondatezza di argomentazioni è stata avanzata la candidatura di Johann Adolph Hasse (Kapellmeister a Dresda e autore fecondo di opere e cantate italiane) quale possibile autore di questa "Non sa che sia dolore". La squisita fattura del brano lo rende ben degno di essere conteso fra diverse illustri paternità e certamente Bach, ove davvero non ne fosse egli stato il compositore, non disdegnerebbe di vederselo attribuire. Il brano si apre con una sinfonia in un unico movimento e prosegue con due arie per soprano e archi con flauto obbligato separate da poche battute di recitativo secco; trasparenza di trame, vivacità e spirito del materiale tematico, concisione ed immediatezza delle proposte melodiche e ritmiche lasciano intuire nell'autore della cantata, J.S. Bach o chi per lui, un attento lettore ed un colto ammiratore della vocalità cameristica italiana.

Franco Piperno

Testo

1. SINFONIA

2. RECITATIVO

Non sa che sia dolore
Chi dall'amico suo parte e non more.
Il fanciullin che plora e geme
Ed allor che più ei teme,
Vien la madre a consolar.
Va dunque a cenni del cielo,
Adempì or di Minerva il zelo.

3. ARIA

Parti pur e con dolore
Lasci a noi dolente il cuore.
La patria goderai,
A dover la servirai,
Varchi or di sponda in sponda,
Propizi vedi il vento e l'onda.

4. RECITATIVO

Tuo saver al tempo e l'età contrasta,
Virtù e valor solo a vincer basta;
Ma chi gran ti farà più che non fusti
Ansbaca, piena di tanti Augusti.

5. ARIA

Ricetti gramezza e pavento,
Qual nocchier, placato il vento,
Più non teme o si scolora,
Ma contento in su la prora
Va cantando in faccia al mar.

(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 28 aprile 2000
(2) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 febbraio 1987

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Ultimo aggiornamento 6 gennaio 2016