Dem Gerechten muss das Licht (Agli occhi dei giusti la luce), BWV 195

Cantata in re maggiore per soli, coro e orchestra

Musica: Johann Sebastian Bach (1685 - 1750)
Testo: autore ignoto
Occasione: nuziale
  1. Dem Gerechten muss das Licht
    Coro in re maggiore/la maggiore/re maggiore per soli, coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
  2. Dem Freuden-Licht gerechter Frommen
    Recitativo in si minore/sol maggiore per basso e continuo
  3. Rühmet Gottes Güt' und Treu'
    Aria in sol maggiore per basso, 2 oboi d'amore, archi e continuo
  4. Wohlan, so knüpfet denn ein Band
    Recitativo in re minore/re maggiore per soprano, 2 flauti traverse, 2 oboi d'amore e continuo
  5. Wir kommen, deine Heiligkeit
    Coro in re maggiore per soli, coro, 3 trombe, timpani, 2 flauti traversi, 2 oboi, archi e continuo
  6. Nun danket all' und bringet Ehr'
    Corale in sol maggiore per coro, 2 corni, timpani, 2 flauti traversi e continuo
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 3 trombe, timpani, 2 corni, 2 flauti traversi, 2 oboi, 2 oboi d'amore, 2 violini, viola, continuo
Composizione: 1727 (revisioni 1742 e 1748 - 1749)
Prima esecuzione: Lipsia, Thomaskirche, 11 settembre 1741
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1864
Guida all'ascolto (nota 1)

La partitura e l'autografo della Cantata Dem Gerechnet muss das Licht BWV 195 contengono, invece, un chiaro indizio del fatto che Bach utilizzò questa composizione in almeno due circostanze: la prima, verosimilmente, in una data vicina al 1727, la seconda intorno al 1748, ovvero in un anno molto vicino alla morte del compositore. L'indizio è dato dal testo, anonimo, che prevede otto numeri musicali, mentre la musica a noi giunta ne contiene soltanto sei. La diminuzione riguarda esclusivamente la seconda parte, Post Copulatìonem, che in origine prevedeva la successione di recitativo, aria e coro, e che nella versione a noi giunta è composta eselusivamente da un corale, oltretutto brevissimo. Viene da pensare che la cerimonia per cui fu preparato quest'ultimo adattamento fosse, in realtà, una via di mezzo fra halbe e gantze Brautmesse: una liturgia di ampie dimensioni, dunque, ma nella quale la musica era confinata essenzialmente nella parte che precede la consacrazione del matrimonio, lasciando a quella successiva nient'altro che l'appendice costituita da un corale di ringraziamento (n. 6). Poiché non era insolito che i testi scelti per le Cantate nuziali contenessero impliciti riferimenti agli sposi, al loro rango e al loro ufficio, il fatto che in questa ricorra di continuo la parola Gerechten, che indica "il giusto", ha fatto pensare che, in origine, la musica doveva essere destinata al matrimonio di un uomo di legge: probabilmente a quello tra Johanne Eleonore Schütz, il cui padre era stato pastore alla Thomaskirche di Lipsia, cioè nella chiesa dove Bach prestava servizio, e Heinrich Pepping, giurista e borgomastro della vicina Naumburg. Se così fosse, si può ipotizzare che la prima versione della Cantata sia stata eseguita nel 1741, mentre le circostanze che videro nascere il successivo adattamento non sono note e possono essere ricondotte agli ultimi anni della vita di Bach solo a partire da indizi che riguardano la genesi degli autografi.

Malgrado la riduzione del materiale musicale, la Cantata mantiene un aspetto grandioso, essendo costituita da due sezioni di coro molto elaborate, nelle quali intervengono anche le voci soliste (n. 1 e n. 5), all'interno delle quali si colloca un'aria (n. 3) anticipata e seguita da due recitativi estremamente singolari. Il primo (n. 2) è un recitativo "secco", dizione che di solito indica l'accompagnamento del semplice basso continuo, ma che in questo caso si applica a una condotta musicale tutt'altro che "semplice", dato che un irregolare tessuto ritmico di terzine sostiene un declamato vocale ampio e ben scolpito. Il secondo (n. 4) prevede, invece, l'insolito intervento dei flauti, che si inseguono su rapidissimi motivi ascendenti, mentre il sostegno armonico è realizzato da oboi e basso continuo. L'affinità fra i due cori, più sonora che strutturale, garantisce ad ogni modo l'unità stilistica della Cantata, così come la realizzazione del corale rimane coerente con l'impianto complessivo grazie a un'orchestrazione piuttosto insolita per una pagina di questo tipo e che comprende, anche in questo caso, l'uso di trombe e timpani.

Stefano Catucci


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 ottobre 2003

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Ultimo aggiornamento 28 giugno 2013